Data: 08/09/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA |
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L'ex dipendente ai pm «Lavoravo sui binari senza autorizzazione» La strage di Brandizzo e l'ipotesi di altre regole violate
VREA Fuori verbale, c’è rabbia: «Cosa mi aspetto dalla giustizia? Che vadano in galera e che chiuda l’azienda», quasi sbotta uscendo dalla Procura di Ivrea Antonio Veneziano, ex dipendente della Sigifer, l’impresa per la quale lavoravano i cinque operai morti nell’incidente ferroviario di Brandizzo. Sulle pagine del verbale da persona informata sui fatti invece, davanti ai pubblici ministeri Valentina Bossi e Giulia Nicodemi, conferma quel che aveva raccontato nei giorni scorsi: «Mi è capitato di lavorare sui binari anche senza autorizzazione». Un racconto dettagliato durato oltre quattro ore, durante le quali ha spiegato ai magistrati e agli agenti della Polfer come potessero andare le cose. Morale: a ogni audizione, a ogni giorno che passa, l’ipotesi investigativa della Procura diretta da Gabriella Viglione si rafforza. Ovvero: mettersi all’opera sui binari, nonostante la circolazione ferroviaria non fosse ancora interrotta, era una pessima abitudine. Di più: dai resoconti di operai ed ex lavoratori della Sigifer, emergerebbero le più disparate violazioni delle procedure di sicurezza, non solo quelle relative agli interventi di sostituzioni dei binari, il lavoro di manutenzione più frequente. Come se esistessero regolamenti formali (con autorizzazioni scritte) e sostanziali, ritagliati dall’abitudine e dall’esigenza di accelerare i tempi. Del resto, da giorni, di testimonianze ne spuntano ovunque, anche tra i dipendenti della stessa Sigifer: «Ci mandano dentro i binari come se fosse un parco giochi», spiega al Tg1 Giuseppe Cisternino. Andare sui binari prima che arrivasse il nulla osta, o mentre sfrecciavano i treni, sarebbe già accaduto in altre occasioni, non solo la notte della tragedia di Brandizzo, tra il 30 e il 31 agosto. «Era già capitato altre volte di iniziare i lavori senza che la circolazione venisse interrotta — continua — magari per andare a casa mezz’ora prima o per accelerare il tempo di lavorazione». Avrebbe rischiato la vita Francisco Martinez, suo collega: «Quattro mesi fa stavo per essere investito da un treno, a Chivasso, e se un mio collega non mi avesse tirato per la maglietta, non sarei stato qua». Insomma, funzionava così, nonostante ci fosse un caposquadra o la «scorta ditta» di Rfi: come Andrea Gerardin Gibin e Antonio Massa, i due superstiti dell’incidente e indagati per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. «Mai ci hanno impedito di andare sui binari prima dell’autorizzazione — rivela ancora Martinez — e non solo Massa, lo facevano certe altre persone». Vista la sceneggiatura che si sta componendo davanti ai pm, l’impressione è che sia possibile — anzi, verosimile — che la lista degli indagati sia destinata ad allungarsi. Alzandosi di livello. In fondo, già nei primi giorni dopo l’incidente, Viglione aveva confermato la volontà della Procura di andare a fondo negli accertamenti, senza trascurare alcun aspetto. Non solo in relazione al disastro ferroviario, ma anche per capire se le procedure di sicurezza oggi in vigore siano sufficienti a tutelare i lavoratori; e se quelle stesse procedure vengano effettivamente rispettate. Cosa mi aspetto dalla giustizia? Che vadano in galera e chiuda l’azienda. Mi è capitato di operare anche senza il permesso La cosa inquietante — agli occhi degli inquirenti — è la sensazione che lavorare non in condizioni di sicurezza fosse una pratica piuttosto diffusa, secondo i racconti di diversi operai. Su questo orizzonte, si inserisce il ragionamento di un investigatore: se la tragedia di Brandizzo fosse stato un disgraziato episodio, frutto di scelte sciagurate di alcune persone, sarebbe un conto; se invece emergessero certe abitudini, diventerebbe un’altra storia. Quella che, passo dopo passo, sta scrivendo la Procura: per questo, anche la posizione dell’azienda sarà oggetto di approfondimento. Download 08 settembre 2023 - corriere della sera_2.pdf |
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