Fase 3: andare al lavoro con i mezzi pubblici? Un’impresa quasi impossibile. Che il trasporto avrebbe sofferto – e fatto soffrire i suoi utenti – più di altri settori la ripresa ai tempi del Covid si è capito subito con la riapertura dei cancelli delle fabbriche. Corse saltate, autobus che non si presentano all’appuntamento, operai costretti ad arrangiarsi.
Passano le settimane, il lockdown finisce. Le persone che tornano a circolare sono molte. Al contrario, le misure di contenimento del contagio – il cui rispetto è sacrosanto – diminuiscono la capienza dei pullman. Meno posti a sedere, meno corse. A Campobasso, per esempio, le linee che coprono l’intera città (1 Nero) effettuano una decina di orari al giorno. E nei festivi, nessuno. Così dal 19 marzo. Oramai le discussioni sono all’ordine del giorno. Si ripiega su un’altra percorrenza che arriva comunque nella zona industriale per andare al lavoro? Bene. Pullman più piccolo, adatto alle esigenze di una contrada ma notevolmente aumentate perché chi deve raggiungere i centri commerciali e le tante attività lavorative presenti nell’area la utilizzano. Cinque posti a sedere in tutto e in piedi è vietato viaggiare. Ultimo episodio, ieri mattina. Si sale in otto-nove persone. Comincia la guerra di chi aspettava da più tempo. L’autista non transige, qualcuno deve scendere. Indica un extracomunitario, dice a lui di cedere il posto. Il ragazzo non demorde: sta andando al lavoro e attende un autobus da un’ora. Seduti, quattro o cinque signori in là con l’età e la sottoscritta. Che, capita l’antifona e mentre l’autista chiama i Carabinieri (intanto una lunga fila di macchine imbottiglia la strada davanti alla stazione), telefona in redazione per posticipare l’arrivo al lavoro senza creare disagi. E fa in tempo a sentirsi intimare da uno dei potenzialmente pensionati di scendere, l’unica del gruppo che si stava preoccupando di farlo…
Storie di ordinari disservizi che potrebbero essere evitati prendendo atto che l’utenza è aumentata rispetto e potenziando la flotta viaggiante, visto che a bordo c’è meno capienza.
Se il trasporto urbano soffre, quello extraurbano pure. Non tutte le ditte hanno chiesto di riattivare orari e percorrenze in più rispetto al piano che li aveva ridotti al minimo. Segnalazioni ripetute arrivano da chi si occupa degli anziani, per esempio, i cosiddetti caregiver, in generale collaboratori domestici e altri che si recano a Campobasso per lavoro. Tornare nei centri limitrofi è un’odissea. Verso alcuni paesi nel pomeriggio non sono previste corse. Quindi qualcuno è stato costretto a diminuire l’orario di lavoro, mettendo in pericolo i già disastrati bilanci familiari.
Chi ha chiesto spiegazioni alle ditte si è sentito rispondere che è colpa della Regione. Che, a onor del vero, qualche percorrenza l’ha riattivata su richiesta di alcune aziende. Non tutte allora sono pronte a ripartire? Il rischio certo è grande, in termini economici e di salute. Ma perché devono sempre pagarlo gli utenti? Di un servizio pubblico essenziale poi…