ROMA «Lascio il Pd». Il dado è tratto: Matteo Renzi se ne va e il Partito democratico subisce una nuova scissione. L'ex premier ormai ha deciso e nei prossimi giorni (forse già in settimana) darà vita ai suoi gruppi parlamentari. Ma, assicura il senatore di Rignano, «confermo pieno sostegno al governo». Renzi lo ha annunciato in serata al premier Giuseppe Conte in una telefonata. Sono dunque caduti nel vuoto gli ultimi appelli all'unità arrivati solo domenica da Nicola Zingaretti («la scissione sarebbe drammatica») e da Dario Franceschini («Matteo resta, questa è casa tua»). Renzi, dopo settimane di pressing da parte dei fedelissimi, rompe gli indugi. L'obiettivo è quello di creare una cosa nuova («una renzata» l'ha definita nei giorni scorsi), nella convinzione che ci sia uno spazio enorme per un soggetto moderato e riformista. Il nome è ancora da decidere (si è parlato di Italia del sì o di Italia in crescita) e il progetto verrà illustrato alla prossima Leopolda, convocata a Firenze dal 18 al 20 ottobre. La ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova sarà il capo della delegazione al governo (composta anche da Elena Bonetti, Anna Ascani e Ivan Scalfarotto) e il vicepresidente della Camera Ettore Rosato il coordinatore nazionale del soggetto renziano.
L'ex segretario del Pd assicura che l'esecutivo non rischia nulla. Tutt'altro, racconta chi ha parlato con lui: «Questa è un'operazione che punta a fare chiarezza, il passo è stato deciso ora, e non più avanti, proprio per non destabilizzare l'esecutivo».
Lo strappo è consumato. Dovrebbero seguire Renzi venti deputati (da Maria Elena Boschi a Roberto Giachetti fino a Lucia Annibali) che daranno vita a un gruppo autonomo a Montecitorio, il cui presidente sarà Luigi Marattin, e quattro o cinque senatori (dalla ministra Teresa Bellanova all'ex tesoriere Francesco Bonifazi), che per ora si potrebbero accomodare sugli scranni del Gruppo Misto assieme al leader. Si lavora sotto traccia per agganciare un piccolo drappello di parlamentari di FI e continuano i contatti con i berlusconiani che non vogliono tornare tra le braccia di Matteo Salvini.
I FINANZIATORI A sorpresa, però, manca all'appello una pattuglia di fedelissimi (o ex?). Tra questi spiccano Dario Nardella e Giorgio Gori: «Io resto nel Pd, l'ho sempre detto - sostiene il sindaco di Firenze - penso che tutti gli altri debbano riflettere molto perché uniti siamo più forti e divisi siamo più deboli». «Non credo ai partiti personali», twitta il primo cittadino di Bergamo. Non saranno della partita nemmeno Debora Serracchiani né le due neosottosegretarie Alessia Morani e Simona Malpezzi. Restano nei dem anche Luca Lotti e Lorenzo Guerini con tutta la loro corrente Base riformista.
L'operazione renziana nasce da lontano, l'ex segretario ha deciso a luglio di far nascere il suo partito. E per avere più tempo per organizzare la sua nuova creatura ha evitato di precipitare verso le elezioni di ottobre (il progetto di Salvini), favorendo per primo la trattativa di Ferragosto tra M5S e Pd. Per la stessa ragione in estate ha spinto il pedale dell'acceleratore sul fronte delle donazioni a favore dei suoi comitati Azione civile - Ritorno al futuro: ammontavano a 20mila euro a giugno, sono arrivate a 260mila a luglio e a 220mila ad agosto. Tutte regolarmente registrate. Tra i maggiori finanziatori (100mila euro) Daniele Ferrero, primo azionista e ad di Venchi (il colosso del cioccolato), e Davide Serra, il finanziere con sede e residenza nella City fondatore di Algebris.
Allarme Conte-Zingaretti «Rischio mina vagante»
ROMA «Non mi prendo molta gente. Per evitare di fare troppo casino, la mia è quasi un'operazione a numero chiuso». Matteo Renzi è ai dettagli della scissione. E se l'ex premier, come garantisce ai suoi, non fa «campagna acquisti», è perché intende mantenere un piede nel gruppo del Senato, di cui è presidente il suo Andrea Marcucci. Soluzione che Nicola Zingaretti e Dario Franceschini potrebbero decidere di subire per non vedere il gruppo di palazzo Madama perdere altri pezzi... renziani.
