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Data: 28/08/2019
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO
    IL MESSAGGERO

Governo, intesa in bilico lite su Di Maio come vice. Il capo M5S sente Zingaretti: «Non potete umiliarmi faccio il numero due». La replica: «No, così salta tutto». La scommessa del premier: più forte senza numeri due

In tarda serata il leader grillino: decide Rousseau,agli iscritti l’ultima parola. I dem: sgarbo a Mattarella. Le telefonate con Zingaretti che chiede
un solo vicepresidente per il suo partito. Conte media tra i grillini e i democrat e ora potrebbe decidere di restare “solo”


ROMA Il governo torna in bilico a mezzanotte: Luigi Di Maio insiste per avere il ruolo di vicepremier e addirittura annuncia il voto online, successivamente a un eventuale affidamento del preincarico a Conte. C'è anche una telefonata dai toni durissimi tra il capo M5S e Zingaretti, che non risolve la situazione. Anzi. «Non potete umiliarmi», dice il leader pentastellato. «Su questo non cediamo», replica l'altro. Il Pd parla di «sgarbo istituzionale» nei confronti del Quirinale, perché Di Maio fa sapere che comunque ci sarà il voto di Rousseau: «Gli iscritti avranno l'ultima parola». Ma Mattarella oggi deve concludere le consultazioni con i partiti maggiori. Pensare che alle 20 la crisi sembrava rientrata e tutti dicevano: domani il capo dello Stato assegnerà a Conte l'incarico. Sono state ore confuse, caotiche e dense di virate e controvirate, determinate soprattutto dalla doppia richiesta di Di Maio di fare il ministro dell'Interno e il vicepresidente del Consiglio. A sbloccare lo stallo è stato Conte, che ieri ha ricevuto anche la benedizione di Trump. Si è parlato del programma ieri nel tardo pomeriggio nel tavolo delle delegazioni di Pd e M5S. Ma il nodo della vicepresidenza del Consiglio non è sciolto. Marcucci, capogruppo Pd in Senato: «Conte è figura autorevole, terza, ma è indicato dal M5S». Traduzione: M5S non può pretendere presidente e vicepresidente del Consiglio. E una telefonata di Zingaretti ha convinto Conte a intervenire. Ma dopo cena torna il caos: dal Pd fanno sapere che Di Maio rivendica ancora la vicepresidenza, «salta tutto». E l'ipotesi del voto su Rousseau avrebbe effetti paradossali: ribaltare la disponibilità che oggi M5S potrebbe dare a Mattarella, tenendo Conte e il Paese nel limbo. Oggi documento alla direzione Pd: sì al Conte Bis, ma con un vicepremier dem.
SU E GIÙ Rivediamo al rallentatore le fasi convulse della giornata. Al mattino i primi flash: rottura nella notte (quella tra lunedì e martedì), strada in salita, finito male l'incontro tra Zingaretti, Di Maio e Conte. Il M5S (con «una telefonata da Palazzo Chigi» dicono al Pd) annulla il vertice previsto per le 11. La trattativa salta, i dem dicono che la colpa è di Di Maio che chiede Viminale e vicepresidenza del Consiglio. Troppo. Interviene Grillo. È criptico («Dio mi ha detto lasciali alla loro Babele»), bisogna fidarsi degli interpreti: è un richiamo a Di Maio; interviene Conte, dice che Luigi non ha mai chiesto il Viminale; interviene Roberta Lombardi (M5S) che chiede al capo politico di mettere da parte le ambizioni personali; interviene perfino Trump che con un tweet si schiera per la conferma a Palazzo Chigi dell'amico «Giuseppi». Ancora: Marcucci di fatto riconosce il ruolo di Conte, si riuniscono i gruppi M5S, scatta la cabina di regia del Pd, s'incontrano le delegazioni. Alle 17 un parlamentare dem allarga le braccia e dice: «Io ne ho viste tante, ma una giornata come oggi... Fino alle 14 sembrava tutto finito, poi è successo qualcosa e, bum, tutto è stato ricomposto». Magari. L'ennesima corsa sulle montagne russe della trattativa più psichedelica degli ultimi anni in serata porta a un nuovo allontanamento. A proposito: ieri è anche cominciato il secondo giro delle consultazioni del capo dello Stato; oggi riceverà anche le delegazioni di Pd e M5S, poi, salvo sorprese si prenderà un po' di tempo e domani deciderà se affidare l'incarico a Conte.

