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Data: 21/12/2019
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO

«Alitalia, sei mesi per salvarla Ilva, zero esuberi a fine piano». Il ministro dello Sviluppo: «Ho firmato i 400 milioni del prestito. No allo spezzatino, sì alla holding. Ok a Fs»

«Con i nuovi impianti green produzione a 8 milioni. Scudo penale? Solo un pretesto, non era nell’accordo»


Si sentono prove di pastorali natalizie salendo il monumentale scalone realizzato dal grande Marcello Piacentini, l'architetto al quale nel 1928 venne affidata la realizzazione del ministero delle Corporazioni, oggi dello Sviluppo. L'accordo sull'Ilva è stato appena firmato e la musica che fuoriesce dalla chiesa al primo piano, sembra un accompagnamento un po' trionfalistico per un'intesa che ancora non produce frutti concreti. Il ministro Stefano Patuanelli, uomo forte di Luigi Di Maio, ci accoglie sulla porta del suo studio, chiede un caffè prima di salutare («sono state notti lunghe, ma alla fine un risultato l'abbiamo ottenuto»). E poco dopo: «E' un preaccordo non vincolante - chiarisce - ma contiene elementi importanti per il proseguimento della trattativa. Non è la vittoria, ma fissa dei paletti. Ovvero la revisione del piano industriale, che porta con sé anche quella del piano ambientale». E precisa: «La produzione finale è di 8 milioni di tonnellate di acciaio. Non legate però esclusivamente alla produzione con il ciclo integrale a carbone, ma con tre tipologie diverse: elettrico puro, preridotto e carbone. Così potremo eliminare due terzi di Co2 e garantire la salute e i livelli occupazionali attuali».
Ministro, che peso avrà alla fine lo Stato nel capitale della società? Siete sicuri di poter dettare condizioni anche durante la gestione?
«Lo Stato entrerà in ArcelorMittal Italia (Ami), ma definire ora la quota è prematuro. Quel che è certo è che loro saranno in maggioranza assoluta. Oggi abbiamo un contratto di affitto di asset aziendali con impegno all'acquisto nel 2023. Di fatto anticipiamo questa fase: Ami acquista da Ilva in amministrazione straordinaria i rami d'azienda e versa 1,8 miliardi: detratte alcune poste, come i canoni già versati (circa 300-400 milioni, ndr), serviranno a pagare i fornitori, gli scivoli e i creditori che sono Cdp, Intesa, Unicredit e Banco Popolare».
Come farete a garantire i livelli occupazionali? All'inizio si era parlato di 5.500 esuberi.
«Aumentando la produzione di 2 milioni di tonnellate e con l'ingresso dello Stato che si fa carico della transizione dal carbone all'elettrico, salvaguarderemo l'occupazione. Naturalmente tale obiettivo verrà raggiunto fra quattro anni, a fine piano. Per questo è forse giusto aspettare a far festa».
Che fine faranno nel frattempo gli esuberi con la produzione attuale? Cassa integrazione?
«Certamente faremo ricorso agli ammortizzatori. Non solo. Metteremo in campo ulteriori interventi per creare lavoro extra Ilva. Penso a Philip Morris-Iqos che ha proposto di fare un call center con 370 posti. Penso a Fincantieri che si è detta disponibile a dare una mano con altri 100 posti di lavoro. Penso anche al coinvolgimento della filiera dell'acciaio italiana».
E lo scudo penale, non credete di aver sbagliato a toglierlo?
«Non è mai arrivato sul tavolo della discussione, non fa parte del preaccordo e della trattativa attuale. Spetterà al presidente del Consiglio eventualmente affrontare il tema. Sollevare la questione è stato pretestuoso da parte dell'azienda. Non faceva parte del contratto».
Davvero non ritiene che siano stati commessi errori dal parte del governo?
«Non vedo che cosa avremmo potuto fare di più. Ripeto, la questione dello scudo è solo un pretesto cui si è aggrappata indebitamente ArcelorMittal».
Quando chiuderete il contratto definitivo?
«A fine gennaio. Poi ci saranno degli interventi legislativi da fare e, sopratutto, l'accordo con i sindacati, elemento imprescindibile. Confidiamo poi in una soluzione positiva per Afo2».
