ROMA Il Movimento 5 Stelle, sull'onda dell'indicazione di Beppe Grillo, resta fermo su Conte premier, il Pd dice no, ma in realtà c'è più di uno spiraglio. Un compromesso sul presidente del Consiglio uscente ridimensionerebbe la presenza grillina al governo e il ruolo di Luigi Di Maio, sempre più all'angolo. Restano altri due punti fermi: Roberto Fico si è chiamato fuori dopo che il Partito democratico aveva dato la disponibilità ad accettarlo come premier; c'è ancora poco tempo per trovare una soluzione, perché Mattarella per domani aspetta risposte chiare dai partiti. Schermaglie attorno alle 19. Zingaretti in conferenza stampa ribadisce che resta la contrarietà alla conferma di Conte, il Movimento 5 Stelle nel tardo pomeriggio attacca con una nota: «La soluzione è Conte, il taglio dei parlamentari e la convergenza sugli altri 9 punti posti dal vicepresidente Di Maio. Non si può aspettare altro tempo su delle cose semplicemente di buon senso. È assurdo. L'Italia non può aspettare il Pd». E ieri mattina Grillo ha pubblicato l'ennesimo post di sostegno a Conte.
PAROLE CHIAVE Dopo discontinuità, altra parola chiave dell'accidentato percorso della trattativa tra Pd e M5S: rimpastone. L'ha pronunciata ieri nel tardo pomeriggio Nicola Zingaretti per spiegare che il rimpastone non si deve fare: il nuovo governo rosso-giallo non può essere una versione corretta di quello gialo-verde in cui il ministri Pd prendono il posto di quelli di Salvini e Conte resta presidente del Consiglio. Il confronto, dopo che ieri c'è stata l'ennesima telefonata tra Di Maio e Zingaretti, è ancora fermo in questo passaggio angusto sul premier. Controfferta di Di Maio: per conservare Conte a Palazzo Chigi, ecco un pacchetto di ministeri pesanti al Pd (interni, difesa ed economia), anche se questa indiscrezione è stata successivamente smentita. Nella partita a ping pong si è inserito Roberto Fico: sabato Zingaretti, per mettere in difficoltà Di Maio, aveva fatto trapelare che era pronto ad accettare il presidente della Camera (non proprio amatissimo dal capo politico del M5S) come premier. Ieri mattina la risposta diffusa dall'entourage di Fico che si chiama fuori perché «intende responsabilmente dare continuità al suo ruolo». Archiviato il passaggio di Fico, c'è stata la telefonata di Di Maio a Zingaretti per ribadirgli che per il Movimento 5 Stelle c'è solo Conte, ma che sono possibili concessioni sui ministeri da assegnare al Partito democratico. Nel Pd ormai cresce il fronte di chi è disponibile al compromesso, a partire dai renziani che mandano questo messaggio: «Zingaretti accetti la sfida del M5S, via libera a Conte per formare un esecutivo di svolta sui contenuti e sulla compagine ministeriale». La macchina dei media attribuisce questa frase a «fonti parlamentari renziane». Ecco, Nicola Zingaretti, nel punto stampa tenuto al Nazareno attorno alle 18.30, ha invitato proprio a non affidarsi più a queste «fonti» e rivolto anche ai suoi ha chiesto di non ritwittarle, ma di mettere «nomi e cognomi».
MESSAGGI Il leader del Pd ha parlato al termine del lavoro dei sei gruppi che stanno elaborando i punti programmatici da sottoporre al Movimento 5 Stelle: «Siamo molto preoccupati per l'eredità del vecchio governo, il rinnovamento e una nuova stagione deve esserci anche nelle politiche economiche. Giù le tasse ai redditi medio bassi. Noi pensiamo che in un governo di svolta la discontinuità deve esser garantita anche da un cambio di persone. È la posizione che ho sempre sostenuto e che ribadisco, convinto che si troverà una soluzione in un confronto reciproco, capendoci e interloquendo». Traduzione: diciamo no a Conte e agli ultimatum, però ci sono margini per trovare un'intesa. «Ma l'Italia non capirebbe un rimpastone».
