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Data: 01/05/2020
Testata Giornalistica: HUFFPOST
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"Un sindacato di strada per la ricostruzione". Intervista a Maurizio Landini. Nel giorno della festa dei lavoratori il leader della Cgil chiede un nuovo Statuto dei Lavoratori, difende il Governo, parla di un nuovo modello produttivo e sociale.

E sul conflitto con le Regioni dice: "Va rivisto il Titolo V"


Segretario Maurizio Landini, che effetto le fa questo Primo maggio senza piazze?

Sarà un primo maggio di speranza. Di fiducia nella capacità dei ricercatori, quelli italiani innanzitutto, di trovare rimedi e cure adeguate per il virus, e di aspettative per il futuro, per una ripresa economica in tempi rapidi, per un’efficace azione contro il pericolo di nuove povertà e diseguaglianze. Le piazze sono la Democrazia, ancor più il primo maggio, quando si festeggia il lavoro. Abbiamo dovuto reinventare la festa, trasferirla nello spazio della rete che per quanto grande sia fatica lo stesso a contenere l’immensità del mondo del lavoro.

Parafrasando l’abusata metafora della guerra, diciamo che la guerra (al virus) continua. Teme che un periodo così lungo si sospensione della socialità possa aver infettato la democrazia?

Non mi piace la metafora della guerra. È bugiarda e sbagliata, può arrivare a giustificare qualunque cosa, anche la limitazione della libertà e della democrazia. Siamo in uno stato di emergenza sanitaria per contrastare una pandemia e bloccare un virus nei luoghi di lavoro e nel Paese. Penso che dobbiamo, tutti, trovare il modo di garantire la tutela della salute, del lavoro, la difesa e sviluppo dell’economia mantenendo e, se possibile, aumentando la democrazia e la partecipazione.

In questa crisi, in campo c’è il governo, con le sue misure eccezionali, le sue task force, la sua comunicazione. Dove è il sindacato? Sembra si sia occultato nel suo ruolo di supporto al governo.

Sindacato significa milioni d’iscritti, decine di migliaia di delegate e delegati che, nei luoghi di lavoro e nei territori, sono in campo, fin dal primo giorno, per la tutela della salute e della sicurezza economica di tutti. E penso che proprio tutti dovrebbero ringraziare il mondo del lavoro per ciò che ha fatto e sta facendo. Non abbiamo pensato solo alle lavoratrici e ai lavoratori.

Parlo della sua capacità di incidere politicamente.

C’è stata. Abbiamo sostenuto misure anche a favore delle imprese, nel contrasto alle forme di povertà e diseguaglianza che il coronavirus rischia di aumentare. Penso che una forza responsabile, quali noi siamo, debba sempre essere in campo coerentemente con le proprie proposte e, lealmente, farle valere nei confronti di tutti. Questo è quello che abbiamo fatto anche in questa occasione.

Segretario, diciamo le cose come stanno. Questa fase 2 è una confusione totale. E lo è perché manca al Governo un’idea di ricostruzione. È ora di uscire dalla tenaglia “lockdown sì” “lockdown no”. Condivide?

Che ci siano stati momenti di confusione è fuori dubbio. È anche vero che mai si era avuta una situazione così complessa. Sul futuro penso sia indispensabile aprire un’ampia riflessione su cosa fare e su come farlo. Il virus inciderà profondamente nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche, nell’economia, nella politica, negli aspetti più banali della società. Probabilmente inciderà anche sulle singole persone.

Oltre a riflettere, forse, bisognerebbe prendere decisioni, subito. Dia il suo indirizzo.

Ripartire dove ci siamo fermati con la stessa “macchina” di prima, sarebbe un errore imperdonabile. Dobbiamo ripensare l’intera organizzazione sociale del lavoro, ridando valore al lavoro, facendo contare di più i lavoratori nelle scelte, a tutti i livelli. E dobbiamo ripensare l’economia, dal fisco e dal welfare; la sanità; la formazione e l’istruzione; la pubblica amministrazione; la politica industriale; gli investimenti; la sostenibilità ambientale. Abbiamo bisogno di una nuova prospettiva politica, sindacale e culturale.

Regioni di destra contro Regioni di sinistra, Sud contro Nord, siamo assistendo a uno scollamento del tessuto unitario. O no?

