ROMA Era uscito dal bunker e dopo la conferenza stampa di Matteo Renzi ci è rientrato con lo stesso umore di Donald Trump dopo il riconteggio in Georgia. Giuseppe Conte aveva lasciato palazzo Chigi nella tarda mattinata di ieri per seguire i consigli filtrati dal Nazareno che suggerivano al premier di recarsi al Quirinale e poi di aprire a Iv in modo da correggere quel «mai più con Renzi» fatto filtrare il giorno prima.
LA SFIDA Anche se con qualche perplessità, Conte ha seguito tutti i consigli, salvo poi trovarsi impallinato alle sette di sera dal senatore di Rignano che, anche se non ha mai chiuso all'ipotesi di un Conteter, è andato giù pesante confermando come il livello di fiducia reciproco sia al lumicino e che i continui rinvii non stanno certamente aiutando la ricomposizione. La tentazione della sfida in Aula a colpi di responsabili è stata accantonata anche a seguito del colloquio con Sergio Mattarella, ma il premier mastica amaro e non esclude di andare in Parlamento per spiegare al Paese la sua versione, ma prima c'è chi consiglia di tentare la strada del ter anche a seguito delle rassicurazioni ricevute dal Pd e dal M5S che con Andrea Orlando e Alfonso Bonafede fanno quadrato intorno al premier. Andare in Aula, dove la rissa è assicurata, rischia di chiudere a Conte la strada per un accordo con i renziani.
Il Capo dello Stato si è trattenuto ieri mattina con Conte per quasi un'ora. Da giorni osserva preoccupato lo svolgersi dello scontro, ma oltre gli inviti a chiudere in fretta le questioni aperte, invitando le forze politiche al senso di responsabilità, non può andare. La crisi formalmente non si è ancora aperta anche se Mattarella si aspetta che a breve il presidente del Consiglio risalga sino al Quirinale. «Purtroppo questa sera Iv si è assunta la grave responsabilità di aprire una crisi di governo». Un rammaricato Conte ieri sera ha aperto così il Consiglio dei ministri. Sa che deve fare in fretta e che se anche prenderà l'interim delle due ministre dimissionarie, non può tirarla per le lunghe.
LA SPIAGGIA Il passaggio al Quirinale, forse già nella giornata di oggi, è inevitabile sia in caso in cui decida di rassegnare le dimissioni e uscire di scena o, come molto più probabile, decida di avere margini per ricomporre gli strappi nella maggioranza e chieda al Presidente della Repubblica tempo in vista di dimissioni e un possibile nuovo incarico. La preoccupazione del Capo dello Stato per una crisi al buio, e per i tempi lunghi che rischia di avere, rientra nel novero delle cose da evitare e raccomandate al premier nel corso del colloquio. Insieme alla necessità di scongiurare la messa insieme di una maggioranza fatta da presunti responsabili. Tramontata quest'ultima ipotesi - anche a seguito della riunione a distanza tra Berlusconi, Meloni, Salvini, Toti e Cesa - priva il premier di un'arma nei confronti di Renzi anche se ora nel Pd c'è chi pensa di trovare i responsabili proprio tra le fila renziane. Dalla sua Conte ha però la pressione del Quirinale su tutte le forze politiche della maggioranza - renziani in testa - per chiudere rapidamente la crisi ed evitare l'arrivo a palazzo Chigi di un esecutivo tecnico che traghetti il Paese alle urne. Ieri notte tutti gli esponenti della maggioranza, esclusi ovviamente i renziani, hanno fatto a vario titolo quadrato intorno al premier, ma il tempo per trovare una soluzione è poco e occorre smaltire in fretta le scorie velenose della lunga contrapposizione proseguite sino a notte con accuse tra Conte e Renzi su chi deve fare la prima telefonata. Si inizia però ad avvertire il pressing dell'opposizione e rischia di tornare d'attualità il peso che ha la riforma costituzionale su un Parlamento che tra qualche mese dovrà scegliere il nuovo Capo dello Stato.
La strada per ritrovare un accordo è stretta ma non impossibile e poggia anche sul post rilanciato da Beppe Grillo che invita ad una ricomposizione con «i costruttori» dell'attuale maggioranza. Dopo lo strappo renziano nel Pd si mastica amaro. Tutti, o quasi, lanciano strali contro Iv, ma i dem tornano a ritessere la tela interrotta qualche giorno fa e che prevedeva le dimissioni di Conte nelle mani di Mattarella solo dopo aver trovato un nuovo accordo nella maggioranza in modo da ricevere un nuovo incarico.
