ROMA La discontinuità sono io, sembra dire Giuseppe Conte. Anche se aggiunge: vengono prima i programmi riformatori, poi le persone. La verità è che per la futura alleanza rosso-gialla già si sta cercando un premier terzo, anche se con una mossa tattica il Partito democratico proporrà come premier Roberto Fico. Il presidente della Camera, dalla spiaggia di San Felice Circeo, si è limitato a commentare: «Io premier? Amo il mio ruolo, mi piacerebbe mantenerlo».
La trattativa si è arenata su Conte ma non finirà con Conte. Siamo ancora in una fase di stallo, mentre il tempo passa rapidamente e il capo dello Stato aspetta risposte chiare. Il muro contro muro è quello sintetizzato da Di Maio che pone come condizione irrinunciabile la conferma di Conte a Palazzo Chigi, il premier dimissionario che frena e dice che i nomi sono meno importanti dei programmi, Zingaretti che prepara le contromosse con la carta Fico indigesta al capo politico M5S.
SUSSULTI Cosa è successo? Venerdì sera Di Maio alla cena con Nicola Zingaretti dice: l'accordo si fa solo se il presidente del Consiglio è Conte. Il premier uscente, ieri, afferma il contrario nel passaggio sui programmi che valgono più dei nomi. Il segretario del Pd, sempre ieri, ripete che serve discontinuità: no a Conte. Con una postilla: no a un governo guidato da Di Maio, se qualcuno ci sta pensando. In questa fase di impasse, c'era molta attesa per sentire cosa il presidente del Consiglio avrebbe detto da Biarritz, al vertice dei G7. Chi si aspettava un passo indietro è rimasto deluso, sarebbe tra l'altro apparso sorprendente visto che sul nome di Conte c'era stata la benedizione di Grillo venerdì pomeriggio. Il premier dimissionario semmai ha sottolineato di avere tagliato per sempre i suoi rapporti con la Lega. Come dire, la discontinuità c'est moi: «Per me la stagione politica con la Lega è chiusa e non si può riaprire più per nessuna ragione». Dentro i 5 Stelle c'è chi vede in questa presa di posizione di Conte (che spesso si sente via WhatsApp con Grillo) lo sviluppo naturale del discorso denso di accuse a Salvini in Senato. E ha un doppio significato: offre al Pd garanzie sul fatto che il secondo forno è chiuso, mette in difficoltà Di Maio che invece la porta al vicepremier leghista non l'ha mai chiusa. Ancora Conte: «Alcuni temi li ho espressi al Senato. L'Italia ha bisogno di un grande progetto riformatore».
CHIAREZZA Zingaretti ripete e fa ripetere ciò che sta dicendo da giorni: l'accordo con il Movimento 5 Stelle è molto difficile e certo non può partire da un governo in cui c'è lo stesso presidente del Consiglio che ha guidato un esecutivo con Salvini ministro dell'Interno e la Lega in maggioranza.
In fondo, è l'altra faccia delle medaglia dell'irritazione lasciata trapelare ieri dal partito di Salvini con questa frase: «Lo stesso Conte che per un anno ci ha aiutato a fermare i barconi e a chiudere i porti, in una settimana passa dalla Lega al Pd? Che tristezza». Andrea Marcucci, presidente dei senatori dem, preferisce sottolineare la parte del discorso di Conte che segna la chiusura, da parte del Movimento 5 Stelle, del forno leghista: «Bene che l'esperienza con la Lega sia finita e non ripetibile. Accolgo il suo invito a lavorare ad un progetto riformatore e a non fermarsi sui nomi». Qualcuno in ordine sparso si schiera a favore del Conte bis, come Tommaso Cerno, ma il Pd gioca la carte Fico per sparigliare le carte e arrivare un nome terzo. Ieri pomeriggio i big della maggioranza interna del Pd si sono visti in una casa, in centro, per decidere le prossime mosse. C'erano Paolo Gentiloni, Dario Franceschini, Marco Minniti, Paola De Micheli, Andrea Orlando, Maurizio Martina, Piero Fassino e Gianni Cuperlo. Per oggi il Partito democratico ha confermato che saranno riuniti sei tavoli tematici sulle da illustrare al confronto con i 5 Stelle.
Martedì ricominceranno le consultazioni, ma soltanto se finalmente ci sarà chiarezza in questa confusa trattativa. Non resta molto tempo. E Matteo Renzi avverte: «Salvini è quasi ko. Mi auguro che adesso prevalga la responsabilità. E che si pensi all'Italia, non all'interesse dei singoli».
