ROMA Il decreto Genova presenta profili di incostituzionalità e sarebbe basato «su responsabilità di Aspi non provate». Proprio per questo motivo, sul quesito di Autostrade contro il decreto che l'ha estromessa dalle operazioni di demolizione e ricostruzione del ponte Morandi, si dovrà pronunciare la Corte Costituzionale. L'ha stabilito il Tar della Liguria, che si sarebbe dovuto pronunciare sull'annullamento del provvedimento. Nell'attesa, il giudizio è stato sospeso.
Sono cinque le ordinanze emesse ieri dai magistrati amministrativi - e trasmesse alla Consulta - nei giudizi proposti da Autostrade per l'Italia e da Pavimental per l'annullamento degli atti relativi all'intervento di ricostruzione del viadotto sul Polcevera, crollato il 14 agosto 2018. Alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle parti ricorrenti sul decreto - poi convertito in legge - che ha escluso Autostrade per l'Italia, concessionaria della tratta autostradale, dallo svolgimento delle attività di ricostruzione, sono state giudicate rilevanti. La realizzazione dei lavori, con spese a carico del concessionario, è stata infatti affidata al commissario straordinario.
RESPONSABILITÀ NON PROVATE «Pur non potendosi ritenere che la legge-provvedimento sia di per sé incompatibile con l'assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione - si legge nelle ordinanze - essa deve osservare limiti generali, tra cui il principio di ragionevolezza e non arbitrarietà». Ed è proprio sull'applicazione di questi principi che sono stati sollevati dubbi, visto che il decreto sarebbe «basato su responsabilità di Aspi non provate». Per il Tar, infatti, il provvedimento sarebbe basato su «una meramente potenziale, perché non accertata, nemmeno in via latamente indiziaria, responsabilità di Aspi nella causazione» del crollo del Morandi. Ma non è tutto. Negli atti inviati alla Consulta si legge anche che sostenere che «Aspi è responsabile dell'evento non potrebbe costituire ragione giustificativa del decreto legge, perché si tratta di una valutazione che risulta essere stata adottata senza garanzie procedimentali, senza istruttoria adeguata a fare emergere anche solo elementi indiziari di responsabilità». Per questo motivo, «l'esclusione assoluta di Aspi dall'esecuzione di qualsiasi attività, essendo fondata sul solo sospetto di una possibile responsabilità della concessionaria, viola il principio di proporzionalità e ragionevolezza». Secondo il Tribunale, non viene chiarito perché l'operazione di ricostruzione «non avrebbe potuto essere effettuata da Aspi» anche sotto «la vigilanza di terzi o comunque in collaborazione con il commissario».
DIRITTI ALTERATI Il Tar sottolinea anche che «con norme giuridiche puntuali, specifiche e indirizzate ad incidere sulla propria sfera giuridica, il legislatore risulta aver alterato il complesso di diritti ed obblighi attribuiti alla ricorrente» dalla convenzione unica, che prevede l'obbligo «di mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva». Nel decreto Genova, quindi, l'esclusione di Aspi dai lavori non sarebbe motivata. Il legislatore sarebbe infatti intervenuto «nell'ambito del rapporto convenzionale», incidendo «autoritativamente sull'obbligo/diritto» di Autostrade «di porre in essere qualunque attività relativa alla demolizione e ricostruzione» del Morandi, ed escludendola dalla possibilità di partecipare alle gare per gli affidamenti di opere e servizi, imponendo anche prestazioni patrimoniali. Una soluzione che avrebbe dovuto avere alla base, appunto, «una giustificazione non irragionevole o illogica oltre che puntualmente motivata».
I CRITERI Non è tutto. Per i magistrati anche i criteri con cui sono stati stabiliti i costi a carico di Aspi sono «indeterminati e non pertinenti». Mentre quelli di individuazione degli espropri degli immobili sono stati giudicati irragionevoli: «Risultano in eventuale contrasto con la Costituzione».
Infine, nella sentenza si sottolinea anche che ad Aspi è stato chiesto un pagamento a fine 2018 pari a 449,86 milioni di euro, con la precisazione che «con successive intese si potranno definire le forme di disamina e rendicontazione dei fondi richiesti», salvo conguaglio.