ROMA Non c'è pace per la scuola neanche dopo la battaglia. A poche ore dalla conclusione del bellicoso Consiglio dei ministri notturno di lunedì, ieri un'altra Regione ha strappato. In mattinata il Piemonte guidato da Alberto Cirio ha infatti annunciato che gli studenti delle scuole superiori della Regione non torneranno in aula l'11 gennaio ma lo faranno solo una settimana dopo, il 18.
In sostanza, il tanto difficilmente concordato slittamento all'11 gennaio, non è stato reputato ancora sufficiente. Anzi, nonostante le opposizioni furenti portate nel Cdm dalla ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina e dall'intero blocco del M5s (appoggiati in questo scontro dalle ministre di Italia Viva e dal premier Giuseppe Conte), si fa strada anche nel governo l'ipotesi di far ripartire in tutto il Paese le scuole superiori con la didattica a distanza al 50% solo dal 18 gennaio. Per il momento è solo un'ipotesi in previsione di un'ulteriore risalita dei contagi ma, nel caso, avallerebbe ancor di più i dubbi mossi da molti governatori.
IL FRONTE La decisione del Piemonte di ieri ha infatti solo infoltito il fronte anti-aperturista a cui proprio lunedì si erano già iscritte anche Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna e Veneto. «Non ci sembra prudente in questa situazione epidemiologica riaprire le scuole» aveva fatto sapere il veneto Luca Zaia che ha già firmato un'ordinanza che rimanda tutto al 31 gennaio, proprio come fatto dal marchigiano Acquaroli e dal friulano Fedriga. Discorso diverso in Sardegna dove si attende ancora il provvedimento ufficiale che farà slittare le aperture al prossimo 15 gennaio.
Di tutt'altro avviso, Toscana e Sicilia che, al contrario, avevano annunciato di essere pronte a ripartire già il 7, come aveva già fatto sapere anche l'Emilia-Romagna.
Discorso a parte anche per Lazio, Puglia e Campania. Mentre la Regione guidata da Zingaretti, a quanto trapela, continua infatti a considerare un'opzione quella di ripartire il 18 (ma aspetta sempre i provvedimenti del governo), gli altri due territori hanno già optato per soluzioni diverse. In Puglia ad esempio Michele Emiliano, che non ha ancora stabilito se si rientrerà l'11 o il 18, lascerà in ogni caso decidere ai genitori degli alunni se fare lezione da casa o in aula. Ancora più rigida la Campania che già la settimana scorsa ha imposto un suo calendario che a partire dall'11 gennaio prevede il rientro in classe degli alunni della scuola dell'infanzia e delle prime due classi della scuola primaria e poi, previa valutazione dei dati, a partire dal 18 gennaio il resto della scuola primaria, e successivamente, dal 25 gennaio, la secondaria di primo e secondo grado.
I DUBBI In pratica, ovunque, i dubbi su cosa sia giusto o meno fare non sono stati ancora fugati. E così, mentre Azzolina ieri a RaiNews24 ha ribadito come «se si chiude la scuola si deve chiudere tutto il resto, anzi la scuola dovrebbe essere l'ultima a chiudere» perché non esiste più «il problema trasporto» e perché ci sono «tutte le condizioni per riportare gli studenti a scuola l'11 gennaio» (ricordando che dal 7 tornano comunque in classe 5 milioni di studenti del primo ciclo), gli operatori la vedono diversamente.
Secondo il presidente dell'Associazione nazionale presidi (Anp) Antonello Giannelli infatti: «Non c'è gran differenza tra il ritorno dei ragazzi in presenza il 7 o l'11; a me lascia stupito la visione strabica tra governo e autorità regionali. Noi non siamo per il rinvio, riteniamo che la scuola in presenza sia un valore assoluto ma se il tornare a scuola comporta rischi significativi è evidente che si deve stare in dad».