Sì, e questo dimostra che lo slogan “ognuno padrone a casa propria” è terribilmente, e non lo uso a caso, sbagliato. Sì c’è stata confusione. Ci sono stati sbagli che stanno facendo pagare alle fasce più deboli, agli anziani, prezzi altissimi e su cui bisognerà andare sino in fondo nell’accertamento delle responsabilità. C’è stato, in qualche caso, irresponsabilità e pressapochismo. Quando saremo fuori dall’emergenza, dovremo pensare di modificare il titolo V della Costituzione. Non è di questa o di maggiore autonomia differenziata che abbiamo bisogno. C’è stata anche la dimostrazione che il pubblico è fondamentale, non sostituibile neanche con il migliore privato.

Ma lei adesso è favorevole a una regionalizzazione delle aperture?

Il tema delle riaperture è delicato. Vanno fatte con le cautele del caso seguendo le indicazioni degli esperti e valutandole politicamente. Di sicuro dove si apre, si deve fare nell’assoluto rispetto dei protocolli di sicurezza, monitorando l’epidemia e attuando tutte le precauzioni e le prevenzioni possibili.

Lei si è battuto far tornare i lavoratori in una condizione di sicurezza assoluta. Basta la sorveglianza interna dei lavoratori nelle aziende? Oppure era il caso di chiedere un intervento di controllo più pervasivo dello Stato, che ne so tramite i prefetti o altre figure dentro l’azienda?

Il nostro obiettivo primario è stata la tutela della salute di tutti i lavoratori è cioè di tutti i cittadini. Con il Governo e con le imprese abbiamo concordato un Protocollo condiviso di regole che è la strada per riaprire in sicurezza le aziende e gli uffici. È un impianto condiviso che ha assunto un valore giuridico e ora va fatto applicare. Con Cisl e Uil sui luoghi di lavoro e sul territorio siamo impegnati a farlo rispettare. Certo bisogna che siano potenziati i servizi ispettivi del Ministero del Lavoro e dei servizi di prevenzione e sicurezza del lavoro delle Asl.

E questo vale per chi torna al lavoro. C’è il problema della Cassa integrazione con i soldi che ancora non arrivano, così come i 600 euro mancano ancora a molte categorie. Non sarebbe il caso di finirla con gli annunci?

Ora si tratta di far rispettare a tutti gli impegni assunti. Le misure che lei cita sono state le nostre priorità assieme alla sicurezza nei luoghi di lavoro: evitare i licenziamenti e continuare a dare a tutti un reddito. Abbiamo chiesto e ottenuto l’allargamento della Cig a tutti i settori e un’azione di sostegno ai lavoratori autonomi e alle partite Iva, oltre che alle fasce più deboli e più povere della popolazione. Poi abbiamo rivendicato con forza la necessità di sostenere le imprese dando liquidità alle aziende. Abbiamo poi chiesto di favorire l’apertura di una linea di credito a tassi bassissimi, se non a fondo perduto. L’unico vincolo che chiediamo e di condizionare questi aiuti al mantenimento dell’occupazione e alla non delocalizzazione. Ora, dicevo, gli impegni si rispettano.

Sì, però vorrei porle una questione più di fondo. Di fronte al disastro che abbiamo davanti, Pil, disoccupazione, investimenti, cosa è disposto a fare il sindacato, che nella migliore tradizione nazionale, ha sempre avuto un ruolo di protagonismo, una visione generale si sarebbe detto?

Vorrei dirle che il sindacato sta già facendo molto. Intanto ha una proposta complessiva di riforma per il Paese, a cominciare dal lavoro. È tempo di un nuovo Statuto dei Diritti che si riferisca alle persone che lavorano e non semplicemente al tipo di rapporto attivato. Il lavoro non può più essere solo un fattore della produzione, un numero, un costo sempre e comunque comprimibile. Il diritto del lavoro deve essere riconfigurato, deve comprendere, ad esempio, il diritto alla formazione permanente, deve tutelare e promuovere le nuove condizioni che globalizzazione e innovazione tecnologica pongono. I meccanismi economici vanno ripensati in modo profondo. Per dirla con uno slogan, va ripensato il nostro modello di sviluppo e il nostro sistema sociale.

Col declassamento delle agenzie di rating è evidente che non si può scialare. Teme in autunno che si porrà il tema della ristrutturazione del debito?