Il premier non chiude ma è irritato con Di Maio E resta l'ipotesi europea
ROMA Non voleva, ma alla fine è dovuto intervenire per spingere in maniera molto chiara il Movimento verso l'alleanza con il Pd, tagliando ogni residuo ponte con la Lega di Matteo Salvini. Vale doppio il fatto che abbia chiuso al Carroccio parlando dal G7 di Biarritz, vista l'allergia a sovranisti ed euroscettici di buona parte dei leader presenti.
L'INCASSOSe l'intenzione era quella di guadagnare altri punti di gradimento, Giuseppe Conte sembra esserci riuscito visto il plauso che incassa nel M5s e nel Pd mentre l'hashtag sul Contebis va al top su twitter. Ma la disponibilità dell'avvocato del popolo ad un Conte2 - come preferiscono chiamarlo i suoi - si era compresa già dal discorso tenuto in Senato il 20 agosto. Ciò che a Conte è piaciuto poco è il modo con il quale Luigi Di Maio ha usato il suo nome per avviare la trattativa con il Pd. Della resistenza del Pd di Zingaretti sul suo nome, Conte era ben consapevole, ma porre come condizione iniziale la sua permanenza a palazzo Chigi senza aver affrontato il nodo della squadra dei ministri e del programma, gli è sembrata da subito una mossa azzardata, se non il tentativo di liberarsi di un possibile incomodo. D'altra parte nei complessi giochi in corso nel Movimento, il presidente del Consiglio non è mai voluto entrare. Essere però esibito come una bandiera o tratteggiato come uno smanioso che trama per restare a palazzo Chigi, non si addice «all'uomo di Stato» che viene accolto al G7 con attestati di stima quasi imbarazzanti. «Uno dei migliori esempi di lealtà in Europa», lo definisce il presidente polacco del Consiglio europeo Donald Tusk. A Biarritz Conte, che non si muove certo da leader dimissionario, viene percepito come l'anti-Salvini. Ovvero come colui che ha inferto un devastante uppercut ai sovranisti e che ora attende che altri diano il colpo di grazia mettendo insieme un governo. Più che un problema, per un eventuale ritorno di fiamma con la Lega, Conte si è a poco a poco accorto di essere un'inaspettata risorsa per i pentastellati. Forse l'unico in grado di portare senza scossoni il M5S all'alleanza con i dem senza il rischio di una bocciatura da parte della piattaforma Rousseau.
Il summit di Biarritz permette a Conte di incontrare più volte il presidente francese Macron e la cancelliera Merkel. Due leader notoriamente allergici al sovranismo leghista e che sembrano aver trovato - nel caos del sistema politico italiano - in Conte un leader rassicurante e in grado di ribadire la collocazione internazionale dell'Italia scossa in questi ultimi mesi di governo. Atlantismo ed europeismo. Due punti fondamentali che Conte ha ribadito nel discorso al Senato e che potrebbe tornare utile ricordare nel momento della scelta della squadra di governo. E ha incassato considerazione anche dal presidente Usa Trump col quale si è intrattenuto una decina di minuti. Secondo alcune fonti di palazzo Chigi Trump gli avrebbe assicurato che per lui i rapporti personali vanno al di là degli incarichi. Conte c'è ed è disponibile, se occorre al Paese più che M5S. La stanchezza delle ultime settimane, la tentazione di tornare al proprio lavoro e agli affetti, resta ed è stata più volte confessata da Conte. E' per questo che ieri, più che ribadire - senza mai ammetterlo esplicitamente - la sua disponibilità, ha voluto chiudere di nuovo la porta in faccia alla Lega anche a costo di scavalcare Di Maio che continua a non dire parole definitive su un possibile ritorno di fiamma con il Carroccio. Per Conte quella esperienza, che non intende rinnegare, è alle spalle e di fatto invita Di Maio e Zingaretti a trovare un'intesa per una fase riformista e «avendo maturato un'esperienza diretta di governo - spiega dal G7 - credo di poter indicare quali siano i temi, e quali siano le soluzioni di cui il Paese ha bisogno». Un contributo che Conte potrebbe continuare a dare da palazzo Chigi o, se la trattativa con il Pd non lo dovesse permettere, magari in un altro ruolo. Al ministero degli Esteri, come ieri suggeriva più di un esponente grillino, o come commissario europeo qualora la delega rientri nelle competenze del professore di Firenze.