Di Maio dopo la sconfitta: patto col Pd impraticabile Duello Zingaretti-Renzi. «Proporzionale o salta tutto» La mina M5S allarma Conte. Ora scatta l'assedio a Luigi E lui: battaglia sulla manovra
ROMA Venti punti di distacco. Il laboratorio rosso-giallo, al primo test delle elezioni regionali, in Umbria è esploso. L'episodio pilot è andato molto male, subito cancellata la serie sulle alleanze Pd-M5S per le regionali. E anche il governo ora è più debole (eufemismo), con Giuseppe Conte che prova a blindare l'esecutivo: «Andiamo avanti, ma serve più unità». Salvini attacca: «Gli italiani non meritano di rimanere ostaggio di questa maggioranza che si scanna giorno dopo giorno». Ancora: «Le elezioni fan così paura? Sono esterrefatto dalla arroganza con cui Renzi, Zingaretti, Conte e Di Maio trattano gli italiani». In Umbria c'è stata una sconfitta storica: la candidata del centrodestra, Donatella Tesei, è la nuova governatrice con il 57,55 per cento dei voti; Vincenzo Bianconi, il candidato sostenuto da M5S e Pd, si è fermato al 37,48. Nelle province di Terni e Perugia sembra fermarsi la corsa del treno dell'alleanza nata quasi per caso tra pentastellati e dem. Trema il governo e Luigi Di Maio già chiede di modificare la manovra economica. Ma soprattutto dice: è stato bello, ma mai più con il Pd alle elezioni. «Il Movimento 5 Stelle, che stia alleato con la Lega o che stia con il Pd non ne trae giovamento. Il Pd ci fa male come le Lega». Replica immediata del senatore dem Luigi Zanda: «Non osi paragonare il Pd alla Lega. Se vuole la crisi del governo lo dica chiaramente». E anche Nicola Zingaretti incalza il capo politico del Movimento 5 Stelle: «Se Di Maio vuole andare avanti da solo con l'8%, auguri». Andrea Orlando, vicesegretario dem, è ancora più diretto: «Se andiamo avanti così, meglio staccare la spina. Tirando a campare il populismo non si argina, ma si amplifica». Non poteva mancare, in parallelo, lo scontro Zingaretti-Renzi. Il primo a seminare copiosamente sale sulle ferite di una coalizione che paradossalmente su scala nazionale è nata con la sua prima mossa, è proprio l'ex sindaco di Firenze. Dice: «È stato un errore politico drammatizzare il voto di questa pur bellissima regione, errore compiuto sia rivendicando l'alleanza strategica fra Pd e Cinque Stelle, sia impegnando il capo del Governo nella chiusura della campagna elettorale. La foto di Narni non ha aiutato a vincere. Ed ora è una genialata scaricare su di me, come fa qualcuno, le colpe della sconfitta. Come Italia Viva dalla vicenda umbra ci siamo tenuti fuori». Zingaretti però aveva fatto un'analisi differente che chiamava in causa proprio il protagonismo di Renzi: «Questo voto certo non è stato aiutato dal caos di polemiche che ha accompagnato la manovra economica». Nel Pd riprende forza chi non voleva il Conte Bis e ora ritiene che sarebbe più saggio andare a votare. E Goffredo Bettini sintetizza: «L'alleanza ha senso solo ed esclusivamente se vive in questo comune sentire delle forze politiche che ne fanno parte, altrimenti la sua esistenza è inutile e sarà meglio trarne le conseguenze». TRAMONTO Al di là dalla rapida discesa dal carro degli sconfitti di Renzi, contano i contraccolpi sulla tenuta del governo. E tramontano le alleanze rosso-gialle alle prossime regionali, a partire dalla Calabria. Ormai nel Movimento 5 Stelle, da Di Maio a Di Stefano, ma anche dalle regioni in ci si voterà nel 2020, è un susseguirsi di prese di posizione: «Meglio da soli». Nel panico del day after appare complicato anche il percorso della manovra economica. E Di Maio: «In queste settimane, mentre giravo per i mercati, gli umbri mi hanno chiesto delucidazioni sulla manovra. Stava passando un messaggio sbagliato sul pos, sulle partite Iva e su tanto altro. Per noi la lotta all'evasione non è criminalizzare commercianti, artigiani e professionisti».
