Nell’area euro, sono stati solo loro due a parlarne: il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e Fabio Panetta, l’italiano nell’esecutivo della Banca centrale europea. Sono stati i soli a dire che l’inflazione è alta anche perché molte imprese registrano profitti in aumento, non avendo contenuto i prezzi quando per loro negli ultimi mesi il costo delle materie prime è sceso.
Maurizio Landini, da segretario generale della Cgil, che ne pensa?
«È così. Eppure è un argomento rimosso, sembra un tabù. Sul carrello della spesa si stanno facendo profitti esagerati, perché negli ultimi mesi i costi di produzione sono molto scesi — pensiamo al prezzo del gas — mentre gli aumenti per le famiglie hanno continuato a correre».
Panetta e Visco dicono che servirebbe una politica dei redditi, in cui lavoratori e imprese si impegnano a fermare l’inflazione. Concorda?
«I salari devono aumentare. C’è un punto che non si ricorda mai. Dall’inizio di quest’ondata d’inflazione si sente parlare solo del rischio che i rinnovi dei contratti inneschino una spirale prezzi-salari. Quel che si è visto è diverso: salari fermi e profitti delle imprese in crescita, che ora non ritirano gli aumenti anche se producono a costi molto minori di sei mesi fa. E investimenti delle imprese comunque deboli».
Panetta dice: se le imprese non moderano i rincari, rischiamo di finire con tassi più alti. Giusto?
«A fronte di imprese che non moderano i rincari diventa indispensabile un contributo straordinario di solidarietà sui profitti. Non ha senso che i profitti d’impresa o le rendite immobiliari e finanziarie godano di un prelievo più basso di quello sui lavoratori dipendenti e i pensionati. Non ha senso che il reddito paghi tasse diverse a seconda della fonte da cui deriva. Semmai si deve favorire chi lavora e produce, non le rendite».
Sull’inflazione da profitti, vede un ruolo dell’Antitrust?
«Dev’esserci un maggiore controllo su prezzi e tariffe, perché c’è un elemento di speculazione. Dei controlli potrebbe occuparsi quello che una volta era il ministero dello Sviluppo economico».
Lei sa già cosa diranno: «Il solito dirigista di Landini».
«In Italia il salario in media è tassato al 40%, mentre la rendita immobiliare al massimo al 21%. E persino la parte più ricca del lavoro autonomo al 15%. Questa come la vogliamo chiamare, follia? E come vogliamo chiamare il fatto che l’ultimo decreto di rottamazione — l’ennesimo condono — introduce la non punibilità dei reati fiscali anche su importi altissimi? Ancora un invito all’evasione. Intanto i lavoratori e i pensionati continuano a pagare per il sistema sociale di cui usufruiscono anche tutti gli altri. Queste cose ormai ci sembrano normali, ma non lo sono».
Però il governo riduce i carichi fiscali sul lavoro per i redditi medio-bassi, per altri tre miliardi. Dopo gli interventi del governo Draghi e il primo di Giorgia Meloni.
«Misure provvisorie. Gli stessi sgravi del precedente governo scadono a fine anno. E dopo? Ma soprattutto sono misure nettamente insufficienti, di fronte alla perdita di potere d’acquisto degli ultimi due anni. E finanziate tagliando la spesa sociale, cioè fatte pagare ai lavoratori stessi. Cosa ci fa un dipendente di 40 euro al mese in più, se per avere una visita medica in tempi accettabili deve pagare 250 euro — a causa dei tagli alla sanità — e intanto l’inflazione gli ha tolto il 12% del potere d’acquisto in un anno? Anche per queste ragioni scendiamo il piazza il 6 maggio a Bologna, il 13 a Milano e il 20 a Napoli».
Perché parla di tagli? Non c’è una spending review nel Documento di economia e finanza.
«C’è il taglio del reddito di cittadinanza mentre aumenta la povertà, non c’è un euro per il rinnovo dei contratti pubblici e c’è il congelamento della spesa sanitaria. In termini reali sono riduzioni significative. E c’è un taglio netto nel costo della pubblica amministrazione, che renderà difficile eseguire il Piano nazionale di ripresa: come lo assumiamo e motiviamo il personale?».
Non crede che il Pnrr sia una grande occasione, su cui non dovremmo dividerci?
«Abbiamo assoluto bisogno di realizzare gli investimenti del Pnrr e noi siamo pronti a fare la nostra parte. Non solo per la crescita del Paese, anche per contribuire a cambiare le politiche di austerità in Europa. Però stiamo rischiando di perdere questa occasione e di danneggiare la nostra credibilità in Europa, continuando ad accettare e incoraggiare l’evasione e mantenendo un fisco distorto a favore della rendita».
Intanto abbiamo perso la partita sull’apertura ad altre forme di auto verde, oltre all’elettrico.
«Una battaglia condotta male. La tecnologia dominante del futuro è l’elettrico: non serve a niente cercare di allungare i tempi, dobbiamo essere all’avanguardia nei processi. Ma per farlo, dovremmo fare sistema e non sta avvenendo. Penso alle infrastrutture della transizione, alle filiere dell’acciaio, delle batterie, alle competenze per i sistemi operativi digitali delle nuove auto. Penso alla formazione permanente dei lavoratori: dev’essere un diritto ed è nell’interesse delle imprese. I sindacati metalmeccanici e Federmeccanica hanno presentato un documento comune su questi punti, per ora senza nessun ascolto. È il momento di costituire un’agenzia nazionale in grado di indirizzare lo sviluppo».
Concorda con chi dice che in Italia c’è una chiusura al nuovo?
«Il governo ha vietato la carne sintetica, che in Italia non produce nessuno. Di fronte alla paura del cambiamento si cerca di rassicurare cercando di resistere. Il cambiamento bisogna governarlo, negoziarlo, regolarlo. Esercitare un controllo democratico, anche sull’intelligenza artificiale. Non lasciar fare al mercato, né illudersi di poter restare al mondo di ieri».