ROMA Giuseppe Conte si rivolge direttamente ai militanti M5S e al Pd: alla vigilia del voto sulla piattaforma Rousseau a cui sono appese le sorti del nuovo governo, il premier incaricato lancia un appello dal suo studio a Palazzo Chigi e rivendica la volontà di un esecutivo «forte» di cui sarà «il primo responsabile: basta perplessità, non teniamo le idee nel cassetto. È una grande opportunità». Una manciata di minuti dopo, in un altro video è Luigi Di Maio a spazzare via l'ipoteca a che da giorni tiene impiccata la trattativa con i dem, dichiarando chiusa la partita dei vicepremier senza però schierarsi apertamente sul voto della consultazione online del Movimento. «Abbiamo saputo che il Pd ha fatto un passo indietro rinunciando al suo vicepremier, quindi il problema non esiste più. Se ci avessero ripensato prima, tutto questo dibattito non ci sarebbe stato», sottolinea però caustico il leader grillino. Parla per terzo Nicola Zingaretti e pur senza far venire meno l'usuale cautela dice di registrare «passi avanti» e si definisce «fiducioso e ottimista».
Il leader politico dei pentastellati deve confrontarsi da giorni con due visioni interne al Movimento, una pronta all'intesa con il Nazareno e un'altra assai più scettica. Riunisce i suoi di buon mattino e poi in serata scandisce quelli che reputa i successi finora incassati, dall'indicazione di Conte a premier a quella dello stop ai vicepremier, scaricando sui futuri alleati i rallentamenti nella trattativa. Se tutto filerà liscio e dalla rete arriverà l'atteso via libera a un nuovo governo, il presidente del Consiglio incaricato potrebbe sciogliere la riserva già stasera o più probabilmente domani domattina presentando la lista dei ministri al Capo dello Stato. Il giuramento quindi potrebbe consumarsi nella stessa giornata mentre il dibattito alle Camere per la fiducia dovrebbe tenersi fra la fine di questa settimana e i primi giorni di quella successiva. E c'è già chi fa i conti dei numeri a favore dell'ipotetica maggioranza: come sempre, a preoccupare è il pallottoliere del Senato dove occorrono sulla carta 161 voti favorevoli. «Mi hanno contattato nove senatori del M5s dicendomi che loro e altri senatori e deputati M5s non vogliono votare la fiducia a questo governo», è la provocazione del vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Scenario smentito dal Movimento e perfino dal capogruppo leghista a Palazzo Madama Massimiliano Romeo. Anche perché proprio contro il gioco delle «poltrone» si scaglia ancora una volta Matteo Salvini: «E' uno spettacolo disgustoso da vecchio regime. Sono orgoglioso che la Lega non faccia parte di questo teatrino», dice il Capitano. E non a caso Pier Ferdinando Casini invita a non fare il gioco del capo leghista: «Se l'esecutivo è solo frutto di poltrone, di potere, noi faremo vincere a tavolino Matteo Salvini», avverte sull'Huffington Post, «intanto, devono essere ben chiari i paletti su cui nasce questa maggioranza. Perché se si prefigura il governo più a sinistra della storia della Repubblica italiana non ci saranno sponde né dei centristi né dei moderati».
LE CASELLE Riempire le caselle del nuovo esecutivo rosso-giallo è comunque un lavoro, come sempre, che richiede tempo e sforzi incessanti per trovare le giuste alchimie fra le forze politiche, tra mosse tattiche, provocazioni, annunci. Come il Di Battista alle Politiche europee, di cui parla a metà mattinata Di Maio ai 5Stelle. Conte, con i capigruppo 5S e Pd (e poi in serata quelli di LeU), lavora al programma. Le parole d'ordine sono quelle già evocate nei giorni scorsi e tracciano lo scheletro della prossima manovra economica: stop all'Iva, salario minimo orario, taglio del cuneo fiscale e sostegno alle famiglie. Tutto rinegoziando l'austerity imposta dall'Europa in questi anni. Per chiudere però sarà comunque necessario un altro incontro.
