ROMA Giuseppe Conte, nel discorso più lungo e (forse) più soporifero della storia repubblicana, fa appello «al coraggio» e alla «determinazione» di 5Stelle, Pd e Leu. Perché «va sfruttata l'occasione unica per migliorare il Paese». E perché, soprattutto, è ancora vivo nel premier il ricordo di quattordici mesi di zuffe e agguati tra leghisti e grillini. Un incubo h24. Con il rischio di replica: tra Conte e Luigi Di Maio è gelo. Siderale. Mitigato, in serata, solo dal fatto di trovarsi dalla stessa parte della barricata durante il violento scontro con la Lega.
Nel chiedere la fiducia della Camera (343 sì, 262 no, 3 astenuti) e senza mai citare Matteo Salvini, Conte fissa le regole d'ingaggio della nuova maggioranza per «il nuovo patto politico e sociale», per «la nuova e risolutiva stagione riformatrice»: «Lasciamoci alle spalle il frastuono dei proclami inutili e delle dichiarazioni bellicose e roboanti. La lingua del governo sarà mite, senza arroganza. Serve equilibrio e misura, sobrietà e rigore».
L'esatto contrario di ciò che è accaduto nel Conte Uno. Non a caso, il premier incaricato rimarca: «Dovremo mostrare coesione e unità d'azione, nel segno della lealtà. Dobbiamo essere pazienti nelle parole e operosi nelle azioni. Dobbiamo mettere da parte nuovi egoismi e vecchi rancori».
L'ARDUA IMPRESA«Non sarà facile» dimenticare anni di insulti. Conte lo ammette. Anche perché le scorie del passato sono rese palesi dalla freddezza e dalla totale assenza di amalgama tra i nuovi alleati, seduti l'uno a fianco all'altro, senza neppure scambiarsi una parola. Tantomeno un sorriso. Per questo il premier incaricato avverte: «Dovremo affrontare momenti molto duri, ma non possiamo dissipare il tempo in litigi e scontri, i cittadini non capirebbero». E non capirebbe neppure Sergio Mattarella che Conte, in apertura del discorso, ringrazia e indica come il suo riferimento. Lui che si conferma «garante» e «primo responsabile dell'azione riformatrice», cercando di restare aggrappato a quel ruolo super partes che il Pd gli nega.
Il presidente del Consiglio non fa, questa volta, l'elogio del populismo. Quella è una fase da archiviare (Di Maio e Casaleggio permettendo). Citando Giuseppe Saragat lancia la «Repubblica dal volto umano», che altro non è che una declinazione del «nuovo umanesimo». Dove, ad esempio, ci sono «equità sociale e uguaglianza», «asili nido gratis per tutti», «lavoro femminile tutelato», «massima attenzione ai disabili», «taglio delle tasse per i lavoratori», il «salario minimo», etc. Con un serio problema: le risorse sono scarse.
Viste le distanze, considerati i vecchi rancori e la diversità di storia e di vedute tra M5S e Pd, il discorso di Conte è un esercizio di equilibrismo con l'obiettivo di garantire al governo «un orizzonte temporale ampio, di legislatura». Promette il taglio dei parlamentari intimato dai 5Stelle, ma inserito in «una organica riforma costituzionale» sollecitata dai dem. Dice che vanno cambiati i decreti sicurezza, ma resta vago. Parla di «lotta alla clandestinità», affiancandola a «una maggiore integrazione». Più netto, più schierato con i grillini, su concessioni autostradali e sullo stop alle trivelle.
Senza ambiguità, invece, è l'approccio di Conte sull'Europa: «Difendere l'interesse nazionale non significa abbandonarsi a sterili ripiegamenti isolazionisti». Chiaro il riferimento a Salvini. «Va riformata l'Unione economica. Lanciamo una Conferenza sul futuro dell'Europa». Anche per tornare «protagonisti».
Del tutto diversi clima e toni nella replica del pomeriggio. Conte, per animare e rinsaldare la sua maggioranza, non usa le parole miti promesse 5 ore prima. Imbraccia l'artiglieria contro Salvini e Giorgia Meloni. Una vera e propria metamorfosi: «Avete lanciato accuse come tradimento, sequestro del voto, oltraggio agli italiani. Sono mistificazioni. Mi chiedo se la Costituzione esista ancora o sia stata stracciata: la nostra è una democrazia parlamentare. Questo governo non è frutto di accordi siglati nottetempo». Ancora, tra urla e insulti di leghisti e FdI: «E' assurdo accusare M5S di tradimento, si è dimostrato coerente al programma, voi siete coerenti solo alle convenienze elettorali. Ed è irresponsabile che un leader politico possa decidere ogni anno, a suo piacimento e arbitrio, di portare il Paese al voto per incassare più poltrone». L'Aula ribolle di grida leghiste. Scatta invece la standing ovation di grillini e dem: avere un nemico comune è, al momento, il collante più forte. Oggi si replica in Senato.