Io lascerei stare le previsioni delle agenzie di rating. Forse ce lo siamo scordati, ma nel recente passato hanno causato danni enormi all’economia mondiale.

Per carità, però ci sono.

Siamo di fronte a una crisi che non ha nulla a che vedere con i meccanismi economici e finanziari che abbiamo visto finora. Gli Stati stanno investendo trilioni di dollari nella risposta alle difficoltà economiche del coronavirus. Inevitabilmente lo fanno in deficit. Ragionare con i parametri del passato è sbagliato. L’Europa deve essere in campo. Rappresenta la terza economia del mondo, non può attardarsi. Si è aperto uno spiraglio per cambiare la politica dell’austerità.

E, tutto sommato, l’Europa ha dato un segnali di vita a riguardo. Tuttavia resta il problema del nostro debito, che avevamo prima e abbiamo adesso. Per il momento abbiamo solo ottenuto spazio per prestiti a basso costo.

Dobbiamo insistere e proseguire su quella strada presa insistendo perché l’Europa possa usufruire di nuovi strumenti e di fondi capaci di supportare i grandi investimenti che tutti i paesi dell’Unione dovranno mettere in campo.

Lei è molto indulgente con questo governo. Non crede che, tra cessione di sovranità ai tecnici, annunci senza soldi che arrivano, assenza di un’idea di ricostruzione, sta favorendo un deflault della politica? E che questo default inevitabilmente porti a una soluzione di emergenza?

La Cgil è abituata a giudicare in autonomia ciò che fanno gli governi, non da chi sono composti. La nostra coerenza programmatica è certificata. Del resto negli ultimi dieci anni abbiamo già avuto sette diverse compagini governative e il problema di un rischio default della politica, come dice lei, c’era anche prima del virus.

Appunto, il virus è arrivato su un equilibrio instabile.

L’epidemia è un fatto inedito con cui fare i conti. La prima fase ha prodotto una serie di provvedimenti importanti come, ad esempio, il sostegno al reddito e gli ammortizzatori sociali, la liquidità per le imprese, il blocco dei licenziamenti, il protocollo sulla sicurezza assunto con valore giuridico, l’aumento degli investimenti a cominciare da quelli nella sanità pubblica. La “ricostruzione” porrà il tema di non usare una logica emergenziale, ma di tracciare un vero e proprio progetto di Paese e di Europa.

Quindi, lei è contrario a una situazione di emergenza.

In politica non c’è bisogno di soluzioni emergenziali, di salvatori della patria o di governi tecnici. C’è bisogno del coinvolgimento delle parti sociali per discutere e tracciare un nuovo assetto sociale, economico e produttivo. O si cambia tutti insieme o non si va da nessuna parte.

Quale è dal suo punto di vista l’alternativa a questo Governo? Il voto?

Ma davvero qualcuno può pensare che sia l’ora di far cadere il Governo? Come se la crisi di Governo agostana, quella del Papeete, ritenuta folle da tutti, non avesse insegnato nulla. E adesso, in piena pandemia, qualcuno davvero può pensare di far cadere un Governo? Davvero c’è qualcuno che pensa di rompere le alleanze invece di allargarle? Via…

Questa crisi, diceva giustamente lei, è uno spartiacque della storia. Il modello produttivo non regge più. Prefigurate un nuovo modello di concertazione o una nuova conflittualità imprese-lavoro?

Il virus ha fatto emergere tutte le fragilità del modello produttivo e sociale che si è affermato negli ultimi decenni. Credo sia necessario un accordo tra Governo e parti sociali che, dopo aver definito il Protocollo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, definisca le linee guida e le risorse finanziarie per disegnare uno sviluppo sicuro, di tutto il Paese. In questo ambito penso che, rispetto al sistema di relazioni industriali, sia il momento di avviare una stagione legislativa sulla rappresentanza che recepisca gli accordi interconfederali e, certificando la rappresentanza delle organizzazioni sindacale e datoriali, rafforzi il diritto alla contrattazione collettiva, dando così valore erga omnes ai contratti nazionali di lavoro. Finalmente si avrebbe la certezza del diritto democratico delle lavoratrici e dei lavoratori di partecipare e di votare.

Condivide le critiche che fa Carlo Bonomi, il presidente designato di Confindustria, alla politica? Dice: troppe chiacchiere, troppe task force, c’è, in materia di riaperture, uno spirito “anti-industriale”.

