ROMA I due prestiti ponte per complessivi 900 milioni di euro fatti dal governo per tenere in piedi Alitalia nel 2017 sono un «aiuto illegale», e pertanto lo Stato dovrà recuperarli dalla compagnia di bandiera. La doccia fredda, anzi gelata, è piombata su Palazzo Chigi, sul ministero dello Sviluppo e su quello del Tesoro, nella giornata di ieri. In un momento, tra l'altro, delicatissimo nella trattativa tra Ita e i sindacati per il nuovo contratto di lavoro. Le conseguenze della decisione, al momento, sono ancora oggetto di approfondimento. Ma è evidente che la vecchia Alitalia non sarà in grado di restituire i 900 milioni avuti in prestito dallo Stato. L'ipotesi di dover portare i libri in tribunale è concreta. Lo spettro del fallimento aleggia già nelle frenetiche telefonate tra i protagonisti della vicenda. Più di un ministro è rimasto sorpreso. Non tanto dalla decisione, quanto piuttosto dalla tempistica. Fosse passata qualche altra settimana, con l'operazione Ita e le gare avviate, l'impatto sarebbe stato sicuramente diverso. Così è un vero e proprio sgambetto all'operazione del governo Draghi. E dunque all'Italia, che ha sempre cercato in tutti i modi di difendere la sua compagnia di bandiera dagli appetiti e dalle voglie di spingerla verso il fallimento degli altri vettori europei ansiosi di accaparrarsi il ricco mercato nazionale.
LE REAZIONIMa del resto, si sussurra nei ministeri, anche l'obiettivo del commissario europeo alla concorrenza, la tedesca Margareth Vestager, è stato sempre quello: portare Alitalia al fallimento. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione presa in contemporanea di autorizzare l'operazione Ita ma di richiedere intanto la restituzione dei 900 milioni dei prestiti ponte. È evidente che con il fallimento alle porte e con i rischi di revocatoria (che ci sono anche se il creditore è il Tesoro) ora anche l'operazione Ita dovrà essere rivalutata.
Dal titolare del dossier, il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti, arriva per adesso un irritato «no comment». A via Veneto, sede del ministero, si attendono le carte ufficiali. Che arriveranno oggi. Ma che, si sa già, saranno tranchant. «La Commissione europea - si legge nella nota di Bruxelles - ha concluso che i due prestiti di Stato per un ammontare complessivo di 900 milioni, erogati dall'Italia ad Alitalia nel 2017, sono un aiuto di Stato illegittimo. L'Italia dunque - aggiunge la Commissione - dovrà recuperare gli aiuti di Stato illegali più gli interessi dall'Alitalia». Gli uomini della Vestager spiegano perché, secondo loro, i due prestiti vanno restituiti. «Nell'indagine condotta dalla Commissione - scrivono - l'Italia non ha agito come un investitore privato, non ha considerato in anticipo la probabilità che i prestiti fossero poi restituiti». Secondo Bruxelles sarebbe bastato leggere i bilanci della disastrata compagnia di bandiera per rendersi conto facilmente che difficilmente sarebbe stata nelle condizioni di ridare indietro i soldi. In queste condizioni, insomma, nessuna banca o nessun altro investitore privato avrebbe mai prestato denaro ad Alitalia. Non solo. Secondo la Commissione quello di Alitalia non si può nemmeno configurare come un «salvataggio».
Questo perché, secondo le regole europee, la compagnia avrebbe dovuto restituire il prestito entro sei mesi e il governo avrebbe dovuto presentare un piano di ristrutturazione. Cosa che non ha fatto.
Vien però il sospetto che queste regole valgano solo per Alitalia, visto che agli altri vettori europei vien riservato un trattamento assai diverso. Soprattutto nell'epoca del Covid. Nella prima fase della pandemia, con il blocco totale degli spostamenti, le compagnie aeree hanno subito fortissime perdite. L'Europa ha persino sospeso le regole sugli aiuti di Stato.
