ROMA Non è più l'articolo 33 del decreto Milleproroghe, è diventato il 38 ed è anche molto più corto: 20 righe anziché le 34 originarie. Ma al di là del posizionamento all'interno del provvedimento e della lunghezza, la contestatissima norma in materia di concessioni autostradali nella sostanza non è cambiata. Tant'è che ieri Italia Viva ha ribadito il suo no anche alla nuova versione. Che quindi potrebbe essere ulteriormente modificata prima del Consiglio dei Ministri, convocato nel tardo pomeriggio di oggi. Se le posizioni non troveranno un punto di mediazione la battaglia si sposterà in Parlamento. Intanto il mondo delle concessioni autostradali è in gran subbuglio. Ieri, per valutare i nuovi scenari, si è tenuto un lungo consiglio di amministrazione di Autostrade per l'Italia. Al termine un comunicato con il quale il gruppo si riserva di «mettere in atto ogni azione a tutela della società e di tutti gli stakeholders» se la norma dovesse essere confermata. E annuncia di aver inviato al governo «una comunicazione» nella quale evidenzia che l'eventuale adozione di tale norma sarebbe causa di risoluzione della convenzione unica.
Sulla necessità di una norma che consenta allo Stato di intervenire con le revoche nel caso di interesse nazionale, cambiando anche i contratti in corso e senza per questo pagare penali e indennizzi milionari, restano convinti sia i dem che i cinquestelle. Anche se le finalità sembrano molto diverse. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti, ieri ha negato che, dietro il paravento di una norma erga omnes, in realtà si voglia colpire Aspi. «Non credo che sia il primo passo verso la revoca» delle concessioni autostradali «ma rende più forte la dimensione pubblica nei rapporti con i concessionari. Se lo Stato trova delle forme per essere più autorevole nelle trattative io lo vedo come un fatto positivo» ha detto.
IL PARAVENTO l capo politico dei Cinquestelle, Luigi Di Maio, però dice esattamente il contrario: «Che sia chiaro: bisogna avviare un percorso che ci porti alla revoca delle concessioni autostradali. Non dimentichiamoci che questa gente si è arricchita con i soldi dei cittadini, dimenticandosi però di fare manutenzione a ponti e strade. Per noi questa è una battaglia di civiltà, perché serve giustizia per le vittime del ponte Morandi. E chi si oppone a tutto questo di sicuro non fa il bene del Paese».
L'ULTIMA BOZZANella versione che circolava ieri (e che potrebbe essere ulteriormente modificata) resta l'automatismo del passaggio della gestione provvisoria all'Anas spa in caso di revoca, decadenza o risoluzione della concessione in attesa di una nuova gara e resta l'azzeramento quasi totale degli indennizzi. Al concessionario, sia se la revoca è decisa per inadempimento contrattuale e sia quando viene decisa per «motivi di pubblico interesse», sarà riconosciuto solo «il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia superato ancora la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario» (art.176, comma 4, lettera a del decreto legislativo 18 aprile 2016 n.50). Anche questa versione, come detto, non convince Italia Viva che contestano sia il metodo che il merito e si riservano di presentare emendamenti durante il passaggio parlamentare. «Italia Viva trova incredibile il modo con cui il tema delle possibili revoche delle concessioni è stato surrettiziamente introdotto nella bozza del decreto Milleproroghe» hanno dichiarato ieri i deputati di Italia Viva in Commissione Trasporti, Raffaella Paita e Luciano Nobili.
Per Fabrizio Palenzona, presidente Aiscat (Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori), «il governo non è capace di trovare una soluzione e cerca una scorciatoia ma così distrugge un intero settore mi sembra veramente un salto nel buio».
Le principali critiche al provvedimento riguardano il passaggio automatico ad Anas, società per azioni del gruppo Fs, in «palese violazione del principio di libera concorrenza», il taglio degli indennizzi e il cambiamento delle regole in corso d'opera. Ci si pone poi il problema dei lavoratori delle concessionarie sottoposte a eventuale revoca (Aspi ad esempio ha circa settemila dipendenti): che fine faranno, visto che la norma non prevede clausole sociali o di salvaguardia?
Secondo Aspi la norma che si vorrebbe introdurre «è incostituzionale e contraria alle norme europee», oltre ad essere «irragionevole, non essendo assistita da alcuna congrua motivazione, con presunta valenza retroattiva».