L’ex populista diventa avvocato delle 2 sinistre Quel grido: «Venduto!
Populista io? No. Addirittura «orgogliosamente populista», come si definì in occasione del Conte 1? Meno che mai. Ora è l'Avvocato delle sinistre. Davanti a lui, per lui, con lui - mentre dai banchi della Lega gli gridano: «Traditore», «Venduto», «Riciclato», «Giuda» e lui attizza la rissa e la usa - va in scena nell'unione degli applausi rosso-gialli la rappresentazione di un mini compromesso storico. Suvvia, Aldo Moro non c'entra anche se in piccolo è un pugliese anche il Bisconte. Il connubio, nell'aula-arena dove il presidente Fico annaspa e quasi singhiozza nello scontro e un lumbard alza una sedia e facendo il gesto di volerla tirare verso il premier grida: «Solo alla poltrona pensi!», è quello tra il democraticismo progressista del Pd, con tutto il suo impasto di cattolicesimo o di catto-comunismo, di laburismo e di diritti sociali, di europeismo e di «riformismo (parola tornata di moda e sulle labbra del Bisconte soppianta il populismo o la difesa del sovranismo che egli faceva coincidere con patriottismo ma adesso blehh...), e la retorica post-novecentesca e anti-novecentesca del grillismo. Tutta green economy, stop alle trivelle e Bergoglio e Greta (nel pantheon del Conte 2 spicca questa coppia da Laudato Si), sogno benecomunista («Subito la legge per l'acqua pubblica») venata da anti-capitalismo (la «revisione» del sistema delle concessioni significa punire Autostrade) e anti-casta («Subito il taglio del numero dei parlamentari»). Ecco, prima ancora che politico «il nostro è un progetto culturale», annuncia Conte. E il demo-pentastellismo aspira a diventare un canone inverso, una narrazione opposta, la contro-rivoluzione della rivoluzione conservatrice di Salvini.
UMANISTI E HATERS Ma il vero collante del tutto non è, come si vorrebbe far sembrare, il «nuovo umanesimo»: sta invece nell'astuta costruzione, da parte di Conte, del bersaglio utile a sorvolare sulle differenze tra ex nemici che si scannavano diventati neo-alleati per uno stato di necessità e a farli convergere sulla lotta all'uomo nero. Salvini è l'avvelenatore, il «vero poltronista», il fanfarone ebbro del «frastuono dei suoi proclami roboanti e inutili». E' il fellone e l'assente: «Bisogna prendere parte a tutti i consigli europei. Proprio a tutti. E arrivarci preparati». «Elezioni! Elezioni!», urlano, insieme ai Fratelli d'Italia, i salvinisti scatenati. E i grillo-dem appena Conte attacca l'Uomo Nero scattano nella standing ovation. Se l'anti-berlusconismo fu collante efficace, l'unico del vecchio centrosinistra, stavolta l'anti-salvinismo ne diventa subito il sostituto. «Ma tu firmavi il decreto sicurezza con luiiii!!!», grida uno. E lui: «Voi non mi avete aiutato quando governavamo insieme». «Bibbiano! Bibbiano!», è il coro che parte.
E pensare che il Bisconte, mostrando di aver letto l'«Elogio della mitezza» di Bobbio, si era presentato come il pacificatore dell'abbassate i toni, pacatezza mi raccomando e via così, ma poi proprio lui rovescia lo spartito. E sale in vetta al muro contro muro. Mostrando che il flauto non gli serve più e sceglie la tromba: «Volevate le elezioni. Irresponsabili!». «Sììì!», urla una parte dell'emiciclo. «Sciacquati la bocca quando parli di noi!», s'infuria il lumbard Zoffili.
Fuori, la prima piazza dell'opposizione fa fuoco e fiamme e dentro il Palazzo c'è Conte 2 che tra uno scontro e l'altro con i gli avversari, cementa il fronte degli amici. E gli serve Hannah Arendt la quale «diceva che in politica esistono giudizi e pregiudizi. E il premier loda grillini e dem che «hanno saputo superare i reciprochi pregiudizi». Ammesso che non rispuntino in corso d'opera. Nel connubio tra le due sinistre, il celebrante e simbolo - il CamaleConte che ha tolto il verde e lo ha ricoperto di rosè e dice a se stesso e agli altri tra gli schiamazzi d'aula: «Superiamo il passato» - chiede alle parti di spogliarsi di certi fardelli. Dai 5 stelle pretende addirittura la rinuncia a ciò che li ha resi pop ma non ha certo contribuito a fare migliore l'Italia: «Serve un uso responsabile e non forsennato dei social». Servirebbe anche un uso non eccitato anche delle istituzioni, e invece ieri - e oggi in Senato dove si terrà lo scontro quasi fisico tra l'avvocato ex populista e il Capitano inferocito - hanno stravinto gli haters. E chissà che cosa ne pensa il pubblico da casa.