ROMA Nazionalizzare? Una «soluzione magica». Anzi: «Una pericolosa illusione». Le dichiarazioni rilasciate ieri dal ministro dell'economia Roberto Gualtieri non erano riferite specificamente all'Ilva ma mettono una pietra tombale sulritorno dell'acciaieria allo Stato. Ipotesi che invece il ministro della Sanità Roberto Speranza (Leu) considera «ragionevole» . Ieri il tema acciaio è finito anche sul tavolo del confronto fra la cancelliera Merkel e il premier Conte che in conferenza stampa ha sottolineato la volontà di cooperare con la Germania sulle nuove tecnologie.
Per il dossier Arcelor Mittal quello di ieri è stato un giorno di lavoro sotterraneo ma ricco di spunti per la tattica politica. Come la mossa di Italia Viva che ha riproposto con un emendamento due diversi scudi penali: uno generale per tutte le imprese, l'altro specifico per l'Ilva.
Intanto a Taranto la società ha avviato il «piano di ordinata sospensione di tutte le attività produttive a cominciare dall'area a caldo» annunciato dall'a.d. Lucia Morselli. Un piano di spegnimento che, se portato a termine, creerebbe danni all'Ilva e alla proprietà, chiunque essa fosse, privata o meno.
L'obiettivo sarebbe quello di fermare una delle due linee di agglomerazione (cioè di preparazione alla produzione vera e propria dell'acciaio). Se questo rientri nei poteri di ArcelorMittal (attualmente è solo affittuario degli asset Ilva, la proprietà è ancora dell' Amministrazione Straordinaria cioè dei creditori dell'ex Ilva) lo diranno probabilmente i giudici di Milano, sede legale della società.
FASE DI STALLO Al momento la fase di stallo nella quale è precipitata l'Ilva non si smuove. Da un lato si cerca di creare le condizioni per permettere ad Arcelor Mittal di restare in Ilva, disinnescando quello che ormai appare essere solo un pretesto, cioè lo «scudo penale» dall'altra il premier Conte avverte che la protezione legale ci sarà solo in caso di rispetto pieno dell'accordo. I due emendamenti dei renziani prevedono il ripristino della «protezione legale» chiesta da ArcelorMittal.
Uno degli emendamenti prevede uno scudo generale valido per tutte le aziende e uno specifico per Ilva. È facile prevedere - vista l'ampia maggioranza sul tema che comprende anche la Lega di Matteo Slavini - che almeno uno passerà. Sullo scudo del resto anche i parlamentari grillini sembrano essersi ammorbiditi con il deputato tarantino Nunzio Angiola che si dice disponibile a votare gli emendamenti di Italia Viva.
Il governo comunque tiene aperto il tavolo con ArcelorMittal lasciando trapelare offerte di collaborazione. Il governo può «concorrere a soluzione di rilancio dell'ex Ilva» ma, dice il ministro Gualtieri «secondo il piano industriale» originario anche se - concede - «adattato alle circostanze». Cosa concretamente l'esecutivo sia disposto a concedere - mentre da Bari il presidente della Regione Michele Emiliano torna a chiedere una costosissima decarbonizzazione dell'impianto - lo si saprà più chiaramente dopo il prossimo incontro fra Giuseppe Conte e l'azienda che dovrebbe avvenire prestissimo, qualcuno dice già oggi quando il premier incontrerà, forse, anche i parlamentari pugliesi M5S.
Fra le ipotesi circolate in questi giorni c'è la copertura per una cassa integrazione temporanea per 2.500 lavoratori (la metà di quelli proposti da Arcelor), ma sui livelli occupazionali (e produttivi) l'accordo era piuttosto ferreo. Possibile ipotizzare l'entrata in campo di Cassa Depositi Prestiti, magari affiancata da Invitalia. Anche il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri dice che la Cassa «non va esclusa dalla cassetta degli strumenti di cui disponiamo». Ma una volta evocata Cdp c'è chi si spinge a ipotizzare un ingresso di Cdp nella stessa ArcelorMittal Italia, ingresso già considerato gradito dallo stesso Lakshimi Mittal dopo lo scioglimento di Acciaitalia, la cordata concorrente che aveva in Cdp il suo pivot e in Lucia Morselli (attuale a.d. di ArcelorMittal Italia) il suo amministratore delegato. In alternativa c'è solo un piano «B» con riconsegna delle chiavi ai Commissari Straordinari e rimessa in gara del gruppo, per decenni in pancia dell'Iri e poi passato alla famiglia Riva.
