ROMA Dare un segnale anche ai pensionati. In una legge di bilancio in cui la coperta è quanto mai corta (a tre giorni dal primo esame in consiglio dei ministri mancano ancora 2,5 miliardi di coperture) il governo non esclude di inserire qualche misura a favore di chi ha lasciato il mondo del lavoro. Non ci sono ancora decisione prese, ma l'idea prevalente è concentrare le eventuali risorse su un allargamento della platea della cosiddetta quattordicesima, la somma aggiuntiva che dal 2007 viene riconosciuta (nel mese di luglio) ai titolari di assegni bassi. In alternativa, ci potrebbe essere un intervento di ripristino della rivalutazione dei trattamenti, che con le norme vigenti risulta ridimensionata fino al 2021. Il tema è stato affrontato in uno dei due tavoli tecnici tra governo e sindacati; nell'altro, che aveva come oggetto il cuneo fiscale, è emersa la proposta - comunque assai problematica da realizzare - di una tassazione sostitutiva al 10 per cento sugli importi degli aumenti contrattuali, come ulteriore forma di riduzione del carico sul lavoro.
LE RICHIESTE Il nodo è comunque quello delle risorse. La possibilità di reperirne di nuove all'interno dello stesso ambito previdenziale in realtà esisterebbe: si tratta di intervenire sulla spesa per Quota 100. Il ministro Gualtieri ha più volte espresso l'idea di non toccare il meccanismo di uscita anticipata messo in piedi dal precedente esecutivo. Pur non condividendolo, ritiene preferibile non cambiare tutti gli anni le regole pensionistiche. In queste ore viene però presa in considerazione la possibilità di intervenire sulle finestre di uscita, in modo da diluire nel tempo la relativa spesa. I risparmi così ottenuti sul 2020 si aggiungerebbero a quelli già derivanti dalla minore adesione degli interessati. In ogni caso, se si trovassero 500-600 milioni da destinare a chi in pensione c'è già, resterebbe da scegliere il tipo di intervento. I sindacati hanno due richieste: il ripristino delle rivalutazione (quasi) piena dei trattamenti e l'estensione della cosiddetta quattordicesima, la somma aggiuntiva (da 300 a a 650 euro circa) che viene riconosciuta nel mese di luglio ai pensionati di almeno 64 anni che percepiscono fino a 1.000 euro al mese. La proposta sindacale di alzare la soglia fino a 1.500 euro è sicuramente troppo costosa: potrebbe essere preso in considerazione un valore più basso in modo da allargare l'attuale platea (3,5 milioni di persone) di circa un milione. Le due opzioni avrebbero un significato diverso: nel primo caso i beneficiari sarebbero i titolari di pensioni medie e medio-alte più danneggiati dal minor adeguamento all'inflazione (per gli assegni meno elevati la perequazione è comunque garantita) mentre con la quattordicesima si andrebbe a premiare una platea di pensionati con reddito più basso.
IL DILEMMA Si tratta di un dilemma in qualche modo simile a quello che il governo deve affrontare a proposito del cuneo fiscale. Le risorse disponibili (circa 2,5 miliardi il prossimo anno, il doppio a regime dal successivo) sarebbero sufficienti o per concentrare il beneficio sugli incapienti, ovvero i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 8.200 euro l'anno, oppure per estendere il bonus 80 euro, con importo decrescente, a coloro che hanno un reddito fino a 35 mila euro. Due platee diverse tra cui scegliere. Nell'incontro di ieri con i sindacati è stata esaminata anche un'ipotesi diversa, a quanto pare caldeggiata dal ministero del Lavoro: detassare tramite un'imposta sostitutiva al 10 per cento gli importi che derivano ad incrementi contrattuali. Questo meccanismo oggi esiste, parzialmente, per gli aumenti aziendali di secondo livello. Estenderlo e generalizzarlo avrebbe un costo non trascurabile e rischia inoltre di stravolgere la struttura dell'Irpef.
In manovra una pioggia di micro tasse Bloccato il balzello sulle ricariche sim
ROMA Un lunghissimo vertice, durato quasi dieci ore, al ministero dell'Economia, non è bastato per trovare le coperture che mancano per completare la manovra. Il tempo ora stringe. Lunedì il consiglio dei ministri dovrà esaminare il disegno di legge di bilancio, il decreto fiscale e il documento programmatico che entro mezzanotte va inviato alla Commissione europea. Il governo deve ancora trovare 2,5 miliardi. La ricerca è complessa, complessissima. Nella bozza portata nel vertice tecnico di ieri al Tesoro è spuntata una tassa sulle ricariche dei telefoni cellulari. Prima estesa a tutti, poi limitata soltanto alle utenze business. La tensione si è subito alzata, con il vice ministro dell'Economia, Laura Castelli, che ha messo il veto a nome del Movimento Cinque Stelle sulla misura. Quasi certa invece, l'inasprimento delle «tasse sulla fortuna». Al tavolo sono arrivate sostanzialmente due proposte. La prima che prevedeva scaglioni dal 12% al 23% a seconda dell'importo della vincita, con una supertassa dei jackpot del Superenalotto. La seconda un innalzamento dal 12% al 15% dell'attuale prelievo sulle vincite, estendendolo anche a quelle da 250 a 500 euro (oggi c'è una esenzione fino a 500 euro). Ma il gettito è limitato, solo 150 milioni. Sul tavolo è ricomparso anche il progetto di una stretta sulle detrazioni fiscali, con il loro azzeramento per chi dichiara oltre 80 mila euro. Significa che chi è sopra quella cifra non potrebbe più scaricare spese sanitarie, asili, spese veterinarie. Non solo. Le detrazioni verrebbero riconosciute soltanto a chi paga con mezzi tracciabili e ci sarebbe l'obbligo di utilizzare per tutti i versamenti presso la pubblica amministrazione il circuito Pago Pa. Per ora, invece, non è previsto nessun meccanismo di cashback, di restituzione di spesa per chi paga utilizzando carte e bancomat. Il sistema, infatti, si regge solo se in contemporanea viene introdotta qualche rimodulazione dell'Iva in grado di finanziarlo.
Anche sul cuneo fiscale non tutti i nodi sono stati sciolti. Ai sindacati è stato confermato che le risorse a disposizione per il prossimo anno sono 2,7 miliardi che diventeranno 5,4 miliardi nel 2021. È sulla platea dei beneficiari che la partita è ancora aperta. Le ipotesi sono due: distribuire i fondi agli incapienti, quelli che dichiarano meno di 8 mila euro l'anno e sono rimasti fuori dal bonus Renzi. In questo caso otterrebbero un beneficio di 60 euro a testa. Oppure distribuire le risorse alla stessa platea che già incassa gli 80 euro, ossia coloro che dichiarano fino a 26 mila euro. L'aumento in busta paga, in questo caso, sarebbe di 40 euro al mese. Per i sindacati è troppo poco.
LE INCERTEZZE Ancora incertezza c'è anche su un altro capitolo, il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi. È quasi certa la rimodulazione su un arco temporale di tre anni, delle accise sul diesel. Per le auto a gasolio, insomma, si prospetta un aumento dei prezzi alla pompa di benzina. Così come potrebbe entrare nel testo finale della manovra anche la cosiddetta «sugar tax», la tassa sulle bibite zuccherate. A spingere in questa direzione è il Movimento Cinque Stelle. Oggi e domani i vertici proseguiranno per provare a chiudere il cerchio entro lunedì. Anche se la manovra vera e propria sarà approvata dopo il 20 ottobre.