ROMA «Nel giro di due mesi sbloccheremo sette cantieri in tutta Italia che daranno lavoro a 130 mila persone». Lo ha assicurato l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Gianfranco Battisti, intervenendo al webinar di MoltoEconomia andato in streaming ieri sulle testate del gruppo Caltagirone Editore (Messaggero, Mattino, Gazzettino, Corriere Adriatico, Quotidiano di Puglia). Rispondendo al numero uno del gruppo di costruzioni Webuild, Pietro Salini, che aveva appena chiesto di accelerare sull'avvio delle opere, Battisti ha spiegato: «Salini ha posto un tema non banale, quello dell'accelerazione della messa a terra delle gare per poi dare il calcio di avvio ai cantieri». Il riferimento è in particolare a sette opere, sparse un po' in tutta Italia: ci sono per esempio la tratta ferroviaria Fiumefreddo-Letojanni in Sicilia e la Apice-Orsara sulla Napoli-Bari. «Sette cantieri - ha continuato Battisti - che entro i prossimi due mesi saranno attivi e quindi avranno una ricaduta importante dal punto di vista occupazionale: saranno oltre 130 mila i posti di lavoro con una straordinaria leva di crescita di Pil. Oggi il Paese ha assoluto bisogno di Pil e questo è un esempio di come noi possiamo incidere, indipendentemente dal Recovery Plan. Già nel 2020 - ha proseguito l'amministratore delegato delle Ferrovie - abbiamo realizzato 21 miliardi di gare che metteremo a terra nei prossimi mesi e siamo stati di fatto il primo grande investitore del Paese. E oltre a questo abbiamo contabilizzato investimenti per 8 miliardi di euro».
Salini nel suo intervento aveva citato il piano «senza precedenti» sulle infrastrutture varato dal presidente americano Joe Biden che prevede investimenti per trilioni di dollari. «Dobbiamo fare delle scelte accompagnate dai soldi che tutti fanno quando vogliano realizzare un obiettivo - ha sostenuto il manager - Noi invece abbiamo questo peccato originale: facciamo dei bellissimi piani, spesso anche in anticipo sugli altri, ma poi non siamo coerenti e non mettiamo i soldi che servono per realizzarli». Salini ha invitato quindi ad accelerare sull'apertura dei cantieri, anche per creare occupazione. Quello che Webuild chiede, ha detto, è «di lavorare, di velocizzare i percorsi delle gare» perché «ogni gara che viene aggiudicata significa migliaia di posti di lavoro».
LA RETE Nel piano appena messo a punto dal governo per sfruttare i finanziamenti del Next generation Eu ci sono comunque 25 miliardi di investimenti per rafforzare e migliorare la rete ferroviaria italiana. Fondi che le Fs aspettavano per «completare quelle opere infrastrutturali che sono fondamentali per entrare in connessione con i grandi corridoi europei» e che «cambieranno di fatto l'assetto logistico del Paese», ha detto ancora Battisti, citando in particolare la Napoli-Bari che farà nascere una «unica grande aerea urbana» fra le due città. Opere che, secondo il manager, avranno un impatto significativo e genereranno 20mila nuovi posti di lavoro.
Di mobilità sostenibile ha parlato infine l'amministratore delegato di Porsche Italia, Pietro Innocenti, sottolineando che al momento le auto elettriche circolanti in Italia sono solo lo 0,2% e che quindi la strada da fare è ancora molto lunga e la transizione deve accelerare moltissimo. Il manager ha chiesto certezza sugli incentivi per le auto green e si è poi concentrato sulle infrastrutture di ricarica. Innocenti ha giudicato troppo basso l'investimento previsto dal Pnrr per la costruzione di colonnine elettriche. Nel Recovery Plan, ha notato, ci sono infatti 750 milioni per creare 21mila punti di ricarica sul territorio contro i 5,5 miliardi stanziati recentemente dalla Germania per un piano simile.