Fermoil tavolo con Arcelor Conte cerca un’altra cordata
ROMA «Il signor Mittal non ha mandato segnali, non sono previsti vertici nelle prossime ore. Speriamo mercoledì...». Giuseppe Conte, un po' come un amante non corrisposto, attende le mosse del patron di ArcelorMittal. E nonostante il gruppo franco-indiano abbia rinviato di qualche ora il deposito dell'atto di recesso, comincia a domandarsi con sempre maggiore insistenza e allarme, se Lakshimi Mittal abbia ancora interesse a sedersi al tavolo della trattativa. O se invece abbia ormai deciso di fare le valigie, come del resto ha annunciato ufficialmente, lasciando al proprio destino l'acciaieria di Taranto e i suoi 20 mila lavoratori (indotto incluso).
Tant'è che il premier, pur avviando la battaglia legale («il recesso è infondato»), comincia a studiare il piano B: il ritorno della gestione dell'Ex Ilva ai commissari, un prestito ponte di 700-800 milioni e nuova gara d'appalto con capofila Cassa depositi e prestiti (Cdp), il gruppo di Leonardo Del Vecchio, già protagonisti della cordata Acciaitalia sconfitta nel 2018 proprio da ArcelorMittal, più Leonardo e Fincantieri. E forse il modello finale potrebbe essere quello adottato per Alitalia, con il ministero dell'Economia con un 15% del capitale.
Negli ultimi giorni, nella speranza che quello del colosso franco-indiano fosse soltanto un bluff per strappare condizioni più favorevoli, Conte si è convinto che per il governo sarebbe possibile accettare tra i duemila e i 2.500 esuberi. E ha cominciato a studiare un piano per tutelare - attraverso un Fondo pluriennale per il sostegno ai lavoratori da inserire nella legge di bilancio con uno stanziamento iniziale di 5-10 milioni - i dipendenti in esubero. E ha anche esplorato la possibilità di concedere al signor Mittal uno sconto sul canone di affitto dell'acciaieria. Più, il famoso scudo penale.
Ma a palazzo Chigi, ora dopo ora, cominciano a vedere sempre più nero. «Tutti i segnali che raccogliamo vanno in una sola direzione: il disimpegno del gruppo franco-indiano», racconta Mario Turco, deputato tarantino e sottosegretario alla programmazione economica e investimenti, «e non è una cosa di questi giorni. Abbiamo scoperto che ArcelorMittal, oltre a fermare l'approvvigionamento delle materie prime, ha anche rifiutato alcune commesse. Questo sembra chiudere il cerchio: hanno deciso di andarsene e se ne stanno andando. Del resto la richiesta di 5 mila esuberi è inaccettabile».
Turco, che ha passato il weekend e anche ieri a Taranto, parla di «situazione esplosiva». «E' un momento estremamente delicato sia per i lavoratori, sia per tutto l'indotto, sia per le aziende che utilizzano l'acciaio dell'ex Ilva», spiega, «qui si rischia una crisi gravissima. I fornitori di ArcelorMittal hanno emesso fatture per 50 milioni, che rischiano di non essere pagare, e lo spegnimento progressivo degli altiforni può portare alla morte definitiva dell'acciaieria».
L'epilogo, appunto, che Conte, il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri e il responsabile dello Sviluppo Stefano Patuanelli vogliono «assolutamente evitare». Per questo a palazzo Chigi garantiscono: «Il premier sta studiano soluzioni alternative». Ed è per la stessa ragione che Conte sta esplorando l'ipotesi di dare vita a una nuova cordata, visto che la soluzione della nazionalizzazione (gradita ai 5Stelle e Leu) è considerata «un'extrema ratio» e dal ministro dell'Economia «una pericolosa illusione».
IL PIANO B Però è lo stesso Gualtieri a far balenare la possibilità di un coinvolgimento di Cdp, magari affiancata da Invitalia: «Cdp non va esclusa dalla cassetta degli strumenti di cui disponiamo». Certo, al Mef si affrettano a dire che «per ora questa soluzione non esiste, per serietà bisogna portare avanti il piano A: la trattativa con ArcelorMittal». Ma è anche vero che proprio ieri l'ad di Cdp, Fabrizio Palermo, ha dichiarato al Corsera: «La disponibilità di acciaio è strategica per un Paese manufatturiero come l'Italia, per questo avevamo partecipato alla gara». E, sempre ieri, Leonardo Del Vecchio, partner di Cdp nella stessa cordata, è stato visto vicino a palazzo Chigi. «Un incontro con Conte? Non posso né smentire ne confermare», dice chi ha parlato con il premier sempre più convinto che «la vera sfida sia la tutela della salute e la salvaguardia dei posti di lavoro». Due aspetti che potrebbero essere tenuti insieme da una cordata a partecipazione pubblica, con dentro Cdp, Invitalia, Fincantieri, Leonardo e addirittura il Mef. Più o meno il modello Alitalia, appunto.
In attesa di capire cosa succede, Conte con la benedizione del Pd e per venire incontro a Luigi Di Maio e ai grillini, ha deciso di mettere in stand-by la grana dello scudo penale. Quella in grado di terremotare governo e maggioranza. Se ne riparlerà quando sarà chiaro il destino dell'ex Ilva.