ROMA Allarme di Confindustria: la crescita dei salari mette a rischio la competitività del manifatturiero Made in Italy. «Tra il 2000 e il 2020 evidenzia il centro studi di Viale dell'Astronomia nel manifatturiero italiano i salari reali sono cresciuti del 24,3%, pressoché in linea con la variazione cumulata della produttività del lavoro (22,6%). La crescita dei salari reali è stata simile a quella registrata in Francia e superiore a quella di Germania (+18,1%) e Spagna (+14,4%). Ma in Germania la produttività del lavoro è cresciuta il doppio rispetto all'Italia». Risultato? Nel periodo preso in esame l'Italia ha perso rispetto alla Germania 26,4 punti di competitività misurata in termini di Clup (costo del lavoro per unità prodotta). La debole dinamica comparata della produttività, a fronte di guadagni salariali in linea o talvolta più ampi che altrove, ha comportato l'erosione della quota di valore aggiunto che va a remunerazione del capitale.
GLI EFFETTI - «Aumenti salariali al di sopra dei guadagni di produttività per periodi prolungati di tempo implicano necessariamente una perdita di competitività di costo e un assottigliamento della redditività delle imprese e della remunerazione del capitale, con un conseguente impatto negativo sulla dinamica degli investimenti e quindi sulla crescita nel lungo periodo», spiegano gli esperti del centro studi di Confindustria. Che aggiungono: «Queste considerazioni sono a maggior ragione valide per il settore manifatturiero, che è più esposto alla concorrenza internazionale e dove l'accumulazione di capitale è essenziale per la qualità dei prodotti e per la competitività». Il rapporto tra margine operativo lordo (Mol) e valore aggiunto nel manifatturiero italiano partiva nel 2000 sopra quello medio nell'Eurozona, ma dal 2004 è stabilmente sotto, con un divario pari a 3,6 punti nel 2020. Nel biennio 2021-2022, la distanza tra redditività nel manifatturiero italiano e la media europea si è ampliata in modo significativo. I margini di profitto nel manifatturiero sono cresciuti a livello europeo sia nel 2021 che nel 2022, mentre in Italia hanno registrato una contrazione lo scorso anno, che è stata misurata sia in termini di quota profitti (-3,4 punti il rapporto tra margine operativo lordo e valore aggiunto), che in termini reali (-9,2% il Mol reale) e in termini unitari (-3,7 punti il Mol in rapporto al valore aggiunto reale).
LA FRENATA - Prosegue il centro studi: «In corrispondenza della frenata dell'attività dei primi anni Duemila e ancor più del crollo nel 2008-2009, la dinamica salariale, sostenuta dai meccanismi contrattuali e dall'attivazione degli ammortizzatori sociali, risulta aver avanzato a ritmi invariati, nonostante l'andamento pro-ciclico della produttività. Per contro, nella fase espansiva che ha seguito la crisi dei debiti sovrani, si sono registrati più ampi guadagni di produttività, al di sopra degli aumenti salariali. «Rimarrà cruciale avverte però Confindustria che gli aumenti salariali a copertura dell'inflazione siano accompagnati da guadagni di produttività sufficienti a evitare un'erosione della redditività di impresa, a danno della propensione a investire, o un innalzamento del Clup, che andrebbe ad alimentare le pressioni inflazionistiche».