ROMA Questa mattina Nicola Zingaretti farà una relazione alla Direzione dem in cui dirà: o si fa un governo di legislatura, forte, solido e di rinnovamento, o andiamo a votare. Non ci saranno sussulti, ma il segretario continua anche a ripetere «teniamoci pronti ad andare alle urne». La tensione, as usual, resta alta nel Pd. «Connivenza». Il sostantivo gettato là, nel mezzo dell'intervento in Senato da Matteo Renzi, fa sussultare più di un parlamentare del Pd e prepara un clima frizzantino nel solito partito diviso che oggi, nella riunione della Direzione nazionale, dovrà decidere la linea di seguire dopo la fine della maggioranza gialloverde. E così, nel giorno che in teoria deve essere di festa per l'epilogo della strana alleanza M5S-Lega, nel Pd riescono ad accendere il solito frullatore. Renzi, durante il suo discorso: «Ministro Salvini, lei può vincere la sua sfida e portare a votare il Paese e nel caso questo avvenisse, sarebbe con l'accordo, non dico connivenza, di una parte importante anche del nostro schieramento». Dopo un po' il tweet di Francesco Boccia, deputato Pd: «Renzi dovrebbe semplicemente scusarsi. È molto grave che usi la parola connivenza riferendosi al Pd e alla comunità di cui farebbe parte e che tanto gli ha dato in questi anni». Il clima è questo, mentre per tutta la giornata Zingaretti e Renzi s'inseguono. Il segretario, subito dopo l'intervento di Conte ma prima di quello di Renzi, commenta rapido con una nota: «Tutto quanto detto sul ministro Salvini dal presidente Conte non può che essere condiviso. Ma attenzione anche ai rischi di autoassoluzione. In questi 15 mesi è stato il presidente del Consiglio, anche del ministro Salvini, e se tante cose denunciate sono vere perché ha atteso la sfiducia per denunciarle? E all'elenco delle cose fatte non può non seguire l'elenco dei disastri prodotti in economia, sul lavoro, sulla crescita, sullo sviluppo». Sintesi: Zingaretti ripete quello che dice da giorni. Serve discontinuità, non si può ripartire da Conte, sarà molto complicato arrivare a una intesa con i 5S, comunque sia si deve lavorare per un governo di legislatura, non può essere di breve respiro. Renzi, invece, è favorevole anche a un governo istituzionale («la priorità è evitare il voto a ottobre»), non chiude a un Conte Bis («non mi pronuncio»), esclude di potere fare parte di un nuovo governo e lo stesso vale per quelli del suo giglio magico (a partire dalla Boschi). «Ho portato io la situazione fin qua, dieci giorni fa erano tutti convinti di andare al voto». Calenda sempre più sconsolato spiega che non parteciperà alla Direzione: «Renzi e Marcucci hanno già dato in aula la linea: apertura ai 5S. Come accaduto dopo l'ultima Direzione. Il Pd come partito unitario che assume le decisioni negli organi non esiste già più».
STRAPPO Cosa succederà questa mattina? Si parte dalla relazione votata il 26 luglio all'unanimità che dice no ad alleanze con M5S. Per iniziare una trattativa bisogna superare quell'ostacolo. Zingaretti farà una nuova relazione, in cui proporrà di ascoltare il capo dello Stato e andare a verificare si vi siano le condizioni per un governo di livello alto e che punti ad arrivare alla fine della legislatura. «Discontinuità», ripete. E nel M5S ora crescono le perplessità: il dialogo con questo Pd non saràsemplice. 5Stelle-Pd, telefonata tra i leader Esecutivo di legislatura in salita. Di Maio al capo dei dem: «Garantisci che Renzi non stacca la spina?». «Impossibile» ROMA «Sono stato io a uccidere Salvini, proponendo un governo per mettere in sicurezza il Paese ed evitare l'aumento dell'Iva, ma ora sembra che il problema sia io. C'è in giro gente davvero assurda». A sera, dopo che in Senato si è spenta l'eco del durissimo scontro tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini e, sottotraccia, si comincia a trattare per l'esecutivo rosso-giallo, Matteo Renzi dà sfogo alla sua irritazione. All'ex premier è arrivata la notizia di una telefonata l'altra sera tra Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti. Un breve colloquio in cui il capo del Movimento ha chiesto al segretario del Pd «garanzie per un esecutivo di legislatura». E soprattutto: «Puoi garantirmi che Renzi non staccherà la spina tra qualche mese? Per noi e per voi sarebbe un suicidio, Salvini vincerebbe le elezioni a mani basse». Disarmante la risposta di Zingaretti: «Non posso darti alcuna garanzia su Renzi, nessuno può sapere cosa quello ha in testa e cosa farà».
