LODI Velocità: 298 chilometri all'ora. Federico Vadalà, 23 anni, sta andando a Roma per un provino di Temptation Island, guarda il display e scatta una foto che spedisce alla mamma. Cinque minuti dopo, alle 5.34 di mattina, il Frecciarossa 1000 AV 9565 diretto a Salerno deraglia. E' il primo della giornata a partire, ha lasciato da 24 minuti la stazione Centrale di Milano. Ma arrivato a Ospitaletto Lodigiano «uno scambio doveva essere posto in una certa posizione e invece così non era», spiega il capo della procura di Lodi Domenico Chiaro. E il locomotore, «anziché andare dritto per dritto», sterza sulla sinistra, si stacca dal resto del treno, centra due carrelli della manutenzione e sbatte contro un deposito attrezzi delle Ferrovie.
BINARI DEFORMATI Per i due macchinisti, Giuseppe Cicciù, 51 anni, di Reggio Calabria, e Mario Di Cuonzo, 59 anni, di Capua ma residente a Pioltello tristemente famosa per un altro disastro ferroviario, è impossibile sopravvivere allo schianto. Vengono sbalzati fuori dal Frecciarossa, un corpo viene trovato poco distante dalla motrice, l'altro a una cinquantina di metri. I binari deformati e le incisioni impresse dalle ruote sulle traversine tracciano il percorso che il Frecciarossa non avrebbe mai seguito se non fosse stato deviato dallo scambio. Appena è uscito dal tracciato è scattato il sistema di sicurezza che ha sganciato il convoglio, evitando il disastro: il resto del treno è rimasto sulla sede ferroviaria anche se completamente fuori dai binari, il secondo vagone è sdraiato su un fianco. La locomotiva è andata per conto suo e le prime carrozze erano quasi vuote, solo per questo non è stata una strage: due morti e 31 feriti, nessuno in gravi condizioni.
«Poteva essere una carneficina», afferma il prefetto di Lodi Marcello Cardona. E invece, quando nel giro di un quarto d'ora arrivano i vigili del fuoco, i viaggiatori sono già usciti dai vagoni sulle loro gambe. Chi spaccando il vetro con il martelletto come Federico, che per attutitire l'impatto ha abbracciato il sedile di fronte «come in aereo», chi precipitandosi fuori dalla carrozza alla disperata ricerca del collega disperso. E' Micaela, 24 anni, di Domodossola, che parla con un filo di voce. Era nella carrozza numero tre, da due anni va su e giù su questa tratta lavorando al servizio bar. Quando il treno è deragliato tra le campagne del lodigiano era con una collega. «Abbiamo sentito un grosso botto, le luci si sono spente e sono scoppiati i finestrini. Mi sono messa al riparo sotto al banco del bar, la mia collega si è rifugiata nel nostro bagno. Eravamo terrorizzate, soprattutto per il ragazzo che lavora con noi ed era nella carrozza uno. Temevamo di non rivederlo più». Se l'è cavata anche lui con «tanta paura e contusioni su tutto il corpo», è andata peggio a Xavier Sanchez, addetto alle pulizie, con caviglia e femore rotto.
«SIAMO STATI FORTUNATI» Scendere da quel treno, racconta Chiara, trent'anni, psicologa milanese in trasferta ad Arezzo, è come sentirsi dei miracolati: «Non si capiva cosa stesse succedendo. Mi sono aggrappata ai braccioli, sarà durato quaranta secondi, ma a me sono sembrati dieci minuti. Quando ho toccato terra mi sono guardata attorno e ho capito quanto siamo stati fortunati: la locomotiva era girata dalla parte opposta rispetto al senso di marcia». Alex, 28 anni, ha pensato fosse finita: «Se ti ribalti con un treno a 300 chilometri all'ora non pensi che rimani lì a parlare». La paura unisce, un ragazzo fin lì estraneo è seduto di fronte a lui e si ritrovano a stringersi la mano. Fino a che il treno si è fermato: «Siamo salvi». Dei ventotto passeggeri, dipendenti esclusi, la maggior parte stava dormicchiando e l'incoscienza ha raddoppiato lo shock: prima il boato che scuote e sbalza dalle poltrone, i vetri che esplodono, poi le luci che si spengono e le valigie che cadono dalle cappelliere «Sono stati venti secondi di montagne russe - è la terribile esperienza di Alessandro Rosato, medico romano - Io mi trovavo in bagno e mi sono sorretto in tutti i modi. Quando sono uscito, la prima persona che ho visto era un addetto del personale con una maschera di sangue». Solo una volta scesi «ci siamo accorti che la testa del treno si era staccata ed era dall'altra parte della casetta. Siamo dei sopravvissuti».
