ROMA Braccio di ferro tra Pd e M5s, con Italia Viva più vicina ai pentastellati che agli ex compagni di partito. Questa la fotografia politica della giornata di ieri sul fronte della manovra.
Ad alimentare le tensioni sono il taglio del cuneo fiscale ai lavoratori e l'ipotesi di ritoccare quota 100, sullo sfondo restano tanti nodi, dal carcere agli evasori fino alle «micro tasse» denunciate da Matteo Renzi. La cronaca della giornata ha visto il ministro del Tesoro Roberto Gualtieri aumentare fino a 3 miliardi i tagli delle tasse sul lavoro. Ma il risultato è giudicato modesto da Luigi Di Maio (Renzi concorda). Il M5s chiede di cambiare la misura: tagliare le tasse anche alle imprese per inserire il salario minimo in manovra. Dal Pd Dario Franceschini risponde di no. E così il Consiglio dei ministri slitta di 24 ore, viene convocato e poi sconvocato un vertice.
Eppure quando alle due di domenica notte ministri e sottosegretari avevano lasciato Palazzo Chigi sembrava quasi fatta: tre miliardi di taglio del cuneo fiscale, lo stop ai superticket da luglio del 2020 e un fondo per la famiglia da due miliardi (500 milioni di nuove risorse) sembrano i pezzi forti di una manovra che impiega la gran parte dei fondi per bloccare l'aumento dell'Iva.
I renziani raccontano che l'ipotesi di rimodulazione di alcune aliquote sarebbe stata fino a domenica pomeriggio sul tavolo del ministero dell'Economia. Ma il premier, da Avellino, spiega: «Abbiamo trovato le risorse perché l'Iva non sia rimodulata e che ci permetteranno di dare un segno della direzione di marcia». Tra le risorse resta però l'ipotesi di un mini slittamento delle finestre per andare in pensione con quota 100: Renzi dice che per lui la misura andrebbe abolita, il Pd è per un rinvio delle uscite, il M5s alza un muro. Tra le coperture, sostengono da Italia viva, in mattinata spunta anche la cancellazione degli 80 euro, con la trasformazione in una detrazione: Luigi Marattin dice no a nome dell'ex premier.
Ancora: i renziani accusano gli alleati di volere inserire la sugar tax e una tassa sui diesel, i 5S denunciano un blitz per tassare le Sim card dei telefonini. Tutte ipotesi che ad ora sembrano tramontate. Ma passano le ore, cresce il caos.
MURO CONTRO MUROL'insofferenza pentastellata inizia a filtrare mentre Gualtieri riceve i segretari di Cgil, Cisl e Uil al ministero dell'Economia: illustra il piano da 6 miliardi di taglio alle tasse sul lavoro dal 2021 (3 miliardi nel 2020) e apre a uno sblocco, seppur minimo, dell'indicizzazione delle pensioni (rivalutazione piena da 1500 a 2000 euro). Ma al M5s non va giù che in legge di bilancio manchi il salario minimo da 9 euro.
«Vogliono fare una marchetta alla Cgil - dice una fonte pentastellata - e dare 40 euro in più per poi tassare le imprese di tre miliardi. Ma devono ricordare che i numeri in Parlamento sono i nostri». Da Italia Viva si ascolta lo stesso refrain: «C'è un'impostazione comunista per cui fai tutte micro misure ma avremmo dovuto mettere 3 miliardi tutti sulla famiglia».
Franceschini riunisce i ministri Dem: «Per noi è irrinunciabile l'aumento degli stipendi grazie alla riduzione delle tasse».
Lo scontro tra M5s e Pd è anche sul carcere agli evasori. Di Maio lo dice da Lussemburgo: vuole che nel decreto fiscale ci sia un inasprimento delle pene per gli evasori e anche la confisca dei beni sul modello di quelli mafiosi. Ma i dubbi sono numerosi negli altri partiti di maggioranza: per ora il M5S respinge la mediazione di Zingaretti che mirava ad affrontare la questione evasori in un ddl collegato. Si combatte norma su norma.
È tarda sera quando i rappresentanti dei partiti arrivano a Palazzo Chigi per un vertice che era stato ipotizzato a ridosso del Consiglio dei ministri, quando apprendono della sconvocazione. Un vertice potrebbe esserci in mattinata o più probabilmente nella sera di martedì, dopo il ritorno di Conte dall'Albania.
E non si esclude che alla fine il governo approvi solo il documento programmatico di bilancio, che va inviato a Bruxelles entro la mezzanotte del 15 ottobre. L'unica certezza è che la «compattezza» della maggioranza di cui Conte aveva parlato da Avellino non c'è.