«Lo Stato che controlla l'impresa non è il futuro» Recovery, cura del ferro
«Lo Stato che controlla l’impresa non è il futuro» Recovery, cura del ferro
ROMA Lo Stato nella crisi fa e farà la sua parte. Non può tirarsi indietro. Ma gli imprenditori dovranno rimettersi in gioco. Perché il pubblico al 100 per cento nelle imprese, con tanto di gestione, non può essere il futuro. È questa la sintesi del pensiero del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, illustrata ieri durante il webinar «Obbligati a crescere - L'economia della prossima generazione», al quale hanno preso parte oltre a Giorgetti, i ministri Mara Carfagna (Sud), Vittorio Colao (Innovazione tecnologica) ed Enrico Giovannini (Infrastrutture), oltre al gotha dell'economia privata e pubblica tra cui Carlo Messina (Intesa Sanpaolo), Francesco Starace (Enel), Pietro Salini (WeBuild), Gianfranco Battisti (Ferrovie dello Stato), Alessandro Profumo (Leonardo), Silvia Candiani (Microsoft Italia) e Pietro Innocenti (Porche Italia).
Il dibattito ha provato a rispondere a una domanda semplice ma centrale: che Italia sarà nel 2026 dopo che i miliardi del Recovery Plan saranno stati utilizzati? Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha spiegato Giorgetti, «risponde al ruolo pubblico in una situazione di crisi, dopo di che ci deve essere la parte privata, gli imprenditori che si rimettono in gioco. L'alternativa è che lo Stato diventi azionista al 100%, questo non può essere il futuro». Ma nel 2026, oltre alla presenza dello Stato nell'economia, ci sarà un'altra incognita da sciogliere: quella del debito pubblico. Tema affrontato dal banchiere Messina. «È indispensabile - ha spiegato - realizzare la crescita. Se attiviamo tutto il potenziale del Piano, cresceremo mediamente dell'1,5% dal 2025 al 2030 raggiungendo un rapporto debito/Pil del 140% (dal 157% previsto per quest'anno). Ma non basterà - ha proseguito il ceo di Intesa Sanpaolo - Dobbiamo trovare negli anni ulteriori fattori di sviluppo, in modo da portare la crescita oltre il 2% e garantire un rapporto debito/Pil che ci renda indipendenti dalla Bce».
GLI INVESTIMENTI D'altro canto il Recovery Plan mette a disposizione una gran mole di risorse, soprattutto per gli investimenti, come ha ricordato il ministro delle infrastrutture Giovannini. Ci sarà una vera e propria «cura del ferro», ha spiegato. Il ministero delle Infrastrutture e della Mobilità gestirà 62 miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La cura del ferro è un capitolo che da solo vale non meno di 25 miliardi. L'obiettivo è sviluppare le ferrovie portando l'alta velocità a Reggio Calabria e chiudere la Brescia-Padova. Ma è anche previsto il raccordo con le linee regionali. Tra le tratte citate da Giovannini ci sono la Orte-Falconara e la Roma-Pescara, le linee ferroviarie che andranno da Est a Ovest. Ci sono anche 8,5 miliardi per i materiali rotabili, che vuol dire nuovi treni, nuovi autobus, nuove metro.
Il ministro dell'Innovazione tecnologica Colao, invece, ha frenato sul progetto della rete unica particolarmente caro al precedente governo. «Credo - ha detto - che il ruolo giusto della politica sia quello di pensare agli interessi dei cittadini», quindi a portare la banda ultra-larga a loro e «farlo in maniera equilibrata. Le questioni societarie le devono valutare le società e l'Antitrust».
La ministra Carfagna, responsabile del Sud, ha spiegato che la sua priorità «è porre le basi per una riunificazione economica e sociale del Paese. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza», ha aggiunto, «ci aiuta a fare questo balzo in avanti. Per il Sud - ha proseguito la ministra - c'è una quota di 82 miliardi di euro del Pnrr, che diventano 130 miliardi se si aggiungono i fondi strutturali e quelli del React Eu». L'impiego di questi fondi, ha sottolineato la ministra, determinerà una crescita del Sud aggiuntiva del 24 per cento, rispetto al 15 per cento della media nazionale.