Lavori e scambio difettoso la pista dell’errore umano. La notte dell’incidente un intervento di manutenzione sul dispositivo incriminato
LODI Disastro colposo, omicidio e lesioni colpose. Per ora a carico di ignoti. «Stiamo verificando l'ipotesi dell'errore umano, che potrebbe essere legato ai lavori di manutenzione. Se vengono fatti, è perché qualcosa si è rotto». A metà pomeriggio il capo della procura di Lodi Domenico Chiaro tira le fila della prima giornata di indagini sul deragliamento del Frecciarossa. L'incidente, spiega, non è dovuto a un guasto improvviso all'imprudenza del macchinista. Se quello scambio fosse stato posizionato in modo corretto, afferma il magistrato, il treno avrebbe continuato a filare dritto fino a Salerno.
I LAVORIE invece fino a un'ora prima dell'incidente i tecnici di Rfi erano al lavoro proprio su quei pochi metri di binario dove il locomotore del Frecciarossa ha sterzato a sinistra e si è schiantato: avrebbero sostituito o riparato un deviatoio, ovvero un pezzo dello scambio. Gli operai impegnati nell'intervento di «manutenzione ordinaria ciclica» sono interni a Ferrovie, nessun appalto in questo caso. Il regolamento della società impone di registrare tipo di operazione effettuata e orari, perciò i manutentori sono già stati identificati e ascoltati dagli agenti della Polfer: «Abbiamo svolto correttamente il nostro lavoro», si sono giustificati. Eppure quello scambio - sequestrato dalla procura e fotografato dagli investigatori del Nucleo operativo incidenti ferroviari, coordinato dal vice questore della polizia Marco Napoli - non ha funzionato. Non era nella modalità corretta, afferma il procuratore capo. E' piazzato al km 166,771, a circa 300 metri dal luogo dell'impatto della motrice, e secondo gli inquirenti era in una posizione «errata». Era aperto e invece avrebbe dovuto essere chiuso.
Nella notte tra mercoledì e giovedì gli interventi degli esperti di Rfi si sono concentrati su uno scambio «oleodinamico», cioè il sistema che permette ai convogli di passare da un binario all'altro. «Stiamo indagando sulle attività di manutenzione svolte e sul tipo di nesso tra queste e il verificarsi del disastro», precisa il procuratore Chiaro. Sensori compresi. Tra le ipotesi su cui si concentrano gli investigatori, infatti, c'è anche un errore nel collegamento dei sensori che arrivano allo scambio: se così fosse, al macchinista non sarebbe arrivato alcun segnale di allarme. «Lo scambio era probabilmente aperto, anche se il segnale indicava al macchinista il via libera a procedere», ricostruisce un tecnico. «Il treno andava a quasi a 300 chilometri orari su un tratto rettilineo e lo scambio aperto è stato un trampolino di lancio per la motrice, che a quella velocità è deragliata saltando fuori dai binari a sinistra. La corsa del treno è stata frenata grazie allo sfregamento lungo la massicciata e anche al fatto che il primo vagone si è piegato di lato, permettendo al resto del treno di restare in piedi». In questa situazione il macchinista non avrebbe potuto «evitare quanto accaduto: non poteva fare niente, il sistema di sicurezza non si basa sulla visibilità del macchinista, ma sul sistema generale della rete».
IL FONOGRAMMAQuando vengono effettuati lavori di manutenzione, obbligo della squadra di intervento è comunicare il completamento delle operazioni. Cosa che la squadra ha fatto, con un fonogramma delle 4.45: Deviatoio n. 05 disalimentato e confermato in posizione normale come da fonogramma 78/81 fino a nuovo avviso». Stando a questa informativa, i lavori erano terminati e lo scambio posizionato in modalità regolare. Dati che sono stati trasferiti alle apparecchiature di bordo del treno 9595, motivo per cui il Frecciarossa non avrebbe mai potuto sapere che invece lo scambio era deviato. Ora tutto il materiale, a cominciare dalle scatole nere e i binari coinvolti, sono sotto sequestro. «L'interruzione per la manutenzione era finito prima dell'alba, poco prima del passaggio del primo treno della mattina, appunto - rileva Adriano Coscia, segretario generale Orsa Ferrovie - Al di là di cosa sia andato storto, emerge ancora una volta chiaramente che a fronte di dotazioni all'avanguardia, il problema del trasporto ferroviario è nella manutenzione. In quel tratto era attivo il sistema Ertms (European rail traffic management system), uno dei più avanzati in Europa, che avrebbe corretto un eventuale errore umano».