Non ho ancora avuto occasione di parlare con il presidente Bonomi, a cui rinnovo i miei auguri e i miei complimenti. Alcune sue prime dichiarazioni non le ho capite. Si può dire tutto, ma non che nella maggioranza di questo Paese ci sia uno spirito anti-industriale. Al contrario. Penso che il cambiamento debba riguardare tutti, imprenditori compresi, e quindi anche il modo di fare ed essere impresa.

Come interpreta il nuovo corso di Confindustria?

Prima di parlare è bene sapere. La squadra che ha proposto il presidente incaricato è certamente di qualità, con alcuni ho già lavorato bene in passato, altri non ho ancora avuto modo di incontrarli, cosa che farò con piacere in prossimo futuro. A tutti vanno i miei auguri e quelli della Cgil. Ma prima di dire ciò che penso voglio conoscere bene il programma della nuova Presidenza.

Se è vero che le grandi categoria della macroeconomia sono cambiate, se è vero che dopo il virus nulla sarà come prima, non crede che anche quelle del sindacato debbano innovarsi? Ricordo uno delle ultime riflessioni di Trentin, aveva nella testa lo smart working prima che si compisse la rivoluzione tecnologica. Quale sforzo di innovazione sta facendo la Cgil?

Trentin ci ha insegnato ad assumere la realizzazione delle persone e la loro libertà nel lavoro quali obiettivi strategici dell’azione politica e contrattuale dell’organizzazione sindacale e fondamento di un nuovo modello sociale.

Tradotto?

Significa superare l’idea prevalsa in questi anni di una competizione al ribasso sui diritti e le condizioni salariali tra le persone che hanno ridotto il lavoro ad essere considerato una merce da comprare e vendere sul mercato e determinato una precarietà nel lavoro e nella vita senza precedenti. L’emergenza sanitaria, l’emergenza climatica e la rivoluzione digitale, che stiamo vivendo rimette al centro il lavoro, il diritto alla formazione permanente, il diritto delle persone di poter partecipare alle decisioni che si  prendono nei luoghi di lavoro e nella società. Certo, questo richiede un cambiamento culturale ed organizzativo anche per la Cgil e per tutto il sindacato Confederale.

Lo dica in un titolo cosa sarà la sua Cgil in questa fase. A me sembra che, proprio lei che è stato il più movimentista, si è molto istituzionalizzato.

Sbaglia, non sono cambiato. Il nostro compito, attraverso l’azione contrattuale nazionale ed articolata, è quello di sperimentare, nei luoghi di lavoro e sul territorio, un nuovo modo di lavorare e di vivere, dando più spazio alle delegate ed ai delegati così come alle generazioni. Vogliamo essere un sindacato di strada capace di agire sul territorio e nei luoghi di lavoro. Vogliamo costruire l’unità del mondo del lavoro e quella sindacale, un più corretto sistema di contrattazione nelle imprese private e nella pubblica amministrazione. Questo è il cambiamento e l’innovazione di cui abbiamo bisogno.

La crisi sta ridisegnando le classi sociali. Ad esempio, i nuovi poveri: colf, badanti, lavoratori ambulanti, camerieri, lavoratori in nero. Chi pensa a loro?

Noi. Il sindacato confederale. Sono le nostre radici, è la nostra storia. Quando a partire dal 1891 nascevano in Italia le prime Camere del Lavoro tra i promotori non c’erano solo i lavoratori salariati o dipendenti ma la Lega dei fornai o dei ciabattini, per fare degli esempi, che oggi definiremmo commercianti o artigiani. Insieme con giustizia è il significato della parola sindacato. L’emancipazione della classe lavoratrice in tutte le forme con cui oggi al lavoro si esprime, dal lavoro dipendente alla partita Iva, rimane un obiettivo e un valore fondante della nostra azione.

E cosa propone per loro?

Dobbiamo oggi battersi per un nuovo Statuto del lavoro che ponga i diritti in capo alla persona che lavora e non al tipo di rapporto di lavoro. Cinquant’anni fa il Parlamento, votando lo Statuto, fu capace di far entrare la Costituzione in tutti i luoghi di lavoro. Oggi vogliamo di nuovo far vivere la Costituzione in un mondo del lavoro così diverso.

La nuova povertà si fronteggia col reddito di emergenza? È la logica dell’una tantum, del sostegno provvisorio. Basta?

