ROMA Il tana libera tutti viene certificato nell'ultimo Dpcm che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte presenta in conferenza stampa nell'usuale orario da prime time televisivo. Tutti d'accordo e tutti contenti, premier e i venti presidenti di regione che da ieri sera hanno iniziato a produrre altre linee guida valide solo nel proprio confine regionale.
E' da tempo che le amministrazioni regionali vengono accusate di avere «tanta gestione e poca responsabilità». Così come molteplici i tentativi di arginare alcune competenze - sanità in testa - che, con un po' di faciloneria e ansia federalista, sono state trasferite nel 2001, con la modifica del Titolo V, in via esclusiva dallo Stato alle regioni. I successivi tentativi costituzionali di correggere la rotta sono falliti. E così l'esperienza che si trae dall'emergenza Covid-19 ieri mattina l'ha riassunta Andrea Orlando, ex ministro e vicesegretario del Pd, partito che a suo tempo fece la modifica del Titolo V e che ha un segretario presidente di regione come Nicola Zingaretti: «Non reggiamo più con venti sanità differenziate dove ognuno va per i fatti suoi».
EMERGENZA ALLE SPALLE In serata rafforza il concetto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. «Passata l'emergenza - spiega - dobbiamo riflettere, fare un dibattito pubblico e valutare con tutte le forze politiche se si può migliorare qualcosa su questo tema», ovvero il riparto di competenze con le regioni. Mettere mano ad una riforma costituzionale non sarà però facile. Anche se l'attuale stagione sovranista ha messo in ombra gli anni dell'abbuffata federalista e anche la Lega ha riposto le bandiere del Nord, sui territori regionali si muovono, ormai da anni, interessi e leader che difficilmente accetteranno un ridimensionamento. Senza contare che l'emergenza di questi mesi ha esaltato, sia a sinistra che a destra, alcune personalità che, per bravura o fortuna, sono meglio riuscite ad affrontare l'emergenza sanitaria. Luca Zaia, ex ministro e governatore del Veneto, è l'astro nascente del centrodestra, così come Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna, è la riserva dei dem. D'altra parte il Pd ha attinto anche di recente nella filiera amministrativa regionale eleggendo segretario Nicola Zingaretti e altri, oltre a Bonaccini, scalpitano. Chiedendo una «riflessione» Conte sembra rivolgersi proprio al Pd, sapendo che il M5S ha invece il problema opposto. Il deficit grillino di amministratori locali, soprattutto regionali, tiene ai margini il Movimento in una stagione dove proprio sulle regioni si abbatterà una pioggia di finanziamenti statali ed europei.
In attesa che qualcosa cambi, l'avvio della Fase2 si è caratterizzato per la resa dello Stato centrale che ha rinunciato anche a quel minimo di coordinamento svolto - attraverso il ministro Francesco Boccia - nella fase acuta della pandemia. Nulla si riserva di dire sui modelli organizzativi sanitari regionali che hanno fallito o per essere indirizzati troppo verso il privato o per gli sprechi in opere pubbliche dalla scarsa resa. Il risultato è che la competenza esclusiva lascerà ancora in mano - chissà per quanto tempo ancora - alle regioni le decine di miliardi destinati ad affrontare anche l'eventuale seconda ondata della pandemia che si prevede in autunno. Senza contare le riaperture della Fase2 dovranno fare i conti con la possibile ripresa di focolai epidemici. In Lombardia il virus ha iniziato a circolare ai primi di gennaio. Il 23 gennaio il ministero della Salute inviò una nota a tutti i gestori della sanità lombarda sulla «polmonite da nuovo corona-virus» invitandoli a verificare la disponibilità del materiale protettivo mentre la prima mossa della regione lombarda arriva solo dopo un mese. Ritardi, sottovalutazioni, ma anche forti spinte nel tentativo di evitare quelle chiusure che oggi potrebbero riproporsi, qualora in alcune zone dovesse riaffacciarsi il virus. Anche se ieri sera Conte ha negato ci sia stato uno scarico di responsabilità, trasferire di fatto alle amministrazioni regionali e ai rispettivi presidenti il compito di chiudere dopo aver di fatto aperto anche prima che si conoscessero gli ultimi dati sulla diffusione del virus, formalmente pareggia quella grande mole di competenze assegnate dalla modifica costituzionale del 2001, ma non risolve il problema.
Il governo si ritaglia infatti la possibilità di intervenire in caso di emergenza, come è accaduto nella fase acuta della pandemia. Di fatto un intervento ex post, visto che le linee guida della Fase2, dopo il braccio di ferro di venerdì sera, sono state scritte dalle amministrazioni regionali in direzione di una totale riapertura.
E così, come nella celebre gag di Gigi Proietti nei panni di avvocato, i governatori potranno prendersi i meriti della riuscita della Fase2, ma gli resterà ancora la possibilità di attribuire al governo la responsabilità, perchè toccherà a palazzo Chigi decretare nuove chiusure. Così come accaduto a febbraio.