Mario e Giuseppe, la loro vita in prima linea per la sicurezza
Entrambi del Sud ed entrambi con una vita passata sui binari alle spalle. Mario Di Cuonzo, 59 anni, e Giuseppe Cicciù, 52, sono i due macchinisti che hanno perso la vita nel deragliamento di un Frecciarossa avvenuto ieri mattina a Ospedaletto Lodigiano, in Lombardia. «Le due nuove vittime del lavoro» per cui ha espresso il proprio cordoglio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella auspicando che si faccia chiarezza su cosa, alle 5.35 di giovedì, abbia causato l'incidente al treno 9595 Milano-Salerno e anche il ferimento in maniera non grave di altre 31 persone. Di Cuonzo era originario di Capua, in provincia di Caserta, mentre Cicciù era calabrese, ma entrambi erano arrivati in Lombardia da molti anni. Da almeno venti si erano trasferiti al Nord per seguire quel lavoro che amavano al punto da insegnarlo ai colleghi più giovani il primo e difenderlo come sindacalista il secondo.
SINDACALISTAIl 52enne calabrese è stato infatti a lungo delegato sindacale fino a quando, alle ultime elezioni, aveva scelto di non ricandidarsi per stare più vicino alla moglie e alla figlia nata da poco con cui viveva a Cologno Monzese. «Lo conoscevo da 25 anni, era una persona senza ipocrisie, ben voluto da tutti, solare, disponibile. Amava questo lavoro, lo svolgeva con serietà impeccabile ed era molto attento alla sicurezza» ha ricordato Fortunato Foti, ferroviere e sindacalista Filt-Cisl. «Abbiamo iniziato insieme nella Rsu e, quando passava in stazione Centrale a Milano, ci vedevamo sempre» continua, aggiungendo del legame speciale che Cicciù conservava con la sua terra natia: «Era attaccatissimo a Reggio Calabria e ci tornava appena poteva per far visita alla madre». L'uomo aveva lasciato la Calabria da giovanissimo per seguire la passione per treni e binari. Prima il servizio militare nel Reggimento Genio Ferrovieri dell'esercito, poi i cargo delle Ferrovie Italiane e alla fine, da anni, i moderni convogli dell'Alta Velocità per i quali era stato uno dei primi macchinisti in assoluto. Proprio come Cicciù, anche Di Cuonzo viveva nell'hinterland milanese, a Pioltello, dove appena due anni fa morirono tre persone in un altro tragico incidente ferroviario e dove ora, il sindaco Ivonne Cosciotti, ancora una volta si è ritrovata a proclamare il lutto cittadino.
QUASI IN PENSIONE Il 59enne, che oramai era a pochissimi mesi dalla pensione, lascia una moglie e un figlio preadolescente ma pure tanti colleghi - tra cui anche un fratello, Maurizio, macchinista a Piacenza - che lo ricordano come un maestro. «Un ferroviere con la F maiuscola» dicono alcuni, un grande professionista che prima aveva fatto parte della squadra reclutata per guidare i Frecciarossa dieci anni fa e poi di quella nata per formare i nuovi colleghi che hanno portato l'alta velocità in tutta la Penisola.
«Non era solamente un eccellente macchinista, ma anche e soprattutto un uomo dalla profonda bontà» aggiungono gli amici visibilmente commossi. «La sua passione, oltre ai treni, era il judo», da questa pratica, spiegano i colleghi, «aveva imparato quei valori di correttezza e dedizione che ogni giorno trasmetteva con il proprio esempio. Ricorderemo per sempre Mario come un amico sincero, e ci sorprenderemo nel ritrovarci in una delle sue sagaci battute che ci aiutavano a superare i momenti di difficoltà».