LA DISPARITÀVettori come AirFrance e la tedesca Lufthansa hanno potuto ricevere aiuti miliardari dai rispettivi governi. Senza che nessuno a Bruxelles si indignasse per le limitazioni alla concorrenza nel mercato unico. Chi dunque, prima della pandemia stava bene, ha potuto ricevere aiuti nell'ambito del quadro temporaneo. Chi già vacillava, come Alitalia, ha invece subito la spinta definitiva verso il fallimento. Resta il fatto che per Bruxelles l'operazione per la nascita di Ita, è legittima. Dopo mesi e mesi di trattativa la Commissione ha riconosciuto che c'è «discontinuità» tra le due compagnie. Ma ora tutto il lavoro fatto rischia di restare solo una magra consolazione.
Hostess e piloti in subbuglio rottura sul nuovo contratto Altavilla però non arretra
ROMA Ita tira dritto e dichiara chiuso il negoziato con i sindacati senza accordo, confermando «l'intenzione di procedere all'assunzione delle 2.800 persone attraverso l'applicazione di un regolamento aziendale». Immediata la reazione dei lavoratori che in massa, dopo aver rallentato con un lungo corteo di auto la tratta Roma-Fiumicino, si sono radunati davanti alla sede della società. Bandiere, slogan, e anche qualche fumogeno per gridare tutto il loro dissenso poco prima che sulla vecchia Alitalia si abbattesse la nuova tegola da Bruxelles che chiede la restituzione dei 900 milioni di prestito ponte. Un aspetto che rende ancora più forti le ragioni della nuova Ita e della discontinuità da rispettare. Anche nei contratti.
Oggi Fiumicino sarà teatro di nuove assemblee e forse di nuove proteste. I sindacati sono convinti che lo strappo di ieri può essere in parte ricucito, o almeno ridotto. E chiedono una «immediata convocazione del governo». Si lavora sotto traccia per un nuovo incontro con l'azienda nei prossimi giorni.
LE POSIZIONI Nel verbale di incontro sottoscritto fra Ita e i sindacati confederali e le associazioni, si legge: «Le parti ribadiscono la volontà di proseguire il confronto fino al 20 settembre con l'auspicio comune di addivenire a soluzioni condivise», pur riconoscendo che «la società, a partire dalla sottoscrizione del presente verbale, potrà dare operativamente seguito, anche per quanto riguarda la definizione dei connessi regolamenti, alle iniziative necessarie per l'avvio delle attività». Ma in serata i confederali hanno ribadito la richiesta di «piena esigibilità dell'art 2112 cc (diritti connessi al trasferimento di azienda, ndr)», diffidando la società «dal dare atto ad azioni unilaterali sui temi in discussione». E sottolineando lo «sconcerto» per «la bizzarra pantografia inversa nell'interpretare quanto discusso in sede comunitaria quando si afferma che, l'organico di Ita sarà composto, all'esito di una valutazione di mercato, anche (ma non solo) da ex dipendenti dell'Amministrazione Straordinaria». Per i sindacati si tratta di «una trovata ed una forzatura senza morale sociale che non esiste in alcuna indicazione Comunitaria».
Di certo ieri aperture da parte dei vertici Ita non ce ne sono state. Anzi. Non è stato accettata nemmeno la richiesta di Filt Cgil, Fit Cisl, Uil Trasporti e Ugl Trasporto Aereo di posticipare l'incontro, fissato per le 15, di qualche ora. E così alle 17 il presidente Ita, Alfredo Altavilla, ha chiuso la trattativa confermando l'assunzione di 2.800 dipendenti a cui applicherà clausole di impiego individuali. Si procederà con il programma di selezioni ed assunzioni sulla base dei 30 mila che hanno presentato domanda.
DIALOGO FINO AL 20 Lo strappo del presidente ha beneficiato della copertura del ministro Mise Giancarlo Giorgetti: «Piena autonomia del management». Altavilla ha espresso «rincrescimento per l'impossibilità di arrivare a un accordo, motivata dal perdurare di pregiudiziali puramente formali che nulla hanno a che fare con il merito e la bontà del progetto relativo alla nascita di Ita e che rispecchiano consuetudini e linguaggi non più attuali». In mattinata i confederali avevano inviato ad Altavilla una controproposta chiedendo di rinviare l'incontro finale alle 18,30. La controproposta, in risposta alla lettera ricevuta tre giorni fa, sollecitava un cambiamento dell'impostazione del documento sulla procedura di passaggio del ramo aviation a Ita.