Sono Lombardia, Molise e Umbria le tre vigilate speciali del ministero
ROMA La spia che segnala un livello di allarme moderato si è accesa per la Lombardia: non solo perché l'aumento dei casi positivi non si arresta e, anzi, ieri ha avuto un'impennata rispetto al giorno precedente, ma perché c'è il timore di un «sovraccarico dei sistemi sanitari», sia pure in una situazione di riduzione dell'occupazione dei posti letto. Ma la valutazione del Ministero della Salute e dell'Istituto superiore di sanità, redatta sulla base dei 21 indicatori che servono a vigilare, settimanalmente, sull'andamento dell'epidemia regione per regione, aggiunge nel report: in Lombardia «rimane elevato il numero di nuovi casi segnalati ogni settimana seppur in diminuzione». Per tutti questi motivi, nelle «pagelle» diffuse ieri la Lombardia è una delle tre regioni con il livello moderato di attenzione, che diventa moderato-alto proprio per la parte legata all'impatto sui servizi assistenziali.
SCENARI A sorpresa, le altre due regioni per le quali si è accesa la spia, sono Molise e Umbria. Come è possibile visto che sono due dei territori italiani con meno casi positivi? Si legge nella valutazione di Iss e Ministero della Salute, a proposito del Molise: «La classificazione settimanale è passata da bassa a moderata (probabilità moderata/alta di aumento di trasmissione ed un basso impatto sui servizi assistenziali) per un nuovo focolaio di trasmissione, attualmente in fase di controllo, che ha prodotto un aumento nel numero i casi nella scorsa settimana. Questo si potrà riflettere in un aumento nella stima di Rt nelle prossime settimane». L'Rt è l'indice di trasmissione del virus e il Molise paga un improvviso aumento di casi legati alla partecipazione di un gruppo di persone, al cui interno c'era un positivo, a un funerale di un cittadino rom a Campobasso. Negli ultimi giorni, comunque, il numero dei nuovi casi è tornato a essere molto basso e questo fa pensare che il focolaio sia stato circoscritto, anche se ha avuto una propagazione nel vicino Abruzzo, a Vasto, dove sono risultate positive 14 persone che avevano partecipato al funerale di Campobasso. E l'Umbria che ieri ha registrato 0 casi? Paga l'indicazione proprio dell'Rt, un valore che misura quante persone vengono contagiate da un infetto in un determinato periodo di tempo: in questa fase dell'epidemia penalizza paradossalmente le regioni con meno positivi. Deve restare sotto l'1, ma secondo la relazione della cabina di regia di Ministero della Salute e Iss, l'Umbria è a 1,23. Per questo scrivono i tecnici: «La classificazione settimanale è passata da bassa a moderata (probabilità moderata/alta di aumento di trasmissione ed un basso impatto sui servizi assistenziali) per un aumento nel numero di casi ed un Rt maggiore di 1, seppur in un contesto ancora con una ridotta numerosità di casi segnalati e che pertanto non desta una particolare allerta». Più in generale si legge nel report: «È necessario un rapido rafforzamento dei servizi territoriali per la prevenzione e la risposta a Covid-19, per fronteggiare eventuali recrudescenze epidemiche durante la fase di transizione». In 18 Regioni si rileva una «bassa probabilità di aumento di trasmissione ed un basso impatto sui servizi assistenziali». Fra queste, ci sono 10 Regioni «con un'incidenza settimanale bassa e intermedia-bassa, in cui il lockdown ha impedito il diffondersi dell'infezione; 8 ad incidenza alta e intermedia-alta, con una situazione complessa ma controllata». In 6 Regioni si segnala «una situazione epidemiologica in evoluzione e fluida per la presenza di focolai di trasmissione da monitorare con attenzione». Sono: Umbria, Piemonte, Toscana, Liguria, Emilia-Romagna e Puglia.
Torniamo all'indice di trasmissione. C'è un'altra ragione che ridimensiona le preoccupazioni per l'Umbria: nel calcolo dell'Rt, quando ci sono pochi casi, c'è anche un ampio margine di errore, e infatti l'indicatore oscilla tra 0,65 e 1,79. Tra le altre regioni, ha un Rt alto il Friuli-Venezia Giulia (0,86). Molto bene la Sardegna (0,24) e la Basilicata 0,27. In zona sicurezza il Veneto (0,41), la Campania (0,58) e il Lazio (0,74). Nella tabella finale sono anche inserite le valutazione dell'incidenza settimanale di nuovi casi ogni 100mila abitanti: il Lazio ha una valutazione buona (intermedia-bassa), la Campania migliore (bassa), senza preoccupazioni anche il Veneto (intermedia-alta). Le Marche hanno un Rt basso (0,55) e una valutazione intermedia-alta sui nuovi casi (la stessa dell'Abruzzo, che ha l'Rt a 0,45). La valutazione alta, quindi non buona, sul numero di casi settimanali riguarda solo Liguria (che però ha Rt sotto 0,50), Lombardia, Molise, Piemonte, Trento. Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di sanità: «Grazie alle misure di lockdown, oggi la circolazione del virus è molto contenuta in gran parte del Paese. Rimangono focolai importanti in alcune zone dove è importante mantenere alta l'attenzione. Ci sono focolai diffusi in tutto il Paese, ma i segnali mostrano che c'è una capacità di controllarli».