Così è lo stesso Renzi, riservatamente, a provare a tranquillizzare Di Maio e frenare la voglia di elezioni anticipate del segretario del Pd. «Questa storia che io potrei staccare la spina è una balla. La mette in giro chi vuole andare alle urne, fregandosene dell'interesse del Paese. I 5Stelle sbagliano a temermi: nel 2022 si elegge il nuovo capo dello Stato e io voglio giocare la partita per intero, da protagonista. E la potrò giocare in questo ruolo solo se questa legislatura andrà avanti: adesso dalla mia parte c'è la maggioranza dei gruppi parlamentari del Pd, se invece si andasse a votare nessuno mi garantirebbe la stessa forza».
Non solo. Per superare i timori di Di Maio & C. i renziani fanno sapere che c'è anche un altro modo per garantire la vita della legislatura fino alla scadenza del 2023: «I grillini vogliono il taglio dei parlamentari, ebbene parliamone nell'ambito di una riforma costituzionale complessiva e anche di una nuova legge elettorale. E se si tocca la Costituzione tra le quattro letture, l'eventuale referendum confermativo e il ridisegno dei collegi elettorali si arriva d'un fiato al 2023».
LA MEDIAZIONE DELRIO Sul tavolo, però, restano le resistenze di Zingaretti. Il segretario stoppa la linea low profile di Renzi, disposto anche a un «governo istituzionale» che rischia di essere di breve respiro (e durata). E impone «un governo di legislatura». Lo stesso che vuole Di Maio. Impresa non facile, tanto più che il Quirinale non concede tempi lunghi. Anzi. Così il capogruppo dem alla Camera, Graziano Delrio, sta cercando di rendere la partita meno complessa proponendo di cominciare dall'agenda di governo e non dalle persone.
Non è un caso che Delrio cerchi di rinviare la trattativa sui nomi. Giuseppe Conte, dedicando l'ultima parte del suo discorso a una sorta di piano programmatico gradito al Pd, si candida platealmente a guidare anche l'ipotetico (per ora) esecutivo rosso-giallo. Ed è lui «il solo e unico nome che getteremo sul tavolo», dice uno sherpa 5Stelle. Ma Zingaretti non vuole Conte: «Non si autoassolva, dove era negli ultimi 15 mesi?». E anche Dario Franceschi, Delrio, Ettore Rosato e gli altri mediatori hanno più di una perplessità. Il ragionamento: «Come fa chi è stato garante del patto giallo-verde, diventare garante anche di quello rosso-giallo? Non è credibile. Eppoi, un Conte bis verrebbe letto dalla gente come l'uscita dei ministri leghisti, sostituiti in corsa da quelli del Pd. Assurdo».
Ciò detto, chi come Renzi vuole assolutamente stringere l'accordo con i grillini, non chiude al Conte bis: «Se ne può parlare. Se si comincia dai veti non si va da nessuna parte». «Ma sarebbe molto meglio un tecnico terzo e autorevole come Raffaele Cantone o Enrico Giovannini», dice un altro mediatore dem. «Oppure, se si vuole un politico, potrebbe andare bene anche Fico, ma indicare il presidente della Camera sarebbe una coltellata a Di Maio. E non sappiamo se il Movimento reggerebbe. Il problema dei grillini è che, a parte Conte, non hanno personalità di livello da proporre».
Per provare a sminare il campo, Renzi (odiato dai 5Stelle) fa poi sapere che non entrerà nel governo: «A mio giudizio sarebbe naturale che non entrassero neppure la Boschi e Lotti, quelli che chiamate Gigio Magico». E anche Romano Prodi prova a facilitare l'accordo: «Ho proposto una coalizione Orsola», partendo cioè dai partiti che hanno votato la presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, «ma non ritengo che ciò preveda l'adesione della destra». Traduzione: l'adesione di Silvio Berlusconi, un altro che i 5Stelle non vogliono «per nessuna ragione al mondo» nel governo.