La scissione dell'ex premier è, insomma, magmatica. Senza ordini di scuderia. E uscite di massa. Questo anche per cercare di non allarmare Giuseppe Conte e il leader dei 5Stelle, Luigi Di Maio. Il presidente del Consiglio (e i presidenti delle Camere), che Renzi dovrebbe incontrare nei prossimi giorni, è già stato rassicurato, come poi confermato ieri sera da una telefonata: «Ho detto a Conte - dice l'ex premier - che la nascita del mio partito non metterà in alcun modo a rischio il governo», confida, «del resto, quale interesse avrei? Se questo esecutivo è nato, in gran parte è merito mio. E con la mia scelta ne amplieremo il consenso, allargheremo al centro i confini della maggioranza». Eppure, ritrovarsi il nemico di sempre come interlocutore e azionista a pieno titolo del governo - la capodelegazione nelle trattative sarà la renziana Teresa Bellanova (ministra dell'Agricoltura) - non piace a Di Maio. E allarma Conte, che teme «ripercussioni» sulla tenuta e la stabilità dell'esecutivo. «Non subito, ma tra qualche mese, chissà».
Così, se la versione ufficiale di palazzo Chigi e dei grillini è «la scissione era nell'aria, nessun dramma e nessuna sorpresa», in realtà la preoccupazione c'è. Eccome. «Perché una cosa è discutere solo con il Pd, con il quale la sintonia sulla svolta ambientale e sociale appare almeno per ora forte», dice un alto esponente 5Stelle, «un'altra sarà ritrovarsi a discutere con un liberal-radical-riformista come Renzi, potenzialmente portatore di scelte opposte a quelle del Movimento». In sintesi: l'ex rottamatore potrebbe rivelarsi «una mina vagante».
Soprattutto quando si dovrà discutere di nomine: dall'Agcom al garante della privacy, da Eni ed Enel, a Poste, Leonardo e Terna. La vera ragione, secondo più di un dem, che ha spinto Renzi ad accelerare la scissione. Pista confermata da un deputato che ha già le valige pronte per seguire l'ex premier: «E' evidente che sedersi al tavolo che dovrà decidere i vertici della grandi aziende partecipate con un proprio rappresentante è cosa ben diversa da farsi rappresentare da Franceschini. Qui nessuno ha l'anello al naso...».
Non è così un caso che al Nazareno, dove viene stroncata la narrazione renziana della «separazione consensuale» («quella di Matteo è una decisione unilaterale, violenta e senza alcuna giustificazione, se non la ricerca di potere e poltrone»), venga condiviso l'allarme di Conte e di Di Maio. Nella chat dei deputati, a sera Franceschini alza il tiro: «Nel 1921 e 22, la litigiosità e le divisioni dentro i partiti li resero deboli sino a far trionfare Mussolini. La storia dovrebbe insegnarci a non ripetere gli errori».
Zingaretti, Franceschini e Andrea Orlando, Renzi lo conoscono bene. E chi ha parlato con loro, racconta: «I timori sono forti, la scelta di Matteo apre indubbiamente una fase complessa». E aggiunge un altro alto esponente dem: «Renzi con questa scissione aumenterà per forza di cose la fibrillazione nella maggioranza e renderà tutto più complicato. Non sappiamo se è una minaccia vera e propria, di sicuro è un serio ostacolo. Una cosa è discutere delle scelte in due, un'altra è farlo in tre. E per di più con un personaggio come Renzi che avrà i numeri, al contrario di Leu, per determinare la crisi...».
«PERICOLI, NON SUBITO»
Al Nazareno, dove si dà la nuova creatura dell'ex rottamatore tra i 4-5% («i sondaggi parlano chiaro, la sua popolarità è in picchiata»), però non si dà per imminente la potenziale spallata di Renzi all'esecutivo rosso-giallo: «Ora Matteo dovrà costruire il suo partito e quindi avrà bisogno di tempo. Non a caso è stato lui, a costo di perdere la faccia, a proporre in agosto quell'accordo con i 5Stelle che aveva impedito dopo le elezioni del 2018», dice un altissimo dirigente dem. E tira le somme: «Dunque non sono da temere scossoni a breve. Tanto più che nel 2022 ci sarà da eleggere il capo dello Stato, partita che Renzi vuole assolutamente giocare e soltanto se resta in piedi questo Parlamento avrà vera forza contrattuale, dopo chissà». Conclusione: «Probabilmente Renzi ha accelerato la scissione perché teme che Conte gli rubi spazio al centro...».