ROMA Conte dice che non è del M5S. Il Pd si ritira dallo schema dei due vicepremier. Di Maio non molla la poltrona e dal bunker di palazzo Chigi convoca riunioni su riunioni. Inoltre sulla trattativa pende la spada di Damocle della consultazione su Rousseau, che Di Maio e Casaleggio agita come l'arma di fine-mondo, facendo intendere che potrebbero farla volgere al brutto se non accontentati nel risiko delle poltrone. Una lunga serie di mosse tattiche che, a due giorni dall'appuntamento con il Presidente della Repubblica, spingono Conte a dosi massicce di decisionismo. Nell'intreccio dei sospetti non poteva non finire il presidente del Consiglio che viene accusato da Di Maio di aver concordato con il Pd la dichiarazione con la quale Dario Franceschini si è sfilato dalla corsa a vicepremier e dal Pd di giocare di sponda con i grillini quando sostiene che non è un premier in quota Cinquestelle.
IL NODO Per lo psicodramma che vive in questi giorni Di Maio è difficile che Conte possa alla fine negargli l'ufficio a palazzo Chigi, ed infatti ieri sera il leader pentastellato diceva che «sarà Conte a decidere». Citare Gianluigi Paragone, a sostegno della tesi del leader-vicepremier, vale doppio, vista la contrarietà mostrata sin dall'inizio dal senatore M5S all'intesa con il Pd. Negare a Di Maio la doppia poltrona rischia infatti di far nascere il governo con il piede sbagliato. Perché è vero che i gruppi parlamentari M5S sono quasi tutti per l'accordo con i dem, ma al Senato potrebbero bastare quei quasi per rovinare la festa. Il problema è che per il Pd di Zingaretti si tratterebbe del terzo no trasformato in si. Anche ieri il segretario del Pd ha avuto modo di ribadire a Conte che il partito si attende segnali chiari di discontinuità. Il problema che agita i sonni di Conte è però dove, visto che Di Maio oltre al vicepremier vorrebbe anche il ministero della Difesa. Il sospetto dei dem è che Di Maio pensa di ripetere in tutto lo schema-Salvini e che a Conte dopotutto il format dei due vice gli permetterebbe di continuare a considerarsi super-partes.
Se così fosse, per i dem sarebbe una riedizione del governo gialloverde. A meno che, ed è su questo che puntano al Nazareno, tra ministri tecnici e del Pd, l'esecutivo non finisca con lo scolorire la presenza M5S. Con Di Maio vicepremier, ma delega leggera (Sud o Innovazione), mentre il Pd metterebbe suoi uomini allo Sviluppo Economico, al Lavoro, agli Esteri e all'Economia. Il braccio di ferro è destinato a continuare altre quarantotto ore, al termine delle quali Conte salirà al Quirinale con la lista dei ministri.
Conte è però deciso a non ripetere le infinite mediazioni che hanno caratterizzato il precedente governo, anche se è probabile che oggi incontri a palazzo Chigi lo stesso Di Maio per prospettargli sia lo schema di governo che lo prevede come vicepremier, sia lo schema alternativo. Un puzzle di non facile soluzione anche per gli appetiti interni al Pd. Tutti, o quasi, i big del partito - escluso Renzi che si è tirato fuori da subito - pensano di poter far parte del governo. Da Delrio a Orlando, da Franceschini a Gentiloni e Minniti. Aspirazioni che però rischiano di scontrarsi con l'idea che ha in mente Conte, ma che potrebbero coincidere con le aspirazioni di molti ministri uscenti pentastellati che puntano alla riconferma. Oggi Di Maio incontrerà tutta la pattuglia grillina che è al governo e che in questi giorni hanno vissuto in ansia e silenzio le fasi della trattativa.
LA SFIDA Per ora, ciò che più volte è emerso, è che oltre a Di Maio i ministri 5S che verranno sicuramente riconfermati sono Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro. Gli altri esponenti del M5S rischiano di essere avvicendati magari con i colleghi che hanno sinora svolto il ruolo di vice o di sottosegretario nello stesso ministero. E' probabile che il non facile compito di dire grazie per il lavoro svolto, possa alla fine spettare allo stesso Conte che, con il meccanismo della rosa, sceglierà da un elenco di nomi messo a punto dal leader pentastellato.
