Data: 25/05/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA |
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Riforma del catasto, nuova raccomandazione della Ue: ma la riforma Draghi è stata cancellata
Alla fine, la Ue è tornata a sollecitare l’Italia: il Catasto deve essere aggiornato «agli attuali valori di mercato». Già l’anno scorso la Commissione aveva prodotto una raccomandazione in cui si invitava il nostro Paese a «ridurre la pressione fiscale sul lavoro attraverso una riforma dei valori catastali». L’Italia, come sappiamo, è uno dei Paesi con la pressione fiscale più alta sul reddito da lavoro, mentre è tra quelli che tassano meno gli immobili. Il governo Draghi aveva avviato una riforma la cui legge delega era «coerente» con la raccomandazione della Commissione europea. Ma le cose andarono come sappiamo. A febbraio 2022 il governo Draghi era andato sotto 4 volte alla Camera, a causa del tetto sul contante, ma anche per la barricata della Lega che chiedeva lo stralcio delle norme sulla mappatura del Catasto. Poi, di nuovo, nel marzo successivo, la riforma voluta da Draghi era passata solo per un voto, bocciando l’emendamento soppressivo presentato dai partiti di destra e di centro-destra in commissione Finanze alla Camera. La caduta del governo e le nuove elezioni nell’autunno nel 2022, con la vittoria della coalizione di destra-centro, hanno messo una pietra tombale sulla riforma. Ma sul Catasto il governo italiano — questa la replica di Palazzo Chigi a Bruxelles — ritiene di essere più avanti rispetto a Francia e Germania, dove i valori catastali sono più vecchi rispetto a quelli italiani. Il no del governo Meloni Draghi lo ripeteva come un disco rotto: di fatto, mappare il nostro parco immobiliare assicurerebbe trasparenza facendo emergere gli “immobili fantasma” e anche gli abusi edilizi che hanno avuto luogo dalla fine degli anni Ottanta (l’ultima revisione del catasto è del 1988-89) ad oggi. A inizio del 2023, però, dopo l’insediamento del governo Meloni, ci aveva pensato il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, a ribadire che la riforma non è una priorità e che nella nuova legge delega non avrebbe trovato spazio il Catasto. Il viceministro aveva infatti spiegato che i valori catastali italiani non hanno bisogno di essere aggiornati nell’immediato, poiché l’ultimo aggiornamento risale alla fine degli anni Ottanta. «Negli altri Paesi - aveva aggiunto - la rivalutazione è ben più datata: l’aggiornamento catastale non viene fatto in Austria dal 1973, in Belgio dal 1975, in Francia dal 1970, mentre il nostro risale all’88-89, quindi non possiamo dire di essere la Cenerentola dell’aggiornamento dei valori catastali». Insomma, visto che l’aggiornamento noi l’abbiamo fatto dopo altri Paesi, siamo a posto così. Dimenticando però che Austria, Francia e Belgio non hanno il numero di “immobili fantasma” e di abusi edilizi che “vanta” l’Italia. Cosa prevedeva la riforma targata Draghi La riforma del Catasto secondo Draghi prevedeva due cose distinte. La prima, che - va detto - era di fatto condiviso dall’intero Parlamento, doveva disporre la modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili. In particolare, la norma mirava a facilitare e accelerare l’individuazione e il corretto classamento degli “immobili fantasma” (quelli che a oggi non sono censiti) o che non rispettano la reale consistenza di fatto o di destinazione d’uso. Idem per gli immobili che non rispettano la categoria catastale attribuita, i terreni edificabili accatastati come agricoli e tutti quelli che rientrano nella categoria di “immobili abusivi”. Il secondo punto della riforma tentata dall’ex premier, e che aveva spaccato in due la sua larga maggioranza, prevedeva la revisione del catasto dei fabbricati. Il Catasto italiano ha per tradizione una natura reddituale (dell’immobile cioè, si considera la potenziale capacità di produrre reddito): la novità tentata da Draghi era di introdurre la qualificazione patrimoniale. Questo il punto bollente della riforma, con le destre che accusavano che la variazione di gettito avrebbe avuto ricadute sulle tasse sulla casa. Le rassicurazioni inascoltate di Draghi. La tesi di Draghi era che la variazione di gettito in sostanza non avrebbe cambiato nulla. I nuovi calcoli avrebbero reso sì disponibili i dati reali, che però non sarebbero stati usati come base imponibile per nuove tassazioni. Insomma, qualcuno ci avrebbe guadagnato qualcosa, altri ci avrebbero perso, ma di fatto le paventate nuove tasse sulla casa non ci sarebbero state. Sicuramente, poi, non nell’immediato, perché la riforma avrebbe avuto i suoi primi effetti a partire dal 2026, quando ci sarebbe stato comunque un nuovo governo (di fatto, quello attuale della Meloni) che avrebbe potuto vigilare proprio su questo punto. Ma le rassicurazioni di Draghi non avevano sortito alcun effetto. L’ultimo atto E si arriva così all’ultimo atto. Quello forse un po’ farsesco. La riforma del Catasto è improvvisamente apparsa ad aprile scorso nel Documento di economia e finanza del governo Meloni, assecondando così le richieste dell’Unione europea. Il testo dice: «Adottare e attuare adeguatamente la legge delega sulla riforma fiscale, per ridurre ulteriormente le imposte sul lavoro e aumentare l’efficienza del sistema, in particolare mediante una revisione delle aliquote d’imposta marginali effettive, l’allineamento dei valori catastali ai valori di mercato corrente...». La maggioranza al governo ha dunque cambiato idea? A rispondere ci ha pensato il Mef, che ha precisato che la frase si riferisce semplicemente a «una sessione di carattere meramente ricognitorio degli interventi già adottati in passato». Insomma, si è trattato solo di un copia e incolla delle raccomandazioni dell’Ue, un modo per tranquillare Bruxelles, guadagnare tempo e rimandare ancora una volta questa benedetta riforma. |
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