ROMA Il governo fa sul serio. O, perlomeno, vuole dare questa impressione. Dopo il vertice di sabato sera sul caso Autostrade, da cui è uscita l'indicazione univoca a procedere sulla strada della revoca della concessione, in settimana verrà convocato - probabilmente giovedì 1 ottobre - un Consiglio dei ministri ad hoc per definire nei dettagli la controffensiva. Non è ancora chiaro se all'ordine del giorno ci sarà solo la revoca, più volte minacciata ma poi mai attuata viste le pesanti incognite legali, ma è ormai evidente che l'esecutivo vuole in qualche modo chiudere la partita. E intende farlo rapidamente a due anni dalla tragedia del Morandi.
La lettera di Atlantia sul processo di vendita della partecipazione in Aspi, processo che non prevede nessuna corsia preferenziale per Cdp, viene considerata una sorta di atto di guerra, una posizione inaccettabile, in violazione dell'accordo raggiunto a metà luglio. Va detto che in questa vicenda un po' tutti i protagonisti hanno giocato sugli equivoci, è però certo che spesso la politica ha prevalso sulle norme e sugli obblighi contrattuali offrendo uno spaccato che di sicuro non dà dell'Italia l'immagine migliore. Per tornare alle ultime puntate, come è noto la holding che fa capo alla famiglia Benetton ha avviato un dual track (cessione dell'88% tour court o scissione) con una procedura di vendita aperta a tutti gli investitori, ma rifiuta di concedere la manleva sulle possibili cause legate al crollo del Ponte Morandi ai potenziali compratori. Non solo. Ha messo di fatto sullo stesso piano Cdp e gli altri potenziali acquirenti, acuendo, secondo Palazzo Chigi, le ragioni dello scontro. Anche perché il gruppo privato ha indicato nel 16 dicembre il termine ultimo per presentare le offerte, mettendo una scadenza precisa alla trattativa.
L'ARROCCO Se da Atlantia, spiegano fonti dell'esecutivo, non arriveranno risposte entro il 30 settembre sul percorso che prevede l'ingresso di Cdp, il governo è intenzionato quindi a passare dalle parole ai fatti, usando la clava della revoca. La linea dura è stata condivisa oltre che dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, anche dai ministri dell'Economia, Roberto Gualtieri, e dalla ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli. Proprio quest'ultima ha spinto per la soluzione più radicale, spiegando che ai Benetton è stato concesso fin troppo tempo e che ora «è arrivato il momento di dire basta». Del resto il Mit, per quanto di propria competenza, ha già messo due paletti importanti fissando prima l'indice massimo di aumento dei pedaggi per Autostrade (1,75% annuo) quindi dando il via libera al Piano economico finanziario (Pef) di Aspi. E spetta ora al Tesoro, sempre che vi siano ancora margini di trattativa, fare un passo ulteriore per tentare di sciogliere in qualche modo il nodo della manleva (sulla quale Cdp si è detta irremovibile, come del resto la stessa Atlantia che non ne vuole sentir parlare) e quello della proceduta di vendita che, per evitare gli strali europei e quelli degli investitori internazionali, deve essere comunque rispettosa dei principi di mercato e quindi trasparente.
Proprio al Tesoro si nutrono dubbi sulla revoca e sulle conseguenze legate all'avvio di una maxi-causa legale, già minacciata da Atlantia e caldeggiata dai grandi soci esteri che hanno già fatto la voce grossa a Bruxelles. A Palazzo Chigi sono invece convinti che l'accordo siglato a luglio metta al riparo da questi rischi e che alla fine i Benetton saranno costretti a fare marcia indietro, trovando un compromesso. La via del negoziato resta, al di là dei tatticismi, quella preferita. Sebbene Atlantia, visto il non modesto interesse manifestato nelle ultime ore da parte dei grandi investitori italiani (a cominciare da F2i e Gruppo Dogliani) e internazionali, oggi si senta più forte.