ROMA «Bisogna fare squadra, chi non la pensa così è fuori dal governo». È dall'Umbria che si appresta a tornare al voto che il premier Giuseppe Conte, dopo giorni di polemiche e attacchi alla manovra, sceglie di alzare la voce. Lo fa deragliando dalla sua usuale narrazione, ponendo un nettissimo aut-aut non solo a Matteo Renzi ma anche chi, proprio sulla manovra, ha messo in campo le barricate: Luigi Di Maio. Un ultimatum che sembra in asse con il Pd: «Se la fiducia è venuta meno lo si dica».
Ma bordate arrivano anche dalla Leopolda. «Su Quota 100 faremo un emendamento e vedremo chi vince in Parlamento», annuncia Matteo Renzi al Tg2, pur precisando che sa già che la sua sarà una battaglia di bandiera. Ci pensa Boschi a cannoneggiare sugli ex compagni: «Il Pd sta diventando il partito delle tasse - dice -, noi invece le abbiamo sempre abbassate e vogliamo evitare che aumentino». «Una scivolata infelice», commenta il ministro dem Francesco Boccia. Più duro l'ex renziano Emanuele Fiano. «Se dovete distruggere per esistere, il viaggio sul Titanic è appena cominciato», dice rivolto agli scissionisti.
Troppo, per Conte, che decide di porre il suo stop: il continuo cannoneggiamento è deleterio per questo esecutivo, è il senso del messaggio del capo del governo. Un messaggio duro, almeno nella forma, tanto che, poco dopo, Palazzo Chigi smussa le parole del premier: «Conte non ha fatto riferimento a singoli ministri o forze politiche, ha fatto un discorso più generale». Prevedibile, anche se mancano conferme ufficiali, che le parole del premier abbiano innescato una girandola di telefonate, almeno dei rispettivi staff. Anche perché è facile che la stoccata di Conte abbia fatto andare su tutte le furie il leader M5S. Anche se dal blog pentastellato si cerca di abbassare i toni, caldeggiando unità e assicurando fiducia nel premier. Nel merito, tuttavia, Conte tira dritto: avverte che la manovra è stata approvata e quindi non tornerà in Consiglio dei ministri, ma domani concede quel vertice di maggioranza che Di Maio e Renzi avevano sollecitato. I Cinquestelle amareggiati ricordano ad una ad una le misure che si accingono a rilanciare: dal carcere agli evasori fino alle partite Iva.
«Siamo soddisfatti che finalmente sia stato convocato un vertice come avevamo chiesto», la replica a stretto giro di Di Maio tramite blog, salvo chiosare: «Come M5S non possiamo non negare che certi toni usati in questi giorni, a seguito delle nostre legittime richieste, ci addolorano». Se i contatti tra Conte e Di Maio per ora erano assenti, in queste ore, l'asse creatosi sembra più quello tra il Pd e il premier. Non a caso, prima di Conte, è il vice segretario dem Andrea Orlando a porre il suo aut aut: Iv e M5S «se non ci sono più le ragioni per una scommessa, ce lo dicano», spiega l'ex ministro che aleggia anche l'ipotesi di elezioni. E il concetto sembra trovare in perfetta linea Conte. Questi attacchi, da qualsiasi parte provengano, non fanno bene al Paese, è il ragionamento che si fa a Palazzo Chigi, dove c'è una consapevolezza: se cade questo governo si torna al voto. Ed è una consapevolezza che si aggancia a quello che, nel 2018, fece intendere il presidente Sergio Mattarella: a seguito del voto del 4 marzo c'erano due maggioranze percorribili; una volta percorse non restano che le urne.
LA QUADRA Anche a Salvini Conte replica per le rime. Abbiamo le mani sporche di sangue? «Queste sono stupidaggini, io ho difeso il nome dell'Italia in Ue rispetto ad una propaganda che ci stava facendo male», sottolinea Conte difendendo, nel corso del suo mini-tour a Eurochocolate, la manovra. «Che io sia contro il popolo delle partite Iva è una fesseria, io ho firmato il provvedimento che prevede l'aliquota del 15% fino a 65mila e, con le risorse del piano anti-evasione puntiamo a ridurre fino a 100mila», rimarca il capo del governo in una giornata in cui Confindustria chiede avverte: «se la manovra peggiora meglio andare a casa». Ma la manovra non cambia, assicura, in perfetto asse con Conte, il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, ricordando che con questo provvedimento «sono state evitate tasse per oltre 26 miliardi a carico dei cittadini».
