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Data: 14/01/2021
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO

Il compromesso di Conte: dimissioni per avere il ter. Matteo vuole mani libere: non mi impicco ai nomi. Ma tifa Franceschini

 
Matteo vuole mani libere: non mi impicco ai nomi. Ma tifa Franceschini

ROMA «Potevamo vincere, invece adesso possiamo stravincere». Con queste parole Matteo Renzi, poco prima dello strappo con cui ha annunciato le dimissioni di Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, ha cercato di tranquillizzare i suoi che gli chiedevano di accogliere l'appello di Giuseppe Conte a «un nuovo patto di legislatura». E dunque di rinunciare all'affondo.
Renzi, ben sapendo che «i responsabili in Senato non si trovano» e se si trovano, «Pd e Mattarella sono contrari a operazioni del genere», ha deciso di forzare la mano. L'obiettivo: ottenere quella «discontinuità politica e programmatica» che gli potrebbe permettere di cantare vittoria. «Tanto alle elezioni in piena pandemia non ci crede nessuno».
A maggior ragione, senza rischio-urne, l'ex premier pretenderà le dimissioni di Conte con la speranza che a quel punto si apra il classico vaso di Pandora. E che spunti un premier del Pd, oppure un governo tecnico. «Io sono stato serio, ho fatto ciò che avevo annunciato e ho difeso la democrazia rispetto a un modo di far politica che è intriso di populismo», ha confidato Renzi ai suoi, «a questo punto non mi impicco sui nomi. Facciano loro. Può essere Franceschini o un altro, non m'importa: se vogliono tenersi Conte facciano pure. Il perimetro della maggioranza però deve restare quello attuale, dopo che sarà stato stretto un programma serio e concreto fino al 2023».
LA STRATEGIA Del resto un Conte-ter, anche «se il nonplusultra per me sarebbe vedere uno del Pd o un tecnico a palazzo Chigi», per Renzi sarebbe comunque «un successo». E questo perché da questa operazione il presidente del Consiglio ne uscirebbe «fortemente ridimensionato e indebolito». Spiegazione ai suoi: «Giuseppi dovrà ingoiare una nuova squadra di governo, e soltanto il 30 dicembre diceva che la sua era la migliore del mondo. Dovrà subire la nomina di due vicepremier, Di Maio e Orlando. E dovrà rinunciare alla delega ai Servizi. In più si ritroverà Bettini, o un altro dem, sottosegretario alla presidenza del Consiglio al posto del grillino Fraccaro». Insomma: «Gli tagliamo le unghie, lo facciamo uscire a pezzi». Pausa, ghigno: «Del resto stiamo facendo il lavoro sporco che avrebbero voluto fare Zingaretti e Di Maio...».
Ma c'è di più. C'è che al tavolo della trattativa «che dovrà essere rapida come chiede Mattarella», Renzi si siederà con una «serie di richieste». La prima è il sì «almeno parziale» al Mes, il fondo salva Stati per le spese indirette e indirette della sanità. La seconda, appunto, la rinuncia alla delega ai servizi segreti. La terza: il siluramento, o un ridimensionamento, del commissario straordinario all'emergenza Covid, Domenico Arcuri.
Soprattutto, il senatore di Rignano chiederà un posto di governo per Maria Elena Boschi. Anzi, non un posto qualsiasi, ma la Giustizia cercando di sfrattare il capodelegazione dei 5Stelle, Alfonso Bonafede. «Questa sì che sarebbe una vittoria politica», si rincuora un renziano di alto rango, contrario allo strappo deciso dal leader.
«Condizioni pensate per rendere molto difficile la permanenza di Conte a palazzo Chigi. Renzi infatti, come ha dimostrato in conferenza stampa, cova una vera e propria avversione per l'avvocato. Ecco le sue parole: «E' stato creato un vulnus nelle regole del gioco, nelle regole democratiche. Il re è nudo. Pensare di risolvere i problemi con un tweet, un post o su Instagram è populismo. La politica richiede il rispetto delle liturgie della democrazia. Non è perché c'è la pandemia non si debba rispettare la democrazia: con le istituzioni non si gioca, la democrazia non è un reality show dove si fanno le veline». Ancora: «Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri, abbiamo fatto un governo per non darli a Salvini. E poi c'è stato un utilizzo ridondante delle dirette tv e discutibile della delega ai Servizi».
Un'avversione tale che Renzi trova anche il modo per bocciare il segnale di pace di Conte, perché lanciato nel tragitto dal Quirinale a palazzo Chigi: «Se c'è un'apertura politica vera, si misura in Parlamento non in un angolo di una piazza».

 

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