Pensioni, mini rivalutazione Slittano i versamenti Irpef
ROMA Per ora poco più di un segnale. Una mini rivalutazione delle pensioni. L'adeguamento all'inflazione salirà dal 97% fino al 100% per le pensioni lorde tra 1.500 e 2.000 euro mensili. Il beneficio sarà di pochi euro, ma il governo ha comunque voluto provare a tendere la mano ai sindacati nel tentativo di evitare di dover aprire un fronte esterno dopo quelli interni alla stessa maggioranza di governo. Ma il grosso degli assegni, quelli che vanno oltre i 2 mila euro lordi mensili, per adesso rimarrà con le rivalutazioni calmierate decise dal precedente esecutivo giallo-verde anche per finanziarie - parzialmente - la maggiore spesa legata all'introduzione di Quota 100. Il taglio della rivalutazione è crescente in base al reddito e arriva al 60 per cento per gli assegni alti, superiori ai 4.500 euro lordi mensili
Intanto però un aiuto sostanziale alla quadratura dei conti arriva da un'operazione contabile decisa dal ministero dell'Economia. I 7 miliardi di lotta all'evasione erano una cifra irraggiungibile. Così 3 miliardi arriveranno dallo slittamento di qualche mese del pagamento dell'Irpef delle Partite Iva. Quei soldi peseranno sul 2020 (quando servono), invece che sul 2019 (ormai quasi chiuso. Dunque, a partire dal buon andamento delle entrate verificato alla scadenza del 30 settembre (quando erano chiamate a versare le partite Iva sottoposte agli indici Isa, lavoratori autonomi mini-imprese e professionisti) il Mef proietta per l'intero anno 1,46 miliardi in più rispetto alle stime. Ma nel decreto fiscale la rata in pagamento al 16 novembre verrà fatta slittare al 16 marzo: in questo modo ben 3 miliardi di gettito vengono spostati sul bilancio del prossimo anno. L'esecutivo conta evidentemente sul fatto che il 2019 chiuda comunque ad un livello di deficit soddisfacente e concentra risorse finanziarie sulla delicata manovra in gestazione. Mentre i contribuenti interessati potranno usufruire di un differimento dei termini di ben quattro mesi, senza penalizzazioni.
Un altro segnale il governo ha provato a darlo sugli statali. In bilancio andrà qualche centinaio di milioni in più per il rinnovo del contratto di quanto ipotizzato alla vigilia del vertice. Nel pomeriggio l'agenzia Ansa aveva parlato di uno stanziamento aggiuntivo di 900 milioni di euro. Una somma che avrebbe portato, a regime, la dote per il rinnovo del contratto a 2,7 miliardi di euro. In realtà, non appena terminato l'incontro con il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri, il leader della Uil Carmelo Barbagallo, ha spiegato che nel 2021 le risorse che il governo metterà a disposizione per l'aumento in busta paga per i dipendenti pubblici sarà di 3,175 miliardi di euro. Significa che invece del miliardo di euro inizialmente previsto, lo stanziamento finale dovrebbe essere di 1,4 miliardi. In questo modo, ha spiegato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, si dovrebbe andare oltre gli 85 euro dell'aumento dell'ultimo contratto firmato quando al governo c'era Matteo Renzi. In realtà la partita appare più complessa. I problemi sono sostanzialmente due. Il primo è la ripartizione delle risorse tra il 2020 e il 2021. Il secondo è il destino dell'elemento perequativo, i 20 euro extra garantiti ai dipendenti pubblici con i redditi più bassi.
Complice la difficoltà di reperire risorse finanziarie sufficienti a causa della necessità di dover sterilizzare gli aumenti dell'Iva, per il 2020 lo stanziamento individuato dal governo per gli statali sarebbe soltanto di 224 milioni.
LA PARTE RESTANTE La parte restante, ossia 1,2 miliardi, verrebbe stanziata per il 2021. La domanda è, dunque, se i 224 milioni basteranno a convincere i sindacati a sedersi al tavolo della trattativa e ad aprire il prossimo anno i negoziati con l'Aran, l'Agenzia che tratta per il rinnovo del contratto per il governo. Il tema sarà al centro del vertice tra il ministro della Funzione Pubblica, Fabiana Dadone, e gli stessi sindacati convocato per questa mattina. Probabile che i sindacati chiedano una cifra maggiore sul 2020 per poter aprire i negoziati, una cifra che sia quantomeno in grado di garantire il pagamento degli arretrati di quest'anno e del prossimo. I 3,17 miliardi stanziati, a regime, dovrebbero riuscire a pareggiare l'aumento del 3,48% della precedente tornata contrattuale e, dunque, gli 85 euro mensili lordi in media garantiti ai dipendenti pubblici nel contratto 2016-2018.