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Data: 04/12/2019
Testata Giornalistica: IL CENTRO
    IL CENTRO

Rigopiano, il giudice archivia i politici Escono dalla vicenda D'Alfonso e gli ex governatori di centrodestra e centrosinistra, ex assessori e funzionari regionali. Resta fuori anche il capitolo sulla prefettura

La sala operativa «non era in condizioni di decidere». In «buona fede» Provolo e l'ex sottosegretario Chiavaroli GUARDA IL SERVIZIO TRASMESSO DA SKYTG24


PESCARA "Non si ritiene che gli elementi investigativi indicati negli atti di opposizione (in quanto irrilevanti) possano incidere sulle risultanze investigative, precise ed esaustive, raccolte dal Pm, non potendo sminuire le considerazioni da queste assunte nella richiesta di archiviazione e condivise da questo giudice". Il gip Nicola Colantonio, con questo passaggio finale delle 80 pagine di provvedimento, decreta l'archiviazione delle 22 posizioni che riguardavano in maggior parte il versante politico della tragedia di Rigopiano del 18 gennaio 2017 con i suoi 29 morti, così come avevano richiesto il procuratore Massimiliano Serpi e il sostituto Andrea Papalia.I NOMI. Vanno archiviate dunque le posizioni dei vertici delle tre giunte di Ottaviano Del Turco, Giovanni Chiodi e Luciano D'Alfonso, oltre alle posizioni dei responsabili politici della protezione civile, per finire con i rappresentanti della Prefettura solo per quelle circostanze evidenziate dalla procura. In archivio finiscono dunque, oltre ai già citati, anche Federica Chiavaroli, Vittorio Di Biase, Bruno Di Tommaso, Cristina Gerardis, Tommaso Ginobile, Carlo Giovani, Gianfranco Giuliante, Antonio Iovino, Silvio Liberatore, Vincenzino Lupi, Andrea Marrone, Mario Mazzocca, Enrico Paolini, Francesco Provolo, Giovanni Savini, Mahmuod Srour, Daniela Stati, Daniela Acquaviva e Tiziana Capuzzi.

CARTA VALANGHE. Le opposizioni alle archiviazioni si erano incentrate comunque quasi tutte sulla posizione dell'ex governatore D'Alfonso che era chiamato in causa per la mancata realizzazione della carta pericolo valanghe e anche per la questione dell'emergenza. Sul primo punto il gip è piuttosto categorico: "gli indagati (D'Alfonso e Mazzocca ndr) non erano in condizione di poter redigere una Carta valanghe in tempo utile per prevenire ed evitare lo specifico rischio di caduta valanghe nell'area di Farindola/Rigopiano nell'anno 2017".

1.300 GIORNI. Ci sarebbero voluti almeno 1.300 giorni di lavoro prima di formulare una Carta. E quindi questa riflessione "porta ad escludere che D'Alfonso e Mazzocca abbiano potuto avere, per colpa, una qualsivoglia incidenza eziologica determinante nella causazione dello specifico evento oggetto di giudizio". E per meglio esplicitare il concetto il giudice "esclude la configurabilità dell'elemento soggettivo della colpa: la considerazione che anche l'ipotizzata attivazione, al momento di assunzione dell'incarico dirigenziale da parte dei componenti della giunta presieduta da D'Alfonso, dell'iter amministrativo per la formazione della Carta estesa a tutto il territorio regionale non sarebbe stato presidio idoneo a prevenire gli eventi infausti, atteso che l'esito della procedura stessa poteva intervenire solo in epoca successiva alla caduta della valanga in Rigopiano". Il gip evidenzia anche come la giunta D'Alfonso si era attivata per la redazione della Carta: "Si poneva la problematica del rischio valanga e cercava di risolvere la problematica nel solco di quella che era la politica regionale e le indicazioni degli organi tecnici competenti". La questione dell'emergenza è un altro capitolo caldo della vicenda, anche se espressamente normata dalla legge come sottolinea il gip, che evidenzia come "nessun ritardo o inadempimento, può rilevarsi nella valutazione della tempistica dell'attivazione del Core da parte dei soggetti responsabili". D'Alfonso e Liberatore, secondo il giudice, hanno agito "nel rispetto della normativa di riferimento...Peraltro occorre segnalare che le problematiche inerenti l'isolamento dei soggetti presenti presso la struttura alberghiera in Rigopiano non era stata evidenziata, preventivamente, agli organi operativi della regione da parte delle autorità territoriali comunali e provinciali".

