ROMA Sono già quattro le Regioni che hanno approvato la richiesta di referendum sulla legge elettorale proposta nei giorni scorsi da Matteo Salvini. La proposta - che dovrà passare l'esame della Corte Costituzionale che però a detta di molti costituzionalisti la boccerà - è stata approvata a maggioranza dai consigli regionali di Lombardia, Sardegna, Friuli e Veneto. Tutti a guida leghista. Nei prossimi giorni arriveranno anche i sì di Liguria e Piemonte dove è determinante il via libera dei consiglieri di Forza Italia assicurato de facto ieri da Silvio Berlusconi. Poiché bastano cinque Regioni per chiedere il referendum, con ogni probabilità la proposta sarà presentata lunedì 30 settembre.
Ufficialmente l'obiettivo della Lega è quello di votare in primavera per favorire una legge maggioritaria. L'operazione comunque consente al leader del Carroccio Matteo Salvini di uscire dall'angolo. «Mentre Pd e M5s tolgono il diritto di voto agli italiani noi l'offriamo nella prossima primavera», ha detto Salvini ieri ai margini di una iniziativa elettorale in Umbria. «Noi vogliamo consentire agli italiani di scegliere in base al criterio che chi prende un voto in più governa» ha proseguito Salvini.
In realtà la conversione al maggioritario di Salvini (che con il no al referendum del dicembre 2016 fece decadere di fatto anche la legge Italicum che era maggioritaria a doppio turno) deve fare i conti con le perplessità di Forza Italia che continua a chiedere una quota di proporzionale ma soprattutto con il filtro tecnico della Consulta che in passato ha più volte bocciato i referendum sulla legge elettorale. La Consulta, infatti, segue una linea precisa: le leggi elettorali che escono dai referendum devono funzionare immediatamente altrimenti sono incostituzionali perché di fatto negano il potere del capo dello Stato di sciogliere le Camere.
IL FILTRO DELLA CONSULTA E la legge che uscirebbe dal referendum proposto dalle Regioni a trazione leghista sarebbe monca. Abolire la quota proporzionale dell'attuale legge elettorale significa che gli italiani dovrebbero eleggere i loro parlamentari in 630 collegi per la Camera e 315 per il Senato. Peccato che la legge attuale preveda 232 collegi per i deputati e 116 per i senatori e che la delega per modificarli sia scaduta.
Ma a parte i dubbi piuttosto palesi di incostituzionalità di tutta l'operazione, la Lega deve fare i conti con il caos che regna in una componente importante del centro destra come Forza Italia. Ieri il partito di Silvio Berlusconi, che in precedenza aveva detto che si sarebbe astenuto nei consigli regionali sulla richiesta di referendum, ha deciso di dare la libertà di voto ai suoi rappresentanti regionali. Una mossa che assicura la fattibilità dell'iniziativa referendaria della Lega (i leghisti non hanno la maggioranza nel consiglio regionale della Liguria). Per distinguersi dal Carroccio, però, Forza Italia ha chiesto che i consigli regionali approvino un ordine del giorno che preveda di lavorare ad una legge elettorale non interamente maggioritaria, che ci sia un premio di coalizione e che si punti sull'elezione diretta del Capo dello Stato.
A informare via whatsapp i coordinatori regionali del contenuto dell'odg è stato il deputato Sestino Giacomoni, fedelissimo di Silvio Berlusconi. Il cambio di linea, dall'astensione alla libertà di voto, deciso dall'ex premier in 24 ore, raccontano fonti parlamentari di centrodestra, è servito a sopire i forti malumori del Carroccio.
Resta il fato che Forza Italia in questa fase è sottoposta a pressioni fortissime sia sul versante conservatore da parte di Lega e Fratelli d'Italia che su quello più liberale con la nascita del partito di Matteo Renzi. Per reagire ieri le due capigruppo, MariaStella Gelmini alla Camera e Anna Maria Bernini al Senato, hanno riunito i deputati e i senatori del partito. I deputati hanno approvato all'unanimità un documento politico che rivendita l'appartenenza di Forza Italia al centro-destra ribadendo però la necessità che la coalizione non sia a guida sovranista. Al Senato Bernini ha negato che un'opa ostile di Renzi potrebbe funzionare. «Ci portrebbe via solo lo 0,7% dei voti», ha spiegato la capogruppo.