«Proporzionale o salta tutto» La mina M5S allarma Conte
ROMA «Lascio ai leader delle varie forze fare le valutazioni». Giuseppe Conte ufficializza il passo indietro dopo aver sentito al telefono sia Luigi Di Maio che Nicola Zingaretti. L'analisi che i due gli fanno della sconfitta in Umbria diverge, ma ciò che soprattutto preoccupa il premier sono le differenze sul futuro che rischiano di compromettere la già complicata compattezza della maggioranza. A Narni Conte è andato pressato dai due, anche se sostiene di non essersi pentito della foto perché dopotutto all'alleanza sui territori di Pd e M5S continua a crederci, anche se ritiene occorra del tempo. LA FIDUCIA Lasciare a Zingaretti e Di Maio il compito di elaborare la sconfitta, soprattutto politica del primo ed elettorale del secondo, significa per Conte rientrare dietro la barricata di palazzo Chigi in attesa che la tempesta si plachi. Di Maio promette battaglia sulla manovra di Bilancio, anche se i margini per modificarla sono molto ridotti, così come i tempi. L'iter della manovra è appena iniziato al Senato, mentre alla Camera è approdato in Commissione il decreto fiscale. Obiettivo del governo è quella di votare i due provvedimenti - previo marginali modifiche da concordare tra i partiti e il Mef - e poi blindarli con la fiducia già al secondo passaggio. Ma i problemi per l'esecutivo potrebbero aumentare in vista del voto regionale in Emilia Romagna del 26 gennaio. Correre da soli, come evoca Di Maio, significa aumentare la competizione e la conflittualità interna. Ridurre la consultazione a fatto locale, diventa però più difficile dopo aver accettato la sfida salviniana in Umbria. E così a palazzo Chigi si incrociano le dita nella convinzione che il governo sia destinato a durare almeno sino all'elezione del nuovo Capo dello Stato, anche se Di Maio e Zingaretti iniziano ad essere terrorizzati dal conto che potrebbero poi pagare. Mettere in discussione il governo, minacciare il ricorso alle urne è per Conte un po' come segare il ramo dove sono seduti anche Zingaretti e Di Maio. Senza contare che sotto l'alberello c'è Salvini con la ruspa. Aver celebrato la morte dell'alleanza mentre il risultato elettorale era ancora caldo ha mandato su tutte le furie il Pd. Prima Zingaretti e poi Zanda hanno puntato il bazooka contro Di Maio perché la fine dell'esperimento riporta il M5S fuori da una possibile alleanza e pronta a schierarsi per una legge elettorale proporzionale. Per Di Maio il proporzionale è l'unica strada per ridare spazio al Movimento fuori dal condizionamento dei due poli. Il leader grillino è convinto che sull'argomento la maggioranza si muoverà in maniera compatta rispettando gli accordi pre-governo in modo da evitare le lusinghe maggioritarie del centrodestra a trazione Salvini e di mettere a rischio la tenuta dell'esecutivo. Anche se dalla sua il M5S ha Matteo Renzi e una parte di Forza Italia che non vuole morire sovranista, il passaggio per il governo Conte non sarà indolore perché si scontra con un Pd dove ancora resiste la vocazione maggioritaria e che ha come principale obiettivo stroncare Italia Viva. Nella proposta di stilare un «contratto» evocata ieri da Di Maio - e che Pd e Conte hanno rifiutato - è proprio la legge elettorale il convitato di pietra, molto più delle microtasse e del cuneo fiscale. LE ACQUE I venti punti di distanza inflitti in Umbria dalla Tesei al candidato del centrosinistra, rischiano di mandare in archivio anche le aspirazioni di leadership di Conte su una possibile coalizione giallorossa. Ma il presidente del Consiglio non sembra farsene un cruccio contando sui tempi lunghi e sulla sponda del Quirinale. A gennaio una sconfitta in Emilia Romagna della candidata di Salvini riporterebbe il sereno nella maggioranza. Una sconfitta del Pd renderebbe invece molto agitate le acque nella maggioranza anche se per Conte la via d'uscita, attraverso un cambio alla guida del governo, potrebbe risultare complicata proprio per la pressione che Salvini potrebbe esercitare sul Capo dello Stato affinchè si ritorni al voto dopo due governi saltati per aria. Aprire la crisi adesso - in piena sessione di Bilancio e con Bruxelles e mercati che osservano con una certa apprensione le contorsioni italiche - è pura fantasia o incoscienza. Conte ne è consapevole e richiama la maggioranza ad unità convinto che la Lega si batte non con le polemiche ma con l'azione di governo.
