ROMA Sarà il Parlamento il luogo in cui si deciderà il destino delle concessioni autostradali e in particolare di Autostrade per l'Italia, la società dei Benetton che ha in gestione gran parte della rete autostradale e che gestiva anche il ponte Morandi di Genova. La norma che rende più semplice e meno costosa la revoca delle concessioni e che il governo ha inserito nel Milleproroghe per adesso non cambia: oggi il decreto dovrebbe arrivare al Colle per poi essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre. Ma non è detto che non ci possano essere delle modifiche durante il passaggio parlamentare per la conversione. Anche se non aiuta la lettera inviata da Aspi a Palazzo Chigi, Mit e Mef, nella quale la società annuncia di essere pronta a mettere in campo tutte le azioni legali possibili per ottenere un mega risarcimento di oltre 23 miliardi di euro in caso di revoca della concessione. «È una minaccia inaccettabile» hanno risposto dal governo, ma c'è tempo per mettere in campo le diplomazie incrociate.
Per ora comunque il governo mantiene il punto. Come ha spiegato il premier Giuseppe Conte al Messaggero la norma introduce «un regime più uniforme e trasparente» con la semplificazione degli indennizzi e il passaggio ad Anas in caso di revoca o decadenza. Ma - ha aggiunto Conte - non c'è «nessun allarme per il settore delle concessioni: chi ha fatto investimenti, anche in caso di inadempimento, potrà recuperare le somme per i costi realmente sostenuti e non ammortizzati». Il punto sono i regimi di maggior favore, inseriti in alcune Convenzioni come quella di Atlantia. Su questo il premier è categorico: «Non si potranno più applicare, tuttavia, norme di favore come quelle invocate da Atlantia, che anche in caso di grave inadempimento pretenderebbe un indennizzo di decine di miliardi. Non lo permetteremo».
Detto ciò è probabile che in sede di discussione parlamentare qualcosa cambi. «Se ne riparlerà a gennaio» ha ammesso la ministra dei Trasporti, Paola De Micheli. Se non altro perché i voti di Italia Viva sono indispensabili e per ora i renziani (che in Consiglio dei ministri hanno votato contro la norma) non cedono, continuando a criticare sia il metodo che il merito del provvedimento. «Fare leggi improvvisate che fanno fuggire gli investitori internazionali è un autogol: niente è più pericoloso del populismo normativo. Ne parleremo a gennaio» ha scritto il giorno della vigilia di Natale Matteo Renzi su twitter. L'ex premier ha comunque tenuto a precisare che «punire i responsabili del crollo del ponte è doveroso». La confusione è massima anche perché mentre il Pd nega che la norma sia contro Autostrade, i Cinquestelle, a cominciare dal capo politico Luigi Di Maio, non perdono occasione per dire il contrario.
IL DOSSIER In casa Aspi, come detto, non hanno intenzione di attendere l'evolversi degli eventi senza agire. Nella lettera inviata al governo si avverte che la società, se dovesse passare la norma contestata, passerà al contrattacco. E per preparasi alla battaglia legale si vanno a scovare nuovi documenti che avallerebbero la tesi della società sulla impossibilità di modificare a Convenzione vigente (la loro scade nel 2038) il quadro normativo e regolatorio. Lo sosteneva - fanno sapere - anche l'allora premier Romano Prodi in una lettera inviata alla Commissione Ue che aveva aperto nel 2006 una procedura di infrazione in seguito alle modifiche unilaterali ai contratti di concessione introdotte da Di Pietro.
Eppure che il settore abbia bisosogno di una regolata lo pensa anche la Corte dei Conti che lo evidenzia in un report di pochi giorni fa. Da anni - è l'atto di accusa dei magistrati contabili - si va avanti con proroghe su proroghe, con contratti troppo sbilanciati a favore dei concessionari, i quali nonostante la forte remunerazione del capitale hanno tagliato gli investimenti del 10%.