ROMA Sulla riapertura delle scuole si giocano la faccia un po' tutti e non solo il governo che annaspa con una ministra sotto il fuoco delle critiche. E' per questo che l'ennesima riunione della Conferenza Stato-regioni, prevista per questa sera, non può che chiudere l'accordo sulle linee guida che permetteranno agli studenti di tornare in classe in sicurezza.
LA CLESSIDRA Il tassello mancante è quello sui trasporti. Bus e treni tra due settimane saranno presi di nuovo d'assalto da studenti e genitori che poco prima del fischio della campanella dovrebbero essere ai cancelli degli istituti. L'ultimo braccio di ferro tra governo e presidenti di regione riguarda la capienza massima dei mezzi pubblici. Le indicazioni degli scienziati arrivano al 75% della capienza, le regioni chiedono l'80% e di poter salire sino alla capienza massima per tragitto sotto i quindici minuti. Inoltre chiedono una copertura dei fondi per l'aumento delle linee necessarie per sopperire al restante 20%.
«Nelle prossime ore come Conferenza delle Regioni otterremo dall'esecutivo di poter portare all'80% la capienza sui mezzi pubblici». Il presidente della Liguria Giovanni Toti ne è sicuro e lo annuncia sui social. Il tempo per organizzarsi è talmente poco che governo e regioni hanno voglia di chiudere in fretta la faccenda in modo da dare qualche certezza alle famiglie dopo sei mesi di chiusura delle scuole. Alle quattro di oggi pomeriggio Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle regioni ha convocato la riunione con i suoi colleghi che poi si allargherà in videoconferenza unificata ai ministri Francesco Boccia, Lucia Azzolina, Paola De Micheli e Roberto Speranza. All'ordine del giorno l'approvazione del parere sulle «linee guida per l'informazione agli utenti e le modalità organizzative per il contenimento della diffusione del Covid-19 in materia di trasporto pubblico». Mentre il governo lavora e assicura che la scuola riaprirà regolarmente il 14 settembre, si allunga l'elenco delle regioni che slittano in avanti la riapertura e la lista dei presidi che intendono continuare nella didattica a distanza in attesa dei banchi monoposto. Sardegna, Calabria, Basilicata, Puglia e Abruzzo hanno infatti fatto slittare al 24 settembre l'avvio del nuovo anno scolastico, ovvero dopo il referendum costituzionale. Senza contare che sul piede di guerra sono, oltre ai presidi, gli insegnanti con i corsi di recupero che dovrebbero partire domani per le scuole che non li hanno fatti a luglio. Una ripartenza che si annuncia ancor più nel caos viste le cattedre ancora scoperte e gli insegnanti di sostegno che non si trovano.
Nel frattempo è l'Associazione Nazionale dei Presidi a suggerire l'autocertificazione e di sottoporre gli studenti a test sierologici anche se su base volontaria. A proporlo è Antonello Giannelli, presidente dell'Anp: «Sarebbe una buona idea quella di far sottoscrivere - in vista dell'inizio dell'anno scolastico- delle autocertificazioni ai genitori, per i ragazzi minorenni, come quelle già distribuite negli aeroporti. Ed è in linea con tutte le precauzioni prese a livello nazionale». E aggiunge: «Siamo favorevoli allo screening degli studenti. Credo però che non ci siano sufficienti risorse per effettuarli a tappeto, considerando che sono 8,5 milioni». In buona sostanza i presidi cercano forme di autotutela scaricando sulle famiglie la firma di un modulo che dovrebbe garantire che il ragazzo non è stato in paesi a rischio, non è a contatto con persone risultate positive e che magari non frequenta luoghi o persone che non seguono le dovute cautele.
Il conto alla rovescia è comunque iniziato, ma le incognite sono ancora molte. I banchi monoposto devono ancora arrivare e l'immissione in ruolo di quasi 85 mila docenti procede con il solito caos che si aggiunge a quello derivante dalla pandemia. Il risultato - che finirà sulle spalle delle famiglie - sarà un procedere sparso non solo tra regioni, ma anche tra scuole con la solita girandola di docenti e supplenti, orari ridotti e le regole sul distanziamento che renderanno la mobilità ancor più complicata specie nelle grandi città.
«Riaprire gli stadi è sbagliato sarebbe il bis delle discoteche»
«Mi pare sacrosanto: dobbiamo aprire le scuole, non gli stadi. Capisco che togliere i circenses agli italiani possa dispiacere, ma dal punto di vista scientifico portare il pubblico negli impianti sportivi può avere gli stessi effetti che abbiamo visto nelle discoteche».
Il professor Massimo Galli, responsabile di Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, lo dice chiaramente: prima di tutto, le scuole. Proprio ieri il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, il dottor Agostino Miozzo, aveva spiegato: per noi la priorità è far ripartire le lezioni, il pubblico allo stadio può aspettare.
Perché non ci possiamo permettere di riportare gli spettatori negli stadi e nei palasport?
«Miozzo ha ragione, tra scuola e stadi non ci dovrebbe essere gara. Il calcio è uno spettacolo non essenziale che può essere fruito anche da casa. Come per le discoteche, qualsiasi situazione che determina un ammassamento di persone è insidiosa. Puoi tenere le persone distanziate all'interno dello stadio, ma non riesci a farlo all'entrata e all'uscita».
Abbiamo il precedente della partita giocata a Milano di Atalanta-Valencia in cui ci fu una sostenuta trasmissione del virus.
«Probabile, giusto ricordarlo. Ma d'altra parte se il virus si trasmette facilmente in una discoteca, come abbiamo visto, lo stesso avviene allo stadio. Siamo all'aperto, ma con persone che difficilmente non si accalcano. E per gli sport al coperto la situazione è ancora più critica. Fino a quando la situazione è questa bisogna rinunciare al superfluo. Siamo tornati a superare ampiamente le mille diagnosi al giorno, legate solo in parte al fatto che abbiamo aumentato i tamponi. Però l'andamento dell'epidemia ha caratteristiche non tali da rassicurarci».
In una discoteca della Romagna, frequentata da ragazzi tra i 16 e i 20 anni, dai tamponi è risultato positivo il 7 per cento. Non è sorprendente?
«Sì, soprattutto se teniamo conto che sono ragazzi che non solo non sviluppano di regola una malattia grave, ma che si infettano di meno. Abbiamo fatto uno studio a Castiglione d'Adda, dove il virus era circolato liberamente per una settimana infettando un quarto della popolazione. C'era una differenza enorme tra giovani e anziani. I giovani erano sotto il 14 per cento, gli anziani sopra il 35».
Tra i nuovi positivi c'è una prevalenza di asintomatici.
«Vero solo in parte. C'è chi parla di virus modificato, cosa che io non credo ma stiamo completando uno studio proprio per avere risposte certe».
Quanto preoccupa la riapertura delle scuole?
«Non sarei stato scandalizzato e non lo avrei ritenuto un fallimento se le scuole avessero aperto solo il primo ottobre, in una situazione in cui tutto fosse stato sistemato a dovere. Giorno dopo giorno emergono varie difficoltà e poi in mezzo ci sono delle elezioni. Se devi aprire le scuole, per poi chiuderle per le elezioni, infine le devi pulire e poi riaprire... Insomma, valeva la pena aspettare. Detto questo, mi preoccupa il fatto che è difficilissimo ottenere il distanziamento a scuola. Bisognerebbe valutare sistemi alternativi, magari a rotazione fare lezione da remoto per un terzo degli scolari di una classe. Infine, avremmo bisogno di più test e presenza sanitaria nelle scuole. La misurazione della febbre a casa mi lascia perplesso. E avremo problemi quando cominceranno a esserci tutte le altre infezioni alle vie respiratorie, non mi è chiaro cosa succederà nelle varie regioni per il vaccino anti influenzale rivolto a bambini e ragazzi».
Si possono fare i tamponi ciclicamente agli studenti?
«Noi stiamo studiando un sistema, che velocizza i tempi: prelievo della saliva per gruppi, per classi, in modo da velocizzare i test. Se in una classe emergono tracce di coronavirus, allora si fanno i tamponi ai singoli studenti di quella classe. Si chiama pooling, ci stiamo lavorando».