Era valido il referendum che, l'11 novembre 2018, ha visto prevalere col 75% i «sì» alla messa a gara dei trasporti pubblici di Roma, oggi affidati dal Comune all'Atac in via diretta, coi risultati che sono sotto gli occhi di tutti (anche a ottobre la partecipata ha perso, solo tra bus e tram, oltre 1 milione di chilometri). Per la consultazione non c'era un quorum da raggiungere, come invece sosteneva la giunta di Virginia Raggi, contraria al referendum e soprattutto a un bando che assegni i servizi di bus e metro al miglior offerente. I giudici del Tribunale amministrativo del Lazio, invece, ieri hanno sfornato una sentenza che dà ragione ai Radicali, i promotori della consultazione. In sostanza, i giudici hanno affermato che l'esito referendario non era soggetto a sbarramenti. Quindi anche se la partecipazione si è fermata al 16,38% - che comunque sono quasi 400mila romani, 386.900 per la precisione - l'amministrazione doveva tenere conto del responso.
LE VIOLAZIONI Attenzione, il referendum cittadino ha valore consultivo, quindi non è vincolante per chi governa. Ma come rimarcano i magistrati della Seconda sezione del Tar, «a seguito della proclamazione del positivo esito referendario da parte della Sindaca, l'Assemblea capitolina avrebbe dovuto determinarsi, con assunzione delle relative responsabilità politiche, sull'esito delle consultazioni, motivando pubblicamente l'eventuale non accoglimento dell'indirizzo espresso dal referendum». Concetto chiaro: intanto la sindaca avrebbe dovuto ammettere pubblicamente la vittoria del sì, poi il Consiglio comunale avrebbe dovuto esprimersi con un atto pubblico, da approvare, sia per dare corso alla gara, sia per spiegare, nel caso opposto, il motivo per cui l'esito referendario sarebbe stato ignorato. Nessuna di queste cose è avvenuta.
LA REAZIONE DI M5S La maggioranza M5S, fino a ieri, si era trincerata dietro al flop del quorum, cioè il 33,3% degli aventi diritto, soglia fissata dalle vecchie regole sulle consultazioni comunali. Regole cambiate proprio dai 5 stelle a gennaio 2018, lo stesso giorno in cui è stato indetto il referendum su Atac. Con una postilla: le nuove norme sarebbero entrate in vigore dalla votazione successiva, quindi non per i trasporti. Tesi che il Tribunale amministrativo ha smontato. Le nuove regole valevano già. Per l'assessore alla Mobilità, Pietro Calabrese, non cambia nulla: «Siamo sempre stati contrari alla privatizzazione di Atac, continuiamo a esserlo anche dopo la decisione del Tar. Il referendum è solo consultivo». Ma servirà un voto dell'Assemblea capitolina per spiegare il no alla gara.