 

ROMA «Si fa, perchè tranne Bannon questo governo lo vogliono tutti». Dopo l'endorsement di Donald Trump a Giuseppe Conte, al Nazareno c'è chi ha voglia di ironizzare. Alla fine anche Luigi Di Maio se ne è fatta una ragione perché «non ci sono alternative». Eppure Matteo Salvini continua a indicarne una. Ovvero la strada delle elezioni anticipate che per il M5S sarebbero un massacro e per il Pd di Zingaretti una sconfitta non compensata dal cambio dei parlamentari dem.
LA SFIDA E così, seppur tra molti strattoni, si sta arrivando al giorno dell'incoronazione di Conte che, per avere il numero 2 accanto al cognome e non il bis, dovrà cambiare passo e dirigere veramente la politica del governo. Lo schema del tridente - due vice e un premier che esegue - non ha funzionato nel governo gialloverde e anche per Conte sarebbe un errore ripeterlo. E' per questo che, malgrado le cautele legate alla vigilia dell'incarico, Conte non si è particolarmente speso nei confronti di Di Maio nel vertice notturno di lunedì sera con i Dem Zingaretti e Orlando. Ieri pomeriggio, dopo il via libera dato a Conte dal capogruppo del Pd Graziano Del Rio, il muro del Nazareno nei confronti del leader grillino - che vorrebbe tornare al governo con un ruolo da vice - risulta altissimo. «Un solo vice e del Pd», sostengono per tutta la giornata al Nazareno. Lo scontro perde quota solo verso sera quando da palazzo Chigi arriva un «tutti o nessuno» che, tradotto, significa «o Zingaretti e Di Maio come vice, o nessuno». Una soluzione che, vista l'indisponibilità del segretario del Pd ad entrare al governo, finirebbe con il tagliare fuori l'attuale ministro dello Sviluppo Economico.
Per ora la questione resta sospesa, ma la partita vera degli incarichi inizierà solo dopo l'incarico che Conte potrebbe ricevere giovedì mattina. Da quel momento il testimone della crisi passa nelle mani di Conte che il Pd considera a tutti gli effetti come il più autorevole rappresentante del M5S nel governo. Anche se al Nazareno c'è chi non nasconde la preoccupazione per la tenuta del M5S a seguito del declassamento di Di Maio, ma per il Pd la «discontinuità» passa anche da qui.
E' per questo che ieri pomeriggio Conte dovuto intervenire nuovamente per sbloccare la trattativa diradando i dubbi dei Dem sulla «brama» di poltrone da parte di Di Maio. Non è la prima volta, dopo il discorso al Senato, e conferma la volontà di Conte di svolgere un ruolo più da leader, non giocando soltanto di rimessa come accaduto con il governo gialloverde. L'interlocuzione diretta, avviata da Conte con Zingaretti e da quest'ultimo con Casaleggio e persino con Grillo, segna un cambio di passo che però rischia di appannare non poco la leadership di Di Maio. La inusitata compattezza mostrata dal Pd contro l'incarico di vicepremier per il leader grillino, e l'altrettanta forte resistenza dello stato maggiore M5S, sembra però l'antipasto non tanto benaugurante per l'esecutivo che si appresta a venire alla luce.
I LATI «Il nostro capo politico è Di Maio e si parla con lui», sostengono a tarda sera i capigruppo M5S Patuanelli e D'Uva. Un segnale al Pd, ma soprattutto a quella parte del Movimento che sempre più rumorosamente critica il leader. Una contestazione che potrebbe esplodere dopo aver avuto la certezza che la legislatura non si interromperà. E' per questo che Conte dovrà gestire con il bilancino anche la distribuzione degli incarichi di governo e frenare le richieste del Pd che chiede pari dignità. Ai Dem dovrebbe essere data l'ultima parola su tre ministeri di peso come Economia, Esteri e Interni sui quali intende vigilare anche il Quirinale. Al Mef sembra difficile un ritorno di Padoan e la conferma di Tria. Si va a caccia di un nome forte in grado di rassicurare mercati e Bruxelles. Alla Farnesina potrebbe andare l'ex premier Paolo Gentiloni, mentre gli Interni potrebbe tornare nelle mani di Minniti qualora Bonafede dovesse rimanere alla Giustizia.


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