PROCEDIMENTO MADRE. E qui il gip entra nel merito con considerazioni utili anche per quanto attiene il procedimento madre in corso. "I responsabili del Comune di Farindola e della Provincia di Pescara, nonostante l'eccezionale nevicata in atto e la carenza di mezzi tecnici idonei a rimuovere la neve, si erano adoperati esclusivamente per far accedere gli ultimi clienti presso la struttura alberghiera". E poi analizza anche la piramide di responsabilità per la gestione dell'emergenza. "Compete in primo luogo al sindaco che può avvalersi del supporto tecnico del Centro Operativo Comunale. Il sindaco può rivolgersi al presidente della Provincia per le problematiche afferenti alla viabilità e quando la calamità non può essere fronteggiata con i mezzi a disposizione, può chiedere l'ausilio dello Stato avanzando richiesta formale al Prefetto". "Ciò posto - conclude sul punto - si rileva che le autorità comunali e provinciali, in epoca antecedente e prossima al distacco della valanga, non avevano fatto alcun accenno specifico in merito alle problematiche dell'isolamento dei soggetti presenti in hotel, né segnalato la situazione emergenziale alle autorità regionali".

Resta fuori anche il capitolo sulla prefettura La sala operativa «non era in condizioni di decidere». In «buona fede» Provolo e l'ex sottosegretario Chiavaroli

PESCARA Nell'archiviazione su Rigopiano c'è anche il capitolo Prefettura, ma soltanto per quanto riguarda la mancata tempestività nell'attivazione dei soccorsi e la questione legata alla notizia sui superstiti che coinvolgeva l'ex prefetto Francesco Provolo e l'ex sottosegretario alla Giustizia Federica Chiavaroli. Quanto alle telefonate d'aiuto fatte in Prefettura dal sopravvissuto cuoco Giampiero Parete e da Quintino Marcella. «deve evidenziarsi - scrive sul punto il gip Nicola Colantonio - che Vincenzino Lupi e Daniela Acquaviva (che si trovavano nella sala operativa della Prefettura ndr) non erano in condizione di procedere alla verifica empirica ed immediata della effettiva situazione di fatto del Resort, proprio per l'impossibilità di potersi avvalere (per le condizioni meteo proibitive, ostative all'uso di elicotteri) ad indagine con mezzi aerei. Inoltre non può tacersi che le notizie veicolate, nelle immediatezze, dal titolare della struttura alberghiera (Bruno Di Tommaso ndr) agli indagati stessi andavano a sconfessare il tenore delle richieste d'intervento del Parete e del Marcella". E il giudice spiega anche quale era la situazione in quella sala operativa. "Gli operatori presenti, in un momento di evidente concitazione collettiva (in conseguenza dei gravi eventi sismici che avevano appena colpito l'intero territorio regionale: quindi in presenza di calamità che avevano indotto, certamente, numerosissimi soggetti a richiedere attività di soccorso), in relazione alla situazione del Resort presente in Rigopiano, avevano ricevuto telefonate, quelle di Parete e Marcella da una parte e quella di Di Tommaso dall'altra, aventi contenuto diametralmente opposto. Non può tacersi che le dichiarazioni di Di Tommaso, nella circostanza potevano, in buona fede, godere di maggiore credibilità ed attendibilità, atteso che provenivano direttamente dal gestore della struttura di cui si assumeva l'avvenuto crollo". Il gip cita anche i risultati delle consulenze mediche sulle vittime in rapporto alla tempistica dei soccorritori: risultati che "hanno escluso, sotto il profilo medico legale, che il ritardo, rispetto alla telefonata del Parete, nell'attivazione dei soccorsi, abbia avuto incidenza teleologica giuridicamente apprezzabile". Circa la presenza del povero Stefano Feniello nella lista dei sopravvissuti, pubblicizzata dal Prefetto Provolo, il gip afferma che "si tratta di condotta di per sé neutra, o addirittura benefica (in quanto diretta a dare sollievo immediato ai familiari dei superstiti), che però si basava su una erronea percezione della situazione di fatto concreta: l'inclusione del nominativo di Stefano Feniello nell'elenco dei soggetti ancora in vita". Provolo nella circostanza "avrebbe agito in buona fede...non possono evidenziarsi profili di colpa in capo al predetto per aver fatto affidamento su quanto a lui riferito da soggetti che, effettivamente, avevano avuto contatti diretti con i soggetti ancora in vita tra le macerie". E lo stesso vale per la Chiavaroli che "solo occasionalmente si era trovata a contattare i familiari di Feniello al solo fine di portare loro la solidarietà ed il conforto dei rappresentanti dello Stato". Il giudice tocca anche la questione sicurezza della struttura esaminando le posizioni di Bruno Di Tommaso e di Andrea Marrone quale responsabile della sicurezza dell'hotel. I due, "facendo legittimo affidamento sulle determinazioni dell'autorità amministrativa (che, analizzando lo stato dei luoghi e la natura dell'attività commerciale, aveva ritenuto possibile, senza prescrizioni, l'edificazione e lo svolgimento dell'attività ricettizia), non fossero in condizione di poter valutare la sussistenza dell'effettivo pericolo di caduta valanghe: quindi può ragionevolmente escludersi che gli indagati abbiano omesso di apprestare i presidi di sicurezza proprio per arrecare danno ai lavoratori ed ai clienti". (m.c.)

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