«Se sono utile rimango al mio posto» Il premier adesso aspetta segnali
ROMA È bastato poco più di un anno di palazzo Chigi per costruire il brand Giuseppe Conte. Al punto che Beppe Grillo, definendo il premier «l'elevato», ha cercato in qualche modo di sottolineare il made-in dell'avvocato del popolo. Ma Conte ormai viaggia da solo. E così lo raccontano coloro che lo affiancano nella trasferta francese. Al G7 di Biarritz il presidente del Consiglio è stato accolto quasi come un eroe. Sia il presidente Macron che la Cancelliera Merkel hanno sostenuto di aver letto il discorso pronunciato da Conte al Senato. E il fatto che per la maggior parte fosse di attacco al sovranismo salviniano, li ha mandati in brodo di giuggiole.
IL TERMINE Un anti-Salvini che il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha più volte elogiato sottolineando il contributo dato da Conte alla elezione di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione Ue. Un plauso che non si limita al sostegno dato da Conte al Consiglio europeo alla candidata tedesca, quanto al voto dato in aula dal gruppo degli europarlamentari grillini. Un voto che alla fine è risultato decisivo e che ha aumentato a dismisura la considerazione per l'italiano che ai summit prende la parola in punta di piedi e solo dopo aver aggiustato il fazzolettino nel taschino. Averlo per mesi descritto come una sorta di Giobbe, ha reso ancor più pesante la furiosa arringa contro il vicepremier leghista. «Sic stantibus rebus, questa esperienza di governo è finita. E io ho bisogno di riposare e di stare un po' in famiglia», le sue parole di pochi giorni fa.
Ed invece, sono bastati gli abbracci di Biarritz e i tanti messaggi non mollare a fargli passare d'incanto la stanchezza. Un «resto dove sono», ovviamente pronunciato a bassa voce e condito da un «se sono utile», che non smentisce l'eloquio pacato e sempre prudente. Un parlare sommesso e cauto che è piaciuto sin da subito al presidente della Repubblica che Conte ha ringraziato per «i consigli» ricevuti nel corso della sua esperienza a palazzo Chigi. Ora che colui che ha staccato la spina al governo, è pronto a riattaccarla ma con un'altra maggioranza, torna alla mente quel «ma io voto Pd» che, raccontano, lo stesso Conte avrebbe detto all'allievo, poi ministro, Alfonso Bonafede quando gli propose di entrare nel governo ombra del M5S.
A differenza di Salvini, Conte ha appreso i tempi della politica, e il figlio non lo porta al Papeete ma al G7 Di Biarritz. E così dopo l'esternazione del giorno prima che ha messo in crisi il Pd, ieri Conte è stato in silenzio malgrado a 1500 chilometri di distanza ci si stava accapigliando proprio sul suo nome. Forte dell'ombrello internazionale, della riconoscenza di Macron e Merkel e dell'«amicizia personale» ribadita da Donald Trump, Conte sembrava godersi la scena di un Pd costretto a cercare una via d'uscita per non smentirsi e di un Di Maio in ritirata dal governo per concentrarsi su un Movimento che però guarda sempre più proprio a Conte. D'altra parte la chiusura alla Lega era ciò che interessava a Conte per far decollare l'intesa e, in fondo, anche se stesso. Bene, quindi, il no grazie di Roberto Fico che in mattinata ribadisce di voler rimanere alla presidenza della Camera. «Molto bene» Beppe Grillo che rilancia il sostegno all'«elevato» e forse oggi sarà a Roma per benedire il Conte 2.
Ascoltare in diretta la dichiarazione di Zingaretti fa tirare un sospiro di sollievo al premier, anche perché non lo cita. Ma poiché ogni giorno ha la sua pena, ci si accontenta del via libera dei renziani che arriva sulle agenzie prima della dichiarazione del segretario Pd. Dopotutto a Conte il senatore di Rignano è sempre stato simpatico e il fatto che da subito abbia spinto per un nuovo governo ha contribuito ad abbassare non di poco la guardia a molti del Movimento. Altre ventiquattr'ore di attesa e Conte capirà se, appena rientrato da Biarritz, dovrà salire di nuovo al Quirinale per poi tentare di riattaccare la spina e impedire al suo nemico numero uno, Matteo Salvini, di capovolgere le sorti della battaglia ottenendo il voto anticipato. Alla fine, tra i due, solo uno rimarrà in piedi.