Data: 16/10/2019
Testata Giornalistica: IL CENTRO |
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Primo ok alla manovra Ma lo scontro continua. Quota 100 resta, c’è il taglio al cuneo Ma si litiga ancora sul tetto ai contanti e sul carcere per gli evasori fiscali. Per le pensioni mini-rivalutazione da 6 euro. Sindacati furiosi.
Nel 2020 Quota 100 non cambierà e le tasse saranno tagliate solo ai lavoratori. Su questi due pilastri regge il primo accordo sulla manovra, siglato da Pd e M5s. Il confronto prosegue: manca l'intesa su temi delicati come il carcere agli evasori. E Matteo Renzi attacca sia su Quota 100 sia sull'abbassamento da 3.000 a 1.000 euro del tetto all'uso del contante, una scelta su cui si scontra con il premier Giuseppe Conte. Ma intanto il M5s ottiene che le finestre per le pensioni anticipate non slittino e il Pd che i 3 miliardi di taglio del cuneo non vengano spalmati anche sulle imprese ma dati solo ai lavoratori. Si sblocca così la convocazione del Consiglio dei ministri per approvare il Documento programmatico di bilancio da inviare alla Commissione europea. Nella notte di lunedì tutto sembra di nuovo in discussione. Poi parte la mediazione tra i partiti di maggioranza. Conte fa sapere che non accetterà di trasformare la manovra in un terreno per le «bandierine dei partiti» o in uno «strumento da campagna elettorale». Il premier parla uno ad uno con i capi delegazione, poi in una riunione con il ministro Roberto Gualtieri e i tecnici del ministero, alla quale intervengono i sottosegretari M5s e Pd Riccardo Fraccaro e Antonio Misiani, definisce le linee dell'intesa per il documento da sottoporre all’Ue: la manovra e il decreto fiscale non compaiono all'ordine del giorno del Cdm, è probabile che serva una seconda riunione, forse lunedì 21, per approvarli. Gualtieri derubrica a «dettagli » le questioni ancora aperte e spiega che «il quadro di fondo è definito: l'Iva non aumenterà, ci saranno più soldi in busta paga, più investimenti e un robusto pacchetto famiglia», elenca. Anche Conte sottolinea lo «sforzo significativo» fatto per usare le «non molte» risorse a disposizione (solo per l'Iva servono 23 miliardi sui circa 30 totali della manovra) per dare «potere d'acquisto » ai lavoratori dipendenti. Quest'anno si abbassano le tasse solo a loro. Ma la manovra, dice, impone una «svolta». Soddisfatti si dicono Luigi Di Maio («Non alziamo le tasse») e Nicola Zingaretti («Ci sono i pilastri Pd, inclusa la svolta verde»): l'accordo «consegna» al primo Quota 100, al secondo il taglio del cuneo ai lavoratori. Sulle finestre per il pensionamento anticipato nulla cambia nel 2020 ma, a dire il vero, non si esclude un intervento nel 2021. Per il resto, Roberto Speranza incassa lo stop ai superticket da luglio 2020. Renzi e Di Maio si vantano di aver sventato la tassa sulle sim card aziendali. Tutti celebrano il Fondo da 2 miliardi per la famiglia, viatico all'assegno unico. Ma tanto è ancora in discussione: in manovra dovrebbero arrivare la tassa sulla plastica e la «sugar tax» sulle bevande con zuccheri aggiunti. E tra M5s e Pd è ancora in corso il braccio di ferro sull'inasprimento del carcere per gli evasori: i pentastellati lo vogliono nel decreto fiscale, insieme alla confisca dei beni, mentre i Dem vorrebbero affrontare il tema in una legge ad hoc. Un capitolo a sé è quello del tetto all'uso del contante: fu alzato dal governo Renzi a 3000 euro, ora la bozza del decreto fiscale prevede che torni a 1000 euro. La scelta piace al Pd, ma fa storcere il naso a Iv, che con Luigi Marattin chiede di alzare la soglia in tre anni ma solo a patto che si azzerino le commissioni sulle carte di credito. Per le pensioni mini-rivalutazione da 6 euro. Sindacati furiosi. La manovra per l'anno prossimo porterà pochissime modifiche sul fronte della previdenza. Resta invariata, secondo l'annuncio del premier, Giuseppe Conte, la possibilità di andare in pensione con Quota 100 (almeno 62 anni di età e 38 di contributi) mentre arriva una mini rivalutazione per le pensioni tra i 1.500 e i 2.000 euro. Per Quota 100 quindi tramonta l'ipotesi di introdurre finestre di uscita più lunghe delle attuali (ora sono di tre mesi per i lavoratori privati e di sei mesi per i pubblici una volta raggiunti i requisiti anagrafici e contributivi) anche se lo stop al cambiamento è arrivato dopo un braccio di ferro nella maggioranza con Italia Viva che considerava giusta l'abolizione e i Cinquestelle che difendevano la misura. E se sulla previdenza non si drenano risorse (a parte i risparmi rispetto alle stime calcolati dall'Inps per l'anno prossimo in due miliardi), si mette molto poco rispetto alle richieste dei sindacati. Rispetto alle richieste di aumento del potere d'acquisto degli assegni anche con un ampliamento della Quattordicesima, il Governo si è detto disponibile a introdurre la rivalutazione piena rispetto all'inflazione, oltre a quella attuale per gli assegni pensionistici fino a 1.522 lordi al mese, anche per quelli da 1.522 fino a 2.029 euro al mese (quattro volte il minimo). Ma i sindacati parlano di una «presa in giro» dato che questi pensionati hanno già una rivalutazione al 97% dell'inflazione. In pratica, sostengono, ci sarebbe un aumento di circa 50 centesimi di euro al mese, pari a poco più di 6 euro all'anno per 2,5 milioni di pensionati. «Sono cifre irrisorie - ha detto il segretario generale dello Spi-Cgil, Ivan Pedretti - è offensivo. Si rafforzano le ragioni per la manifestazione del 16 novembre». L'indicizzazione per gli assegni più alti dovrebbe invece rimanere come quella attuale. |
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