E se Afo2 venisse spento dall'intransigenza del tribunale? Visto il pregresso, non pensa di essere un po' troppo ottimista?
«Gli altri altoforni potrebbero supplire alla mancata produzione di Afo2, ma in una prima fase ci potrebbe essere bisogno di maggiori tutele sociali. Comunque, confidiamo nel tribunale del riesame».
Dagli esuberi dell'Ilva al caso Alitalia, che tempi vi siete dati per trovare una soluzione? La sensazione è che si è nuovamente tornati all'anno zero.
«Alitalia perde circa 2 milioni al giorno. Vorrei sapere cosa si può fare di più rispetto a quanto stiamo facendo. Il 2 dicembre dopo il no di Atlantia, che ha fatto naufragare il consorzio, avevo di fronte due strade: la liquidazione della compagnia o avviare una nuova procedura. Ho scelto la seconda e coltivo la speranza che si possa arrivare ad una soluzione».
Ma le condizioni ci sono?
«Abbiamo indicato nell'avvocato Leogrande, che non conoscevo prima, il commissario unico. A lui è stato dato ampio mandato, non una cambiale in bianco però, per trovare una soluzione. Dovrà rendere più attraente la compagnia, ci sono margini non amplissimi su cui operare, ma qualche cambiamento serio si può ancora fare. Non c'è interesse per la compagnia così come è ora».
Quali margini ci sono ancora? Farete lo spacchettamento?
«Che non è lo spezzatino. Sì, si può immaginare una holding Alitalia con una diversa articolazione che mantenga l'integrità aziendale. No invece alla costituzione di società diverse da cedere separatamente, sarebbe inaccettabile».
E i tagli di spesa?
«Anche qui c'è spazio. Il tutto sotto la vigilanza e l'approvazione del ministero. Penso a esempio al leasing, che si può toccare ancora: ci sono delle scadenze da ridefinire». E gli esuberi? Lufthansa sembra interessata solo alla parte volo.
«Sì, per ora propone solo una partnership commerciale. Vedremo. La parte volo è molto appetita. I tedeschi sono anche interessati ad un eventuale accompagnamento nel cambio di alleanze. La stand alone è insostenibile».
I problemi dell'handling sono però evidenti...
«Spetta al commissario fare delle proposte».
Le Fs torneranno in gioco, magari insieme ad Atlantia?
«Non bisogna bruciare quanto fatto fino ad ora. Ma Atlantia non c'è più. Capitolo chiuso».
Nemmeno attraverso Adr?
«Vedremo cosa ne pensa il commissario. Vedo bene invece il coinvolgimento delle Ferrovie con il progetto dell'integrazione modale che resta un valore. L'ad Battisti ha fatto un grande lavoro e gli va riconosciuto».
Metterà in concorrenza Air France-Delta e Lufthansa?
«Li metteremo in concorrenza. Non faremo regali a nessuno. I tedeschi proponevano una flotta di 86-91 aerei, Delta con FS qualcosina di più. Ma non bisogna agire solo sul perimetro aziendale, serve anche una riforma del trasporto aereo. Penso per esempio alle low cost, agli aiuti che ricevono e che in molte situazioni danneggiano proprio Alitalia. Questo non è più tollerabile».
Scure quindi sulle Low cost?
«Serve un intervento legislativo, non possiamo regalare alle low cost il trasporto aereo del Paese».
Ma che fine hanno fatto i 400 milioni promessi per la continuità della compagnia? Non se ne è più parlato...
«Proprio ieri sera ho firmato i bonifici, problema risolto».
Basteranno per arrivare alla formazione della nuova cordata?
«Insieme ad altri risparmi di spesa, come il posticipo del pagamento degli interessi al Tesoro per 145 milioni, avremo tempo fino all'autunno. Ma è chiaro che l'obiettivo è chiudere entro metà anno, con la scadenza del mandato al commissario. Altrimenti si chiude. Non ci saranno altri fondi. Per Alitalia questo è davvero l'ultimo intervento dello Stato».
Non temete la mannaia della Ue sul fronte aiuti di Stato?
«No. Cambieremo il brand Alitalia e realizzeremo una diversa struttura societaria. Sono questi gli elementi di discontinuità che ci vengono richiesti».


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