ROMA Una ressa, una rissa, una riffa. Benvenuti alla corsa giallorossa per entrare nel sottogoverno del Conte-bis. In queste ore fioccano le autocandidature nel Pd e nel M5S: corrono in 200 per 42 posti. Ieri da Bruxelles il premier Giuseppe Conte ha auspicato la chiusura delle trattative per oggi, per portare il pacchetto delle nomine al consiglio dei ministri di oggi pomeriggio. Ma l'ipotesi che slitti tutto fa parte della realtà. Dal Nazareno continuano a ripetere: «Noi ci siamo, il problema è del M5S: è esploso». A nulla sono valsi i contatti tra Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora con Dario Franceschini e Andrea Orlando. E perfino un vertice notturno con il premier appena rientrato dalla capitale belga.
LA PROCEDURA Il sistema delle rose di candidati che dovevano essere proposte dalle varie commissioni sta creando la paralisi e una scia di veleni. Per la commissione cultura (che racchiude però 4 ministeri) si sono presentati in 2, sette per le Attività produttive, 5 per la Giustizia, 6 per l'Economia e così via. Proprio sul versante Mef il braccio di ferro tra Stefano Buffagni (avvistato ieri nei corridoi con il presidente della Camera Roberto Fico) e Laura Castelli sembra finire così: la torinese sarà riconfermata viceministra, il milanese sottosegretario. Per il Pd ci sarà Roberto Misiani e spunta il nome di Roberto Baretta. L'ultima parola sulle deleghe però spetterà al titolare di via XX Settembre Roberto Gualtieri. Tensioni l'altra notte anche nella commissione Difesa: Giovanni Luca Aresta, Alessandra Ermellino e Daniela Donno hanno fatto un passo avanti, Angelo Tofalo è in corsa per la conferma ma sulla sua strada c'è l'ala di Fico che vuole una svolta dopo le politiche sull'immigrazione con la Lega. Luigi Iovino, invece, ha fatto un bagno d'umiltà: «Ritiro la candidatura, perché 14 mesi sono pochi per capire il complesso mondo della Difesa». Ma l'ex ministro Elisabetta Trenta adesso vorrebbe puntare sull'Interno. Un'altra big, Barbara Lezzi, punta invece a un ruolo strategico di sottosegretario alle aree Interne. Proprio sulle deleghe di stretta competenza di Palazzo Chigi il ministro D'Incà (Fico) spinge per avere le Riforme in quanto titolare dei Rapporti con il parlamento, ma c'è anche Riccardo Fraccaro che vorrebbe continuare il lavoro portato avanti finora. Editoria: si fa strada l'ipotesi che vada al dem Andrea Martella che con la carica di sottosegretario alla Presidenza presidierebbe palazzo Chigi per il Pd, togliendola così a Vito Crimi (a cui rimarrebbe la ricostruzione delle aree terremotate). Il M5S non vuole cedere però: il nome grillino da contrapporre al Pd è quello del giornalista Emilio Carelli. In area governo avanzano anche Ciccio D'Uva (Cultura), Luca Carabetta (Innovazione) e dalla Sicilia c'è l'ipotesi Giancarlo Cancelleri. Anche nel Pd c'è un discreto fermento. Il segretario Nicola Zingaretti si tiene fuori dalla ressa: ha solo chiesto che siano rispettati i criteri territoriali e che dunque tutte le regioni siano rappresentate. Si fa il nome anche di Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm, per la Giustizia, postazione che però potrebbe finire a Walter Verini. Un'altra umbra, Marina Sereni, è in rampa di lancio per gli Esteri. Per le telecomunicazioni i Dem vorrebbero Antonello Giacomelli (che potrebbe anche guidare l'Agcom) e per l'Energia l'assessore laziale Gian Paolo Manzella, esperto d'innovazione. Ma i Cinque stelle reclamano per sé entrambe le deleghe: all'Energia vorrebbero Dario Tamburrano (ex europarlamentare), le telecomunicazioni dovrebbe tenerle Patuanelli. Nomi, cordate, veleni. Soprattutto nel M5S dove la mossa di Di Maio all'insegna del vediamo se i parlamentari riescono ad autodeterminarsi ha avuto l'effetto desiderato: tutti contro tutti. E alla fine deciderà il Capo grillino che ieri alla Farnesina ha riunito gli economisti d'area per presentare a Gualtieri le proposte grilline in vista dell'Ecofin: «Vogliamo incidere sull'Agenda europea».