Il segretario dem: è stato ridimensionato d’ora in poi trattiamo solo con il premier
ROMA «Abbiamo tenuto il punto. Evitiamo toni trionfalistici ma ora è chiaro che il nostro interlocutore è Conte e non è assolutamente super partes, è lui che deve sbrogliare la matassa nel Movimento 5Stelle». Al Nazareno guardano con ottimismo all'ultimo miglio.
Il governo giallo-rosso è ad un passo. Ora saranno il segretario dem e il presidente del Consiglio incaricato a trovare un'intesa sui nomi che formeranno il governo. Nel Pd c'è il timore che ora Di Maio possa tenersi le mani libere, che anche qualora il voto su Rousseau registrasse il semaforo verde al nuovo esecutivo, il capo politico M5s possa in qualche modo vendicarsi' per essere stato estromesso dalle stanze di palazzo Chigi. Zingaretti non esclude di incontrare Di Maio in una seconda fase, ma ora ripete ai suoi il confronto è tra chi sta portando avanti la trattativa finale.
«A noi il ragionamento di un esponente della maggioranza dem non importa la votazione su Rousseau. E' Conte che deve occuparsi delle vicende interne ai pentastellati». Dunque il risultato portato a casa ieri con la rinuncia di Di Maio al ruolo di vicepremier viene ritenuto un successo importante. Era lo schema preferito dalla segreteria dem. Nessun vicepresidente del Consiglio.
DISCONTINUITÀ Ma in realtà è la mossa per far fuori in un colpo solo sia Salvini che Di Maio. E' quel segnale di discontinuità rispetto al governo giallo-verde che Zingaretti si aspettava. Ora nei panni del garante' del nuovo patto c'è Beppe Grillo. Non più l'attuale ministro dello Sviluppo e del Lavoro. «Di Maio osserva un altro dirigente del Pd è stato messo all'angolo proprio dal suo Movimento. Noi non c'entriamo. Ora la partita è a due». Anche Renzi in un primo momento preferiva che Di Maio fosse coinvolto maggiormente nella partita. «In questo modo ci mette la faccia, altrimenti il rischio è che torni piano piano da Salvini», la posizione iniziale. Poi l'ex segretario dem si è adeguato alla linea ufficiale. Garantendo che fosse Zingaretti a gestire tutta la partita.
LE PERPLESSITÀ Restano molte perplessitaànei gruppi parlamentari. «In questo modo osserva un ex ministro dem sia Di Maio che Renzi possono far saltare tutto tra qualche mese». Zingaretti però non ha avuto dubbi sulla strategia da portare avanti: «Renzi voleva Di Maio vicepremier osserva un deputato a lui vicino solo perché così avrebbe avuto un altro ministro». E sulle voci che continuano a rincorrersi sulla possibilità che Renzi possa costituire dei gruppi parlamentari subito dopo la nascita del governo i zingarettiani non si pronunciano. «Renzi dovrà agire pubblicamente per poi spiegarlo agli italiani», il refrain'. Dunque strada in discesa, anche se sui ministeri chiave i nodi restano irrisolti. Anche perché c'è da far fronte alle richieste che tutte le correnti dem hanno avanzato per avere una rappresentanza nel governo.
Il segretario del Nazareno affronterà il tema direttamente con Conte, ben sapendo che c'è anche la regia del Quirinale su Interni, Economia, Difesa ed Esteri. Per ora incassa i passi avanti sul programma. Al tavolo ieri a palazzo Chigi alla presenza dei capigruppo del Pd e del Movimento 5Stelle si è discusso su come sterilizzare la clausole di salvaguardia dell'Iva, della riforma sul salario minimo («è passata la nostra proposta», rivendicano i dem), del taglio del cuneo fiscale, della riforma costituzionale con la riduzione del numero dei parlamentari e la revisione dei regolamenti. Ma anche della legge elettorale in senso proporzionale.
LEGA FUORI L'obiettivo del Pd è di tagliar fuori Salvini, evitare che alle prossime urne possa avere la golden share' del governo. E' la mossa che Zingaretti aveva preparato da tempo. E' una delle ragioni per le quali i dem si sono convinti a fare un patto con il Movimento 5Stelle. «Ora Salvini sottolinea un big' del Pd verrà ridimensionato. E' iniziata la nostra riscossa».