ROMA Dal Tribunale di Bologna arriva un nuovo passo verso il riconoscimento dei diritti dei riders, i ciclofattorini che consegnano il cibo a domicilio: assentarsi sul lavoro perché si è malati, perché si deve assistere un figlio minore, o perché si aderisce a uno sciopero di categoria, non è la stessa cosa che assentarsi per futili motivi. Il principio, ovvio in teoria per tutti, non lo era per la piattaforma Deliveroo e il suo algoritmo Frank, che assegnava un ranking reputazionale ad ogni rider in base ai criteri di affidabilità e partecipazione, senza distinguere tra i motivi per cui il rider in quel determinato giorno non si dichiarava disponibile. Una valutazione importante per il rider, perché in base al punteggio ottenuto, si godeva di priorità nella scelta degli orari di consegna e della zona. In definitiva con un punteggio più alto si lavorava di più, si potevano fare più consegne, e quindi guadagnare di più. Un algoritmo «discriminatorio», ha sentenziato il Tribunale di Bologna, sezione lavoro, che ha condannato la società a un risarcimento di 50.000 euro, e al pagamento delle spese del giudizio.
NIENTE RIMOZIONE Non c'è la richiesta di disattivare Frank, perché nel frattempo la stessa società dal 2 novembre scorso ha deciso di non utilizzare più l'algoritmo: per questo motivo, precisa il giudice nel provvedimento, «non può essere ordinata la cessazione del comportamento illegittimo bensì, soltanto, la rimozione dei relativi effetti». Ma la sentenza a questo punto assume un valore dissuasivo nei confronti di altre società che si occupano di consegne a domicilio alle quali potrebbe venire in mente di valutare i riders senza tenere conto dei fondamentali diritti di ogni lavoratore.
Da Deliveroo per ora incassano, pur non escludendo un eventuale ricorso in appello. Soprattutto però la società tiene a ricordare che l'algoritmo Frank «non è più in uso, dal mese di novembre questa tecnologia è stata sostituita da un'altra che non prevede luso di statistiche, pertanto questa decisione non ha alcun impatto sul nostro modello di business». Detto ciò Matteo Sarzana, general manager di Deliveroo Italy, rivendica «la correttezza del vecchio sistema, confermata dal fatto che nel corso del giudizio non è emerso un singolo caso di reale discriminazione. La decisione si basa su una valutazione ipotetica e potenziale priva di riscontri concreti».
Il caso nasce da un ricorso promosso dalla Cgil attraverso le categorie NIdiL Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil. «Non c'è la figura di un rider specifico dietro la causa, ed è per questo motivo che la sentenza è ancora più dirompente, perché vale per tutti i riderS» spiega l'avvocato Carlo De Marchis che ha seguito la causa. Per la Cgil si tratta di «una svolta epocale nella conquista dei diritti e delle libertà sindacali nel mondo digitale». «Per la prima volta in Europa un giudice stabilisce che Frank è cieco e pertanto indifferente alle esigenze dei rider che non sono macchine, ma lavoratrici e lavoratori con diritti» commenta la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti. Tra l'altro il giudice ha potuto accertare che volendo i manager di Deliveroo avrebbero potuto «togliere la benda che rende l'app cieca' o incosciente' rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è perché lo ha deliberatamente scelto». Oltre alla cifra da versare come risarcimento, il Tribunale ha ordinato a Deliveroo di pubblicare il provvedimento sul proprio sito internet e nell'area «domande frequenti» della propria piattaforma.
IL CONTRATTO Regolamentare con maggiori tutele il lavoro dei ciclofattorini è una delle missioni del governo Conte sin dalla prima formazione, quella giallo-verde. Finora però ancora non si è arrivati a un contratto di categoria riconosciuto da tutti. Ci sono alcune società che stanno cercando di andare incontro alle esigenze di questi lavoratori, per lo più giovani. Glovo ad esempio da pochi giorni ha avviato la distribuzione gratuita di dispositivi di protezione individuali e corsi sulla sicurezza stradale e igiene alimentare a tutti i rider che collaborano con la sua piattaforma. Ma le cronache ci ricordano che non mancano le società che abusano della debolezza economiche di queste persone imponendo clausole capestro. I manager di Uber Italy sono accusati di caporalato e il 22 gennaio si aprirà il processo: i rider - secondo i pm di Milano che hanno dato il via all'indagine che ha portato anche al commissariamento della società - venivano «pagati a cottimo 3 euro a consegna», «derubati» delle mance e «puniti» se si ribellavano.