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Data: 03/11/2021
Testata Giornalistica: IL CENTRO
    IL CENTRO

Il lavoro in Italia è sempre più povero Sono circa 5 milioni le persone che percepivano, nel 2019, un salario medio non superiore ai 10mila euro lordi annui

ROMA Lavoratori poveri, per lo più giovani, precari e part-time. Già prima della pandemia, nel 2019 circa 5 milioni di persone percepivano un salario medio non superiore ai 10 mila euro lordi annui. Un numero destinato a salire con gli effetti della crisi sul mercato del lavoro, che ha tagliato le buste paga e aumentato la discontinuità occupazionale. A sostenerlo è la Fondazione Di Vittorio della Cgil, sulla base degli ultimi dati che analizzano la dinamica salariale legata alla tipologia e durata contrattuale, facendo prevedere, in attesa dell'aggiornamento dei dati, un peggioramento della situazione ed in particolare per la sfera dei cosiddetti working poor. Le fasce dei lavoratori più poveri comprendono per la gran parte gli occupati a tempo determinato, part-time o full-time ma comunque caratterizzati dalla discontinuità lavorativa, ovvero dal periodo di impiego che non arriva ai 12 mesi. Ed è in questi casi che per 5 milioni di persone la busta paga 2019 viaggiava dai 5.600 euro ai 9.800 euro lordi l'anno, fermandosi così sotto la soglia dei 10 mila euro. La pandemia, sostiene la Fondazione, non può che aver allargato l'area del disagio. Intanto calcola che nel 2020 il salario medio di un dipendente a tempo pieno in Italia è diminuito del 5,8% rispetto al 2019, con una perdita in termini assoluti di 1.724 euro nell'anno. È il calo più ampio nell'Ue (-1,2% in media) e nell'Eurozona (-1,6%) che mette il Paese in coda rispetto alle altre grandi economie, nell'ordine Spagna, Francia, Belgio, Germania e Paesi Bassi. Il ricorso alla cassa integrazione e ai Fondi di solidarietà ha tuttavia più che dimezzato la riduzione del salario medio annuo che così «integrato» si è fermata a 726 euro in meno (-2,4%), restando comunque sotto la soglia dei 30 mila euro lordi l'anno (a 27.900 euro). Fondazione Di Vittorio e Cgil sottolineano, quindi, la funzione positiva svolta dal blocco dei licenziamenti, ormai scaduto, e dall'utilizzo degli ammortizzatori sociali. Anche l'occupazione ha registrato una flessione più «contenuta»: Eurozona -1,3% e Italia -1,7%. Il quadro complessivo resta però difficile: secondo i dati Fdv, ci sono circa 3 milioni di precari con contratti a tempo determinato e 2,7 milioni di part-time involontari, ovvero coloro che lavorano a tempo parziale non per scelta ma perché costretti dalla mancanza di alternative, che si aggiungono ai 2,3 milioni di disoccupati ufficiali. Il salario dei part-time italiani, emerge ancora dal rapporto, è più basso dei colleghi nella media dell'Eurozona di oltre il 10%. Così come la percentuale di part-time involontario in Italia risulta la più alta a livello europeo: nel 2020 arriva a segnare il 66,2% sul totale degli occupati a tempo parziale (circa 4,2 milioni), contro il 24,7% dell'Eurozona.

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