Ora scatta l'assedio a Luigi E lui: battaglia sulla manovra
ROMA Finito al tappeto, Luigi Di Maio reagisce con la forza della disperazione. Con il Movimento ridotto in Umbria al 7,4% (un anno e mezzo fa lì aveva raccolto il 27%) e la base e gli eletti grillini pronti a spingerlo sul banco degli imputati, il capo 5Stelle non trova di meglio che provare a salvare la pelle bocciando senza se e senza ma, eventuali repliche dell'alleanza con il Pd, inquadrando nel mirino il premier Giuseppe Conte e annunciando (di fatto) un Vietnam parlamentare sulla legge di bilancio. I risultati? Scarsi. Il Pd l'avverte: «Così si va a elezioni». Epilogo che per i grillini equivarrebbe all'estinzione, visto il trend elettorale. Conte fa spallucce e prova a tirare dritto, nonostante la preoccupazione montante. E tra i parlamentari e gli attivisti pentastellati lievita il proposito di strappare al ministro degli Esteri lo scettro del comando. Il primo atto di ostilità del leader grillino verso Conte e il Pd, è rilanciare l'idea del «contratto», mettere i dem sullo stesso piano della Lega («stare al governo con loro ci fa male quanto starci con i leghisti»), e terremotare l'accordo raggiunto faticosamente sulla legge di bilancio. In particolare il patto, caro al premier, contro l'evasione fiscale: «Dobbiamo fare chiarezza sulla manovra economica. Per noi la lotta all'evasione non è criminalizzare commercianti, artigiani e professionisti con Pos, carte di credito e abolizione del regime forfettario per le partite Iva. E poi c'è la questione legata alla plastic tax e alla sugar tax: anche gli interventi sulle entrate vanno visti bene, come bisogna decidere a chi va il taglio del cuneo». In realtà è stato stabilito che va ai lavoratori, ma il leader grillino sembra voler riaprire la partita. Eppoi, ciò che Di Maio non dice lo dice il viceministro al Mise, Stefano Buffagni: «Conte si ricordi che è stato espresso dai 5Stelle e deve condividere maggiormente con noi». E aggiunge: «Il capo politico è stato votato ed è la persona migliore che abbiamo, questo però non vuol dire non allargare la catena di comando come chiedono in tanti». Già, per evitare di essere decapitato, Di Maio accelera la formazione della segreteria politica convocando una riunione della squadra di Rousseau: «Le scelte, soprattutto a livello territoriale, vanno condivise. Sono stufo di fare il parafulmine. Tutti devono assumersi la responsabilità», si sfoga. E uno dei suoi aggiunge: «Ora il colpevole di tutto sembra essere Luigi. Ma lui era tra i più riluttanti a fare il governo con il Pd e in questa alleanza è stato spinto da Conte...». TENSIONE CON IL PREMIER Insomma, il solco tra il premier e il capo politico M5S si approfondisce. Allo stesso tempo però monta nel Movimento la ribellione. Tutti chiedono al leader di fare autocritica e di non scaricare la colpa del fallimento su Conte. Le chat dei parlamentari ribollono. In prima fila, tra i ribelli, c'è chi non voleva l'intesa con il Pd. Ecco Gianluigi Paragone: «La disfatta in Umbria è dovuta alla mancanza di coerenza e linearità. E la sconfitta è di Conte, di Fico anche di Grillo che continua a insistere con l'alleanza con i dem». Ed ecco Barbara Lezzi: «Serve subito l'assemblea del Movimento. In Umbria non siamo stati il cambiamento. Vanno costruite alternative ormai indispensabili». Ancora più duro Elio Lannutti, un altro nostalgico del patto con la Lega: «Quando si tradiscono principi a valori si va dritti verso l'irrilevanza, se non l'estinzione. Va cambiata rotta». E in molti, assieme alla Lezzi, invocano il ritorno in campo di Alessandro Di Battista: «Abbiamo bisogno di lui», sospira l'eurodeputato Ignazio Corrao. Durissimo il senatore Michele Giarrusso che dà voce alla ribellione contro la squadra di governo: «Ogni volta che un attivista vede uno Spadafora, un Buffagni o una Castelli viene colto da conati di vomito e fugge via disgustato». IL FRONTE A SOSTEGNO DI CONTE Tra deputati e senatori in tanti (pare siano la maggioranza) difendono l'accordo di governo con il Pd e il premier Conte: l'ex tesoriere Sergio Battelli («abbiamo parlato di esperimento umbro come se gli elettori fossero cavie»), il deputato umbro Filippo Gallinella («per non restare all'opposizione bisogna allearsi») e i parlamentari vicino al presidente della Camera, Roberto Fico, come la senatrice Paola Nugnes: «La colpa di questa situazione è di Di Maio. E non è sensato dire basta, senza neppure un confronto, all'accordo con i dem. Se demolisci la sinistra e allevi la destra», come ha fatto Di Maio, «ti fai fuori da solo. La terza via di Di Maio? Non si può essere né carne, né pesce». E in molti, a taccuini chiusi, sibilano: «Se in Umbria è andata così male è anche perché Di Maio all'alleanza con i dem non ci ha mai creduto». Beppe Grillo? Il padre nobile del Movimento prima ha scritto un tweet ironico: «Pensavo peggio». Poi l'ha cancellato. Ma Grillo ha sempre detto che la strada dell'intesa con i dem «è giusta, ma molto lunga...»
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