Asse premier-Zingaretti: unica alternativa il voto
PERUGIA L'affondo arriva dalla festa del cioccolato, ma è poco dolce e molto salato per il M5S. Al termine del suo tour tra stand, selfie, autografi sulla Costituzione per gli studenti («la nostra bibbia laica»), foto situazioniste (una con Pulcinella), il premier si toglie il grembiule da pasticcere e tira fuori quello da fabbro. «Non mi faccio cannoneggiare così: ora basta», è il ragionamento affidato ai consiglieri di Palazzo Chigi. Con una postilla che viene quasi naturale: se continuano gli ultimatum c'è solo il voto.
Attenzione. Il premier ce l'ha con Luigi Di Maio, ma anche con Matteo Renzi. La prova di forza però è già in atto. Esposta come la sindone. E' dunque siamo già al cadavere dell'esecutivo? «Chi non fa squadra è fuori».Ma dietro a questa uscita, violenta e prematura per un governo giovanissimo, c'è una consapevolezza che rimbalza dalle parti di Conte e arriva fino al Nazareno: «Nel M5S i parlamentari non vogliono andare al voto e Italia Viva non può permetterselo». E tra l'altro salterebbe il taglio dei parlamentari. Dunque Conte questa volta, forte di un rapporto che dal Pd definiscono solidissimo con Nicola Zingaretti e Dario Franceschini, lancia il guanto di sfida ai guastatori, a coloro che fanno il gioco della bandierina. Luigi e Matteo.
Quando escono le dichiarazioni del premier sulle agenzie di stampa, Di Maio si trova a Matera in compagnia della fidanzata Virginia Saba e dello staff. «Appena le abbiamo lette: siamo saltati dalla sedia», ammettono dagli ambienti del titolare della Farnesina. Inizia dunque una trattativa tra la comunicazione del premier e quella di Di Maio, vasi una volta molto comunicanti, ora molto meno.
La versione fatta filtrare, che si scioglie come la cioccolata fondente ad agosto, è che «il presidente ce l'aveva con Renzi, non con noi», dicono dalle parti del capo politico grillino. Ma non ci credono nemmeno loro. Sono ricostruzioni montate per placare la pancia del Movimento. Carla Ruocco, presidente della Commissione finanze, dice che «sulla lotta all'evasione Di Maio parla a titolo personale».
DISTINGUO Nelle chat i distinguo dei deputati e dei senatori pentastellati sono tantissimi. C'è chi contesta il merito dell'assalto partito l'altro giorno sul blog e chi invece raddoppia con il metodo usato: «Non possiamo minacciare il nostro presidente. Siamo diventati come Salvini?». Il fatto è che Conte è consapevole della debolezza tra i gruppi di Di Maio. Non vuole farsi un partito, ma sa benissimo che se lo scontro dovesse arrivare all'esplosione molti deputati e senatori grillini lascerebbero Luigi al suo destino. Idem pezzi di moderati che non vogliono e non possono permettersi la crisi e dunque il voto. Non è fantascienza ma dal partito del non voto potrebbe nascere il gruppo «dei responsabili per Conte». Scenario lontano, ma che nessuno si sente di escludere a questo punto.
«Io sono stato nominato con un mandato chiaro: il programma è noto o si fa così o niente, se vi sta bene è quello», dice il premier a chi lo ferma in Corso Vannucci. Ci sono le signore che lo bloccano per Quota 100. «Non si tocca», risponde Giuseppi. Oppure le partite Iva: «Ho firmato io la flat tax fino ai 65mila euro con il precedente governo e dopo il provvedimento ho chiuso la mia partita Iva, so di quello che si parla». I malumori sono tanti nel M5S. A Perugia spunta Fabio Massimo Castaldo, vicepresidente del parlamento europeo, che ammette: «L'uscita sul blog contro Conte? Non l'ho capita. Poi in questo momento».
A metà di questo tour in centro con il premier che offre cioccolatini a chi lo ferma compare anche Vincenzo Bianconi, il civico che qui unisce Pd e M5S contro l'avanzata della Lega. «Vedo un buon clima intorno a te», gli dice il presidente, che domani tornerà in Umbria, a Salomeo, nel borgo di Bruno Cucinelli, re del cachemire. Per la prima volta Palazzo Chigi ci mette la faccia su queste elezioni, ma anche le mani in avanti. «Comunque vada non ci saranno riflessi per l'esecutivo». E dal Pd intanto insinuano: «Perché Renzi non si fa vedere a Perugia? Tifa per il ko». Prima di sganciare le due bordate contro Di Maio e Italia Viva, il premier era entrato in un negozio di cioccolata dove gli avevano fatto trovare tavolette personalizzate con i nomi dei ministri. «Le porterò a Roma al prossimo Cdm. C'è da capire a chi darò quella fondente e quella al latte». E il governo si scioglie? «No».