ROMA Autostrade, banche e taglio delle tasse. Tre mosse per uscire dall'angolo. E rilanciare così l'azione di governo, cercando di tenere lontani i problemi e i travagli del M5S. Luigi Di Maio pensa all'inizio del 2020. Non solo: nei suoi colloqui di queste ore con i ministri pentastellati annuncia che è pronto a chiedere al premier Conte di «spingere sul pedale del gas» per mandare più veloce l'esecutivo giallorosso.
LE MOSSE Dunque, se non siamo al «Fioramonti chi?» poco ci manca. Il leader pentastellato e ministro degli Esteri in queste ore si è dato l'ordine di non parlare dell'ex titolare dell'Istruzione e nemmeno degli effetti (dirompenti o comunque fastidiosi) della scissione dei grillini alla Camera. Il capo politico dei pentastellati vuole chiedere al premier Conte
un vertice subito dopo la Befana già il 7 gennaio - ma anche prima - con i capi delegazione della maggioranza. Obiettivo: «Un nuovo programma di governo», come ripete da giorni. Un'agenda 2020, con lo sguardo alla fine legislatura, che si muova su tre assi importanti. Il primo, quello più importante anche per disinnescare le mosse di Matteo Salvini, riguarda la pressione fiscale. Pensando «alle piccole e medie imprese». Un modo, ragiona Di Maio, per «dare una boccata d'ossigeno al mondo del commercio e soprattutto per far ripartire i consumi», come ha ripetuto nei giorni di Natale durante la visita nell'hinterland Napoletano.
La seconda mossa riguarda le banche: dopo il passo indietro del senatore Elio Lanutti, nei primi giorni di gennaio ci sarà un'altra votazione interna ai 5Stelle per designare il nome del presidente della commissione (che poi sarà messo al vaglio della maggioranza). In pole position rimane Carla Ruocco. Ma l'importante per Di Maio è dare un «segnale» ai risparmiatori. Anche perché la vicenda della Popolare di Bari rimane di stretta attualità, così come le presunte omissioni di Bankitalia. «Servirà fare luce». In maniera solida. E senza fare sconti, è il pensiero del capo politico pentastellato, «anche al mondo della politica». Infine c'è autostrade, un nodo non da poco che ha già mandato in fibrillazione l'esecutivo la vigilia di Natale. Il Milleproroghe sta per essere firmato dal Colle e andrà in Aula senza accordo. «Chi ha sbagliato deve pagare», va ripetendo a ogni diretta Facebook Di Maio, forte dell'inchiesta di Genova sul crollo del Ponte Morandi. «Nel 2020, una delle prime cose da inserire nella nuova agenda di governo dovrà essere la revoca delle concessioni ad Autostrade, con l'affidamento ad Anas e il conseguente abbassamento dei pedaggi autostradali. Le famiglie delle vittime del Ponte Morandi aspettano una risposta. E noi gliela daremo. Non solo a loro, ma a tutto il Paese». Il ministro degli Esteri smentisce «l'indennizzo di 23 miliardi» per la revoca della concessione ad Autostrade. «Lo ha stabilito una relazione della Corte dei Conti approvata già a novembre, ma resa nota solo nelle ultime ore», specifica.
Con queste tre battaglie da intavolare entro i primi dieci giorni di gennaio, il leader M5S punta a riprendere quota con battaglie identitarie. Parola d'ordine: coraggio. Ma senza fuga in avanti, puntando sul «gioco di squadra» con il resto della maggioranza, a partire dal Pd. D'altronde prima di Natale le parole di Beppe Grillo, sceso a Roma per placare gli animi dei parlamentari, sono state incontrovertibili: «Non dobbiamo avere paura di stringere la mano ai dem». Partendo da questo presupposto, al leader del Movimento non rimane che gettare la sua fiche sul governo.
La società pronta al muro contro muro ma sospende l'aumento dei pedaggi
ROMA Il muro contro muro sulle concessioni autostradali diventa sempre più alto e possente. Eppure non manca qualche segnale di buona volontà: come la decisione, presa ieri sera da Aspi al termine di un incontro al Ministero dei Trasporti, di prorogare anche nel 2020 la sospensione, già attuata nel 2019, dell'aumento dello 0,81% dei pedaggi autostradali su tutta la rete. Una decisione volontaria comunicano Autostrade e il Mit, senza la quale dal prossimo primo gennaio le tariffe sarebbero automaticamente scattate verso l'alto (l'incremento tariffario era già stato approvato). Uno stop agli aumenti che va ad aggiungersi a quello previsto dal Milleproroghe per le nuove tariffe del 2020.
Certo è solo un ramoscello d'ulivo. Soprattutto nei confronti dell'utenza che con il maltempo e i lavori in corso in molti tratti stradali sta subendo gravi disagi. Comunque un segnale. Per il resto, se le cose durante l'iter parlamentare del decreto legge, non dovessero cambiare, la società resta ferma nell'intenzione, già comunicata al governo con lettera del 22 dicembre scorso, di chiedere la risoluzione della Convenzione unica in base all'articolo 9 bis comma 4 della stessa convenzione e l'applicazione degli indennizzi dovuti. Ovvero, checché ne dica Di Maio, circa 23 miliardi di euro. Una cifra monstre che metterebbe lo Stato in ginocchio.
Gli avvocati esperti di diritto amministrativo Marco Annoni e Luisa Torchia che difendono gli interessi dell'azienda, non hanno dubbi che le clausole previste dalla Convenzione siano valide in tutte le loro parti. Anche quelle relative agli indennizzi in caso di revoca.
LE CLAUSO LELa Convenzione prevede che il calcolo sia fatto sul valore attualizzato dei flussi di cassa operativi e sul valore residuo a fine concessione (meno 10% se decadenza e salvo maggior danno). Secondo le stime di Mediobanca e di JpMorgan si arriva appunto a una cifra compresa tra 23,5 e 25 miliardi. Un sistema di calcolo che è comune ad altre società (Terna ed Enel distribuzione, ad esempio) ma anche - come dimostra uno studio della società di analisi Brattle - anche a ben 21 concessionarie in Francia, Spagna e Portogallo.
Tra l'altro, a differenza di quanto affermato da Di Maio, il voluminoso report sul settore della Corte dei Conti, in nessuna parte parla di nullità di quelle clausole, pur bacchettando l'amministrazione pubblica per averle accordate troppo generosamente. La norma inserita nel Milleproroghe che Aspi contesta, oltre al passaggio automatico e senza gara delle concessioni ad Anas in caso di revoca, calcola l'indennizzo parametrandolo al «valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia superato ancora la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario» (art.176, comma 4, lettera a del decreto legislativo 18 aprile 2016 n.50). In soldoni, nel caso di Aspi e stando all'ultimo bilancio, l'indennizzo scenderebbe da 23 miliardi a circa 8 miliardi.
Ci sarà da discutere anche su eventuali proposte di tagli alla remunerazione del capitale delle concessionarie. Sempre il report della Corte dei Conti sottolinea che è «notevole» (oltre il 7%) e punta il dito contro una ripartizione dei profitti dei pedaggi troppo sbilanciata a favore delle concessionarie rispetto allo Stato, tant'è che nel 2017 (ultimo anno di riferimento del report) su circa 6 miliardi di ricavi netti dai pedaggi complessivi, allo Stato sono andati solo 862 milioni. La Commissione europea la pensa però diversamente: ad aprile 2018 stabilì che il meccanismo di remunerazione e adeguamento tariffario previsto dalla concessione di Autostrade per lItalia era «ragionevole ed equilibrato».