Dopo giorni di resistenze, la strada del rimpasto va in soffitta e anche ieri notte sono proseguiti i contatti tra Pd e Iv per arrivare ad un'intesa che non sia troppo penalizzante per il presidente del Consiglio. «Ai colleghi europei che mi chiamano per chiedere spiegazioni dico questo: che Mattarella è la garanzia della tenuta politica e sociale del Paese», ha sostenuto ieri in tv il ministro Enzo Amendola.
Matteo vuole mani libere: non mi impicco ai nomi. Ma tifa Franceschini
ROMA «Potevamo vincere, invece adesso possiamo stravincere». Con queste parole Matteo Renzi, poco prima dello strappo con cui ha annunciato le dimissioni di Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, ha cercato di tranquillizzare i suoi che gli chiedevano di accogliere l'appello di Giuseppe Conte a «un nuovo patto di legislatura». E dunque di rinunciare all'affondo.
Renzi, ben sapendo che «i responsabili in Senato non si trovano» e se si trovano, «Pd e Mattarella sono contrari a operazioni del genere», ha deciso di forzare la mano. L'obiettivo: ottenere quella «discontinuità politica e programmatica» che gli potrebbe permettere di cantare vittoria. «Tanto alle elezioni in piena pandemia non ci crede nessuno».
A maggior ragione, senza rischio-urne, l'ex premier pretenderà le dimissioni di Conte con la speranza che a quel punto si apra il classico vaso di Pandora. E che spunti un premier del Pd, oppure un governo tecnico. «Io sono stato serio, ho fatto ciò che avevo annunciato e ho difeso la democrazia rispetto a un modo di far politica che è intriso di populismo», ha confidato Renzi ai suoi, «a questo punto non mi impicco sui nomi. Facciano loro. Può essere Franceschini o un altro, non m'importa: se vogliono tenersi Conte facciano pure. Il perimetro della maggioranza però deve restare quello attuale, dopo che sarà stato stretto un programma serio e concreto fino al 2023».
LA STRATEGIA Del resto un Conte-ter, anche «se il nonplusultra per me sarebbe vedere uno del Pd o un tecnico a palazzo Chigi», per Renzi sarebbe comunque «un successo». E questo perché da questa operazione il presidente del Consiglio ne uscirebbe «fortemente ridimensionato e indebolito». Spiegazione ai suoi: «Giuseppi dovrà ingoiare una nuova squadra di governo, e soltanto il 30 dicembre diceva che la sua era la migliore del mondo. Dovrà subire la nomina di due vicepremier, Di Maio e Orlando. E dovrà rinunciare alla delega ai Servizi. In più si ritroverà Bettini, o un altro dem, sottosegretario alla presidenza del Consiglio al posto del grillino Fraccaro». Insomma: «Gli tagliamo le unghie, lo facciamo uscire a pezzi». Pausa, ghigno: «Del resto stiamo facendo il lavoro sporco che avrebbero voluto fare Zingaretti e Di Maio...».
Ma c'è di più. C'è che al tavolo della trattativa «che dovrà essere rapida come chiede Mattarella», Renzi si siederà con una «serie di richieste». La prima è il sì «almeno parziale» al Mes, il fondo salva Stati per le spese indirette e indirette della sanità. La seconda, appunto, la rinuncia alla delega ai servizi segreti. La terza: il siluramento, o un ridimensionamento, del commissario straordinario all'emergenza Covid, Domenico Arcuri.
Soprattutto, il senatore di Rignano chiederà un posto di governo per Maria Elena Boschi. Anzi, non un posto qualsiasi, ma la Giustizia cercando di sfrattare il capodelegazione dei 5Stelle, Alfonso Bonafede. «Questa sì che sarebbe una vittoria politica», si rincuora un renziano di alto rango, contrario allo strappo deciso dal leader.
«Condizioni pensate per rendere molto difficile la permanenza di Conte a palazzo Chigi. Renzi infatti, come ha dimostrato in conferenza stampa, cova una vera e propria avversione per l'avvocato. Ecco le sue parole: «E' stato creato un vulnus nelle regole del gioco, nelle regole democratiche. Il re è nudo. Pensare di risolvere i problemi con un tweet, un post o su Instagram è populismo. La politica richiede il rispetto delle liturgie della democrazia. Non è perché c'è la pandemia non si debba rispettare la democrazia: con le istituzioni non si gioca, la democrazia non è un reality show dove si fanno le veline». Ancora: «Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri, abbiamo fatto un governo per non darli a Salvini. E poi c'è stato un utilizzo ridondante delle dirette tv e discutibile della delega ai Servizi».
Un'avversione tale che Renzi trova anche il modo per bocciare il segnale di pace di Conte, perché lanciato nel tragitto dal Quirinale a palazzo Chigi: «Se c'è un'apertura politica vera, si misura in Parlamento non in un angolo di una piazza».