Se sui nomi la trattativa è ancora in alto mare in attesa che venga sciolto il nodo dei vicepremier, sul programma i passi in avanti sono più concreti anche se alcuni punti resteranno con la stessa formulazione un po' anodina del precedente contratto di governo. Ma sui contenuti della prossima legge di Bilancio, sulla riduzione dei numero dei parlamentari e sulla modifica della legge elettorale in senso proporzionale, l'intesa è stata trovata. Pochi punti, ma sufficienti per scatenare l'irritazione di Salvini che, mentre risparmia Di Maio, attacca e insulta il presidente del Consiglio.
Per il Lavoro rispunta Boeri Delrio alla Commissione Ue
ROMA Giuseppe Conte chiede al Partito democratico e al Movimento 5 Stelle di indicare una rosa di candidati per ogni ministero, non singoli nomi. Un modo per dire, in fondo: il governo lo modello io. Spuntano intanto, ad esempio per il Lavoro, ipotesi inedite, come quella dell'ex presidente dell'Inps, Tito Boeri. Ma la mossa di ieri del Pd per uscire dal labirinto costruito da Luigi Di Maio che chiedeva con insistenza per sé il posto da vicepremier, rimescola le carte della distribuzione dei ministeri di un futuro governo Conte Bis con maggioranza rosso-gialla. Se i vicepresidenti non saranno né uno né due perché non saranno nominati, appare all'orizzonte la possibilità che lo snodo importante del sottosegretario della presidenza del Consiglio vada ai Dem, in particolare a Dario Franceschini, con delega all'editoria. Questo schema mette in crisi uno dei progetti di Conte: assegnare quel posto di stretta collaborazione con il premier al 5Stelle Vincenzo Spadafora, che a questo punto potrebbe rientrare invece nella lista dei possibili ministri. Altri ministeri in ballo: il Movimento 5 Stelle sta chiedendo con insistenza l'Istruzione (Nicola Morra, Lorenzo Fioramonti e Salvatore Giuliano i nomi in pista). Se la richiesta sarà accolta allora la Cultura potrebbe andare al Pd, in particolare alla renziana Anna Ascani. La componente di Matteo Renzi dovrebbe esprimere due ministri e l'altro potrebbe essere Lorenzo Guerini. Altro dicastero su cui si rischia lo scontro: la Giustizia. Non è un mistero che sia reclamato dal Movimento 5 Stelle e che Luigi Di Maio punti con insistenza alla conferma del fedelissimo, Alfonso Bonafede. Ma su questo il Pd è molto perplesso. Nicola Zingaretti potrebbe giocare la carta di un governo di forte rinnovamento: tra i Dem sarebbero esclusi coloro che hanno già alle spalle un'esperienza di ministro (con qualche eccezione). In sintesi: se il Pd manda avanti gli esordienti, lo stesso sforzo potrebbe essere chiesto anche al Movimento 5 Stelle.
SVILUPPO Questo ovviamente non può significare che Luigi Di Maio resti fuori del tutto: se accetterà la formula di un esecutivo senza vicepremier (ma ancora si sta ballando un frenetico merengue su questo tema), alla fine potrebbe convincersi che la soluzione migliore per lui è mantenere il ministero dello Sviluppo economico. Sulla richiesta della Difesa o, addirittura, dell'Interno, sono già emersi dei problemi non secondari. Dall'altra parte anche il M5S sta ponendo condizioni, visto che sta chiedendo che i futuri ministri non siano indagati né che in passato siano stati condannati. Su questo ieri il presidente incaricato Giuseppe Conte ha osservato: «Essere incensurato non è qualità per aspirare a governare il Paese, diciamo che è una premessa indispensabile». Conte ha anche confermato che ai partiti chiederà non dei nomi, ma una rosa - lui ha scelto la definizione di «indicazioni aperte» - in modo poi da «poter scegliere la migliore squadra, che deve avere determinate caratteristiche».
In questa fase c'è grande attenzione su due ministeri, in cui dovrebbero andare due tecnici espressi dal Partito democratico. Per il Viminale, vale a dire per il successore di Matteo Salvini, continuano a circolare nomi di personalità con esperienza sul tema della sicurezza, uno per tutti Franco Gabrielli capo della polizia (ma in passato anche capo della protezione civile e prefetto di Roma). Per il Mef le opzioni sono sempre quelle di economisti come Salvatore Rossi, Lucrezia Reichlin, Daniele Franco e Dario Scannapieco. Per il Lavoro una ipotesi è Tito Boeri. E poi c'è la partita del nome italiano per la commissione europea: l'idea di Zingaretti di ridurre al massimo la presenza di ex ministri nel governo sta rilanciando le quotazioni di Gentiloni (che però preferirebbe la Farnesina) e Delrio. Ma c'è anche l'ipotesi di un nome autorevole come quello di Paola Severino.