No, la povertà e la diseguaglianza non hanno bisogno di una tantum, bonus o sostegni provvisori. La lotta alla povertà e alla diseguaglianza è un valore e una progettualità o non è. Penso che tutti dovremo impegnarci di più su questo fronte. Dobbiamo mettere in campo politiche subito politiche specifiche e universali che ci aiutino a scongiurare questo pericolo, perché poi sarà tardi. La nostra proposta parte dall’idea di un reddito di garanzia e continuità, esteso a tutti e collegato all’obbligo di percorsi formativi e di ricollocazione. Poi ci sono le povertà e le diseguaglianze immateriali. La conoscenza, la formazione, la scuola. Sono molto preoccupato per quello che potrà accadere a una generazione che ha perso una parte importante della formazione scolastica. Dobbiamo rimediare e dobbiamo farlo in fretta.

A proposito degli ultimi, condivide l’appello lanciato da Emma Bonino su HuffPost, a favore di un provvedimento straordinario sugli immigrati, che vada a svuotare il bacino degli irregolari e consenta di affrontare il futuro in condizioni di sicurezza per tutti?

Sì, serve un atto di coraggio, di civiltà e di umanità. Queste persone assicurano il cibo sulle nostre tavole. Ci portano i prodotti che compriamo seduti nel nostro salotto. Curano i nostri anziani e puliscono, oggi igienizzano, dove noi sporchiamo. La Cgil da tantissimo tempo si batte per la regolarizzazione dei lavoratori migranti. Il coronavirus ha aggravato le loro condizioni di vita e di lavoro. Si tratta di lavoratori tenuti spesso in condizione di vera e propria schiavitù. Ora con l’emergenza nell’emergenza, per la sicurezza di tutti e per ragioni di giustizia, umanità, civiltà, diritto queste persone vanno messe in condizioni di vivere, lavorare, curarsi, di aiutare il nostro Paese e la nostra economia, senza più essere sfruttati e senza doversi nascondere. Questa è la prospettiva non certo quella di chi vuole reintrodurre voucher, tenere il caporalato, continuare a sottopagare i lavoratori.

Più in generale, si sta mandando il Paese avanti con i bonus e la cassa integrazione. La famiglia con i voucher, le imprese con le garanzie mentre i pochi soldi freschi, a fondo perduto, solo a poche microimprese. È una strategia economica?

No, guardi quella è l’emergenza. Di fronte a scelte così drastiche come il blocco produttivo d’interi settori, il distanziamento sociale, la chiusura di aree del Paese, misure che tutti i Paesi del mondo hanno dovuto prendere, c’è una sola strada da percorrere: finanziare il lavoro, le famiglie e le imprese. Qualcuno è rimasto fuori? È possibile e bisogna rimediare al più presto. Poi bisognerà affrontare la progettazione del futuro.

Anche in questo caso: non ha ragione Bonomi che i decreti varati per dare soldi alle imprese sono un labirinto burocratico?

Può essere che ci siano stati ritardi e che alcuni meccanismi siano complicati. Si può sempre migliorare. Se il problema è la burocrazia, sono il primo a chiedere semplificazione aggiornamento delle procedure, maggiore informatizzazione, più personale, organizzazione della pubblica amministrazione, del sistema finanziario e delle banche. Se la richiesta è di saltare i controlli necessari a evitare truffe o, peggio, che le risorse vadano in mano alla criminalità organizzata, diciamo no.

Guardi il Ponte di Genova. Perché non può essere un modello di ricostruzione?

Per molti aspetti è lo stesso problema. Si tratta di velocizzare le procedure ambientali o di rendere più trasparenti e quindi più rapidi gli appalti? Vogliamo rendere più veloci i lavori di progettazione e messa in opera? Si sfonda una porta aperta. Se invece si vogliono superare verifiche sulla sicurezza ambientale, cancellare la concorrenza e avere solo ad affidamenti diretti, eludere controlli di legittimità, sulle infiltrazioni della criminalità organizzata, sulla correttezza e sicurezza del lavoro, mi spiace ma ci opporremo. Ci sono molte cose che si possono fare per migliorare, ma i limiti sono chiari e ineludibili.

Grazie, anche per il tempo dedicato. Buon Primo maggio.

Buon Primo maggio a tutti.


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