Data: 27/12/2022
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO |
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Da gennaio salari più alti per 4 milioni di lavoratori Si amplia la platea dei beneficiari con il taglio del cuneo al 3 per cento. Pensioni: Via in 50 mila con quota 103. La rivalutazione al 100% per gli assegni fino a 2.100 euro
ROMA Quasi quattro milioni di lavoratori in più beneficeranno del taglio del cuneo fiscale del 3%. Si amplia la platea dei dipendenti raggiunti dalla misura dopo che il governo, con il maxi-emendamento alla manovra, ha rivisto la soglia di reddito (passata da 20 a 25 mila euro) entro la quale si ha diritto allo sconto pieno. Il tre per cento è la somma del 2 per cento ereditato da Draghi e confermato dal premier Giorgia Meloni, e dell'ulteriore punto percentuale di sconto per i redditi bassi aggiunto in manovra dall'esecutivo. Nel complesso il taglio del 3% si applicherà a circa 15,4 milioni di lavoratori dipendenti, che in Italia sono in tutto 18,2 milioni stando agli ultimi dati Istat sull'occupazione. Per i redditi tra 25 mila e 35 mila euro resta la riduzione del 2% sui contributi dovuti sulle retribuzioni che era già in vigore. Costo dell'operazione: più di 4 miliardi di euro. Sono 4,12 milioni i lavoratori con redditi fino a 7.500 euro, mentre arrivano a 4,28 milioni quelli nella fascia tra 7.500 euro e 15 mila euro. In quella successiva, tra 15 e 20 mila euro, troviamo invece 3,1 milioni di lavoratori, e 3,9 milioni nella fascia che va da 20 mila euro a 25 mila euro di reddito.
L'IMPATTO - Ma la riduzione della forbice tra stipendio lordo e netto come impatterà sulle buste paga? Facciamo qualche esempio. Un dipendente con un reddito lordo di 12 mila euro l'anno otterrà circa 21 euro netti in più al mese. Ai lavoratori con redditi a quota 15 mila euro spetta un incremento superiore a 27 euro al mese, che diventano circa 30, sempre netti, per la soglia di reddito a 20 mila euro. E salgono a 38 euro circa per i redditi a 25 mila euro. Il taglio per i redditi sopra i 25 mila euro e fino a 35 mila euro si assottiglia come detto al 2%. E così per i lavoratori con 35 mila euro di reddito lo sconto si traduce in un incremento netto di 30 euro al mese in busta paga. Insomma, parliamo di aumenti superiori ai 200 euro all'anno e che possono arrivare a sfiorare i 500 euro (la dote infatti è di poco superiore ai 493 euro annuali per chi guadagna 25 mila euro).
Gli incrementi netti sono più contenuti di quelli lordi perché la quota di retribuzione non più assorbita dai 2-3 punti di contributi (che per definizione non sono sottoposti a prelievo fiscale) resta sì nella disponibilità del lavoratore, ma confluendo nell'imponibile Irpef, e quindi viene sottoposta al prelievo sulla base dell'aliquota marginale.
Il maxi emendamento del governo che ha esteso alle retribuzioni lorde fino a 25mila euro l'esonero del 3% sui contributi da versare fa riferimento al periodo di paga compreso tra il primo gennaio del prossimo anno e la fine del 2023. L'Italia, ha ricordato l'Inapp nei giorni scorsi, è l'unico Paese dell'area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%. L'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche considera la riduzione del cuneo fiscale inserita nella legge di Bilancio un passo importante, ma non sufficiente. E rimarca l'esigenza di lavorare a una politica industriale finalizzata a rimuovere le cause della stagnazione della produttività.
LE CRITICITÀ - Nel frattempo l'Istat ha calcolato che nel 2020 la riduzione del cuneo fiscale (ottenuta in quel caso con la riduzione dell'Irpef e non dei contributi) ha interessato 12,7 milioni di persone, per una spesa complessiva di 10,8 miliardi di euro di trasferimenti, pari a 850 euro pro capite. L'indagine Reddito e condizioni di vita fa il punto: «Il beneficio fiscale è andato maggiormente a vantaggio dei salariati appartenenti ai quinti di reddito familiare equivalente medio-alti: il 17,3% è andato a vantaggio dell'ultimo quinto (il più benestante), il 26,4% a beneficio del quarto quinto, il 24,1% al terzo quinto, il 20,3% al secondo e l'11,9% al primo quinto, ovvero il più povero». Nel 2020, con i redditi netti da lavoro dipendente in calo del 5%, il valore medio del costo del lavoro, al lordo delle imposte e dei contributi sociali, è risultato pari a 31.797 euro, il 4,3% in meno dell'anno precedente. La retribuzione netta del lavoratore, pari a 17.335 euro, costituisce poco più della metà del totale del costo del lavoro (54,5%). Risultato? Il cuneo fiscale e contributivo è in media pari a 14.600 euro e sebbene si riduca del 5,1% rispetto al 2019 continua a superare il 45% del costo del lavoro.
PENSIONI, SI CAMBIA. A cominciare dalla attesa rivalutazione dei trattamenti legati all'inflazione. Lo schema messo a punto dal governo mira a proteggere le fasce sociali medio basse garantendo la rivalutazione piena del 100% per le pensioni fino a 4 volte il minimo (2101,52 euro lordi al mese). LA SCALA - La rivalutazione per gli assegni tra 4 e 5 volte il minimo (2.101-2.627 euro lordi al mese) sale così dall'80 all'85 per cento. L'indicizzazione su riduce poi al 53% per le pensioni tra 5 a 6 volte il minimo; al 47% tra 6 e 8 volte il minimo, al 37% da 8 a 10 volte il minimo e al 32% negli assegni oltre 10 volte il minimo (oltre 5.250 euro). In pratica, vengono eliminate le tre fasce di reddito per la rivalutazione: 100 per cento per i trattamenti fino a 4 volte il trattamento minimo, 90 per cento per quelli fino a 5 volte il minimo e 75 per cento per quelli superiori a quest'ultima soglia. Occorre ricordare che la rivalutazione (sulla base di un indice inflattivo medio annuo fissato al 7,3 per cento dal ministero dell'Economia) è stata attribuita in misura pari al 100% a tutti i beneficiari il cui importo cumulato di pensione sia compreso, come ricordato, nel limite di quattro volte il trattamento minimo in pagamento nell'anno 2022. Per i pensionati il cui trattamento pensionistico cumulato è superiore a questo limite, la rivalutazione sarà attribuita sulla prima rata utile dopo l'approvazione della manovra. Il trattamento minimo rivalutato al 2023 è pari a 563,74 euro (da 525,38). La pensione sociale sale a 414,76 euro al mese (5.391,88 annui) e l'assegno sociale a 503,27 euro (6.542,51 annui). I limiti reddituali salgono a 5.391,88 personali per la pensione sociale (18.577,24 coniugale) e a 6.542,51 per l'assegno sociale (13.085,02 coniugale). La misura della perequazione, definitiva per l'anno 2022 e previsionale per l'anno 2023, è stata applicata anche alle pensioni e agli assegni a favore dei mutilati, invalidi civili, ciechi civili e sordomuti mentre i limiti di reddito per il diritto alle pensioni in favore dei mutilati, invalidi civili totali, ciechi civili e sordomuti sono aumentati del 5,1%. Per dare un'idea degli incrementi in vista, per gli assegni del valore fino a 5 volte il minimo, vale a dire quelli che arrivano intorno ai 2.626 euro, il nuovo sistema a fasce prevede un tasso di rivalutazione dell'80%, con un aumento del 5,84%. Questo si traduce in un aumento di circa 153 euro. Le pensioni rivalutate saranno pagate il 3 gennaio. In Banca saranno pagate con le stesse modalità ad eccezione di aprile e luglio quando si pagheranno il 3 del mese. Un'altra novità importante in arrivo riguarda le pensioni minime. Il trattamento più basso, per il 2022, è pari 525,38 euro. Stando all'inflazione pari al 7,3% nel 2023 e in base alla rivalutazione integrale passerebbero a 563,73 euro mensili. Ma le legge di Bilancio aggiunge un 20% in più. A questa cifra viene applicato un rialzo extra dell'1,5% arrivando così a 571,61. Una cifra garantita a tutti i percettori di pensioni minime, a prescindere dall'età anagrafica. Esclusivamente per gli over 75, l'assegno arriva a 600 euro al mese (circa 39 euro in più rispetto al trattamento riconosciuto a tutti gli altri beneficiari). Il pacchetto previdenziale messo a punto dall'esecutivo Meloni si completa con Quota 103. Per il 2023 l'età di accesso per la pensione di vecchiaia è fissata a 67 anni. La manovra di Bilancio si prepara a introdurre un nuovo canale di accesso anticipato (oltre i 42 anni e dieci mesi di contributi versati 41 e 10 per le donne) con un meccanismo (Quota 103, appunto) che consentirà il pensionamento con 62 anni di età e 41 di contributi. Secondo le previsioni, questo scivolo anticipato potrebbe coinvolgere circa 50 mila lavoratori.
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