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Data: 04/04/2023
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO
    IL MESSAGGERO

Pnrr, Meloni rilancia: «Niente allarmismi, useremo tutti i soldi». Palazzo chigi: stiamo lavorando per risolvere le criticità, fare a meno dei finanziamenti non è un'opzione

ROMA Più che un italianissimo calice di rosso, al Vinitaly Giorgia Meloni pare imbracciare un estintore. Tra i padiglioni della fiera di Verona, la premier si ritrova infatti a spegnere i focolai delle polemiche che - pure dall'interno della coalizione - si sono accesi di ora in ora. «Non siamo preoccupati da ritardi sul Pnrr» spiega ai giornalisti costretti a farsi spazio tra la folla che la insegue per un selfie. Per poi aggiungere, stentorea a difesa della trattativa in corso a Bruxelles tra il ministro Raffaele Fitto e la Commissione Ue, che il governo non prende «in considerazione l'ipotesi di perdere le risorse ma di farle arrivare a terra in modo efficace. Tutto il lavoro che questo richiede e un lavoro che faremo».
Una smentita che in qualche modo segna il corso della giornata perché resa «necessaria» (per stessa ammissione di palazzo Chigi) da un'uscita poco avveduta del capogruppo leghista a Montecitorio Riccardo Molinari. Il fedelissimo salviniano in mattina si è infatti interrogato sull'opportunità di lasciare all'Europa una parte dei 209 miliardi di euro del Piano nazionale di ripresa e resilienza. «Forse sarebbe il caso di valutare e di rinunciare a una parte dei fondi a debito» spiega. «Ho parlato con molti sindaci di comuni piccoli e i problemi sono numerosi, ha senso indebitarsi con l'Ue per fare cose che non servono? Giusto quindi ridiscutere il piano con la Commissione europea, o si cambia la destinazione dei fondi o spenderli per spenderli a caso non ha senso».
IL FUOCO AMICO - Un fuoco amico inatteso da parte del Carroccio. Per giunta arrivato mentre il "doge" Luca Zaia posa accanto al simbolo autonomista del Leone di San Marco e il friulano Massimiliano Fedriga non si accontenta di una semplice riconferma ma (con la Lega) doppia i risultati di Fratelli d'Italia.
Eppure l'operazione "in vino veritas" improvvisata da Meloni per ammansire l'intemperanza leghista sul vecchio adagio del «no ai fondi Ue a debito» (leggi Mes), non pare sufficiente. Tant'è che le opposizioni si riscoprono compatte e ripartono all'attacco. «C'è confusione. Chi dobbiamo ascoltare, la Lega o Fratelli d'Italia?» chiede il Movimento 5 stelle in una nota affidata alle agenzie. «Quello che è inaccettabile accumulare ulteriori ritardi» fa eco il neo-capogruppo dem a palazzo Madama Francesco Boccia, associando la polemica al rinnovo della richiesta di un confronto parlamentare sui fondi europei.
SMENTITA - Non a caso, a rintuzzare gli affondi, arriva poi un'ulteriore e più approfondita smentita da palazzo Chigi. «Stiamo lavorando per rimodulare il piano» ma l'idea di «rinunciare a parte dei fondi» non è sul tavolo. «Stiamo lavorando per risolvere le criticità», sottolineano le stesse fonti, ribadendo che il Piano va «rimodulato», eliminando i progetti che non possono essere portati a termine entro il 2026 ma «lo spazio che si libera» sarà utilizzato «su altre iniziative per le quali i finanziamenti possono essere spesi entro giugno 2026». Ovvero, proprio la complessa partita a Tetris che Fitto dovrà portare a termine entro la fine del mese. Che poi è esattamente il senso di quel «mettersi alla stanga» che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva rispolverato qualche settimana fa invitando tutti a fare qualcosa in più. Un passo in avanti - stavolta sbagliato - imputato ieri proprio dal Quirinale ad una fetta della stampa italiana che ha dato credito all'incontro tra il Capo dello Stato e l'ex premier Mario Draghi - accusato a più riprese dall'attuale esecutivo di essere responsabile dei ritardi - appena prima del faccia a faccia con Meloni. Smentita con «divertito stupore» (e successiva conferma di un incontro, ma due settimane fa) che allontana le voci su un presunto interventismo del Colle sul Pnrr ma non sconfessa il lavorìo in corso da parte di tutto il sistema Italia perché il Piano non diventi un enorme rimpianto.
Tornando a Meloni e alla visita lampo di ieri a Verona, la premier ha tenuto a sottolineare come la presenza non fosse casuale. Non solo per una rilevanza strategica del settore («Siamo primi produttori, secondi consumatori - e io faccio la mia parte, eh- e terzi esportatori di vino al mondo» ha detto ad alcuni studenti), quanto per una questione identitaria: «Il vino è un pezzo fondamentale della nostra identità e della nostra cultura» ha rivendicato. «E questo governo è particolarmente impegnato a difendere le eccellenze». Farine di insetti e carni sintetiche permettendo.

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