Scusi, professor Ricciