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Data: 03/01/2023
Testata Giornalistica: IL MESSAGGERO
    IL MESSAGGERO

Si vive di meno: pensioni più alte. L'assegno sale del 3% per chi si ritira nel 2023. L'Inps adegua il coefficiente al calo dell'aspettativa di vita causato dal Covid. Arriva quota 103 con 41 anni di contributi Si restringe la platea per Opzione donna

ROMA La cattiva notizia è che la speranza di vita degli italiani si è accorciata. Quella che rende un po' meno amara questa pillola, è che le pensioni di chi lascerà il lavoro quest'anno saranno più alte. È l'effetto del sistema contributivo di calcolo degli assegni che si basa sui cosiddetti «coefficienti di trasformazione». Il concetto può essere semplificato così: alla fine dell'attività, il lavoratore ha accumulato un certo ammontare di contributi. Questi contributi saranno versati al lavoratore stesso dall'Inps sotto forma di pensione per un certo numero di anni. E il coefficiente di trasformazione serve proprio a stabilire l'entità della pensione in base al numero di anni che si stima l'assegno dovrà essere versato. Se la speranza di vita aumenta, la pensione scende. Se la speranza di vita si riduce, la pensione sale. Ed è proprio quello che è accaduto negli ultimi due anni a causa della pandemia: la speranza di vita per la prima volta dopo anni invece di aumentare si è ridotta. Secondo le previsioni dell'Istat il calo sarebbe di 1,2 anni. Così nei giorni scorsi, l'Inps ha rifatto i conteggi dei coefficienti di trasformazione per il biennio 2023-2024.
IL CONTEGGIO - Chi lascerà il lavoro quest'anno, avrà di partenza una pensione più elevata tra il 2 e il 3 per cento a seconda dell'età di pensionamento. Prendiamo il caso di un sessantaduenne. La sua pensione sarà del 2,35 per cento più alta di quella di un omologo che ha lasciato il lavoro, con gli stessi requisiti nel 2022. Per un sessantacinquenne, la pensione di partenza sarà più elevata del 2,53 per cento, mentre per un settantenne si arriverà fin quasi al 3 per cento (2,90 per l'esattezza). La novità, va detto, non riguarda tutti i pensionati, ma comunque ne coinvolge molti. Si applica a tutti coloro che hanno almeno una parte della loro pensione calcolata con il metodo contributivo. Dunque si applica in pieno a chi ha iniziato a lavorare a partire dal 1996. Ma anche a chi esercita l'opzione per il ricalcolo contributivo della pensione, come nel caso per esempio di Opzione donna. Ed ancora, a chi ha meno di 18 anni di contributi fino al 1995 o anche almeno 18 anni di contributi alla stessa data e anzianità contributive ulteriori a partire dal 2012.
La platea, insomma, è ampia. Quello effettuato dall'Inps è il sesto aggiornamento biennale dei coefficienti di trasformazione, ma è la prima volta che questi ultimi aumentano la pensione invece di ridurla. Lo scopo dei coefficienti, del resto, è analogo a quello che nel sistema contributivo svolge l'adeguamento automatico dell'età di pensionamento alla speranza di vita. Più aumenta la speranza di vita, più si va tardi in pensione, e più basso diventa l'assegno proprio per l'operare dei coefficienti di trasformazione. Ma questo meccanismo si è inceppato con la pandemia e con la riduzione della speranza di vita. E la stessa Ragioneria generale dello Stato ne ha dovuto prendere atto. Nel 2012 a seguito della riforma Fornero, aveva programmato che la pensione di vecchiaia, negli anni 2021 e 2022 si sarebbe dovuta percepire con 67 anni e 3 mesi di età. Quest'anno e il prossimo, sempre secondo le stime iniziali della Ragioneria, si sarebbe dovuti salire a 67 anni e 5 mesi, mentre nel biennio 2025-2026 si sarebbe passati a 67 anni e 9 mesi.
La pensione anticipata, sempre secondo le stime iniziali della Ragioneria, avrebbe dovuto essere percepita, nel 2021 e nel 2022 con 43 anni e 6 mesi, nel 2023 e nel 2024 con 43 anni e 8 mesi e nel 2025 e nel 2026 con 44 anni. Invece, a distanza di 10 anni con una recente nota di aggiornamento i tecnici del ministero dell'Economia hanno rilevato che i requisiti per accedere alle pensioni non dovrebbero subire incrementi, nell'età e nella contribuzione, fino al 2026 per effetto della riduzione della speranza di vita nel periodo che va dal 2019 al 2021.
IL PASSAGGIO - Tutti i requisiti della legge Fornero, tuttavia, saranno oggetto come ha annunciato il ministro del lavoro Marina Calderone, di una riforma strutturale. A questo proposito, il prossimo 19 gennaio si terrà il primo tavolo di trattativa sul tema tra il governo e i sindacati. L'intenzione sarebbe quella di arrivare a una «Quota 41» generalizzata. Ossia permettere il pensionamento con 41 anni di contributi a prescindere dall'età anagrafica. I 41 anni non dovrebbero nemmeno più subire l'adeguamento biennale alla speranza di vita. Ma si tratta di un progetto che necessariamente dovrà fare i conti con le risorse finanziarie a disposizione e con i possibili dubbi della Commissione europea, che lega alla sostenibilità del sistema pensionistico quella del debito pubblico italiano. Il passaggio, insomma, non sarà semplice.
 
Arriva quota 103 con 41 anni di contributi Si restringe la platea per Opzione donna
 
ROMA La riforma, quella con la R maiuscola, dovrebbe arrivare quest'anno. Il primo incontro tra la ministra del Lavoro Marina Calderone e le parti sociali per tentare di mettere in soffitta o comunque superare la cosiddetta legge Fornero sulle pensioni varata nel 2011 nel pieno della crisi dei debiti sovrani, è già fissato per il 19 gennaio. Ma trovare la quadra, come si suol dire, tra maggiore flessibilità nei tempi di uscita dal lavoro e esigenze di sostenibilità dei conti pubblici non sarà semplice. Perché si parte da numeri implacabili: quasi 18 milioni di pensionati per i quali, secondo gli ultimi dati forniti dall'Inps, si spendono 313 miliardi di euro all'anno. Una cifra enorme - la più alta tra tutti i capitoli di spesa pubblica - che corrisponde a circa il 16% del Pil. Non è un caso che i tentativi del governo Conte di varare una riforma del sistema previdenziale con la ministra Nunzia Catalfo e poi quelli del governo Draghi con il ministro Andrea Orlando non siano stati forieri di nessun risultato, salvo l'adozione di misure temporanee come quota 100, e poi ancora quota 102. In questo solco, e in attesa della riforma organica e strutturale, nel 2023 debutta quota 103, ovvero il canale di uscita per chi ha compiuto 62 anni di età ed è riuscito a totalizzare 41 anni di contributi. Non è comunque l'unica novità in campo pensionistico di questo anno appena iniziato. La manovra di bilancio, infatti, ha aumentato le pensioni minime per gli over 75 a 600 euro al mese, ha rimodulato le percentuali di rivalutazione delle pensioni rispetto all'inflazione (la rivalutazione piena spetta solo a chi ha un assegno fino a 4 volte il minimo, poi parte il decalage), ha introdotto una stretta per Opzione donna.
LE NOVITÀ - Come si andrà in pensione quindi quest'anno? Il canale classico, quello della pensione di vecchiaia resta lo stesso: 67 anni di età. Non cambiano le regole per la pensione anticipata, quella che si raggiunge con 42 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall'età anagrafica per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne. Prorogata per un altro anno Ape sociale, la misura che consente a chi ha almeno 63 anni ed è in una condizione di difficoltà di avere un'indennità in attesa che si perfezionino i requisiti per la pensione.
Come detto, però, il 2023 non è esente da novità. A cominciare dalla nuova quota 103 che sostituisce e rende un po' più complicato il raggiungimento dei requisiti rispetto a quota 102. L'asticella più bassa richiesta per l'età anagrafica (62 anni contro i 64 della precedente quota) è abbondantemente compensata da un inasprimento del requisito contributivo che, con quota 103 si alza a 41 anni (contro i 38 precedenti). Quota 103 porta con sè anche un'altra novità: il tetto all'importo dell'assegno, che non potrà superare la soglia di cinque volte il trattamento minimo Inps (circa 2.800 euro mensili). Al compimento del 67esimo anno di età, il tetto scompare e così chi aveva maturato una pensione più alta da quel momento in poi riceverà l'assegno pieno. La platea potenziale di quota 103 è stimata in 50.000 soggetti.
Meno di tremila invece saranno le lavoratrici che potranno andare in pensione con Opzione donna. La versione 2023 prevede infatti uno standard anagrafico di 60 anni (che torna a 58 solo in presenza di due figli), 35 anni di contributi maturati e l'appartenenza ad almeno una di tre categorie disagiate, ovvero assistenza a familiare disabili; invalidità al 74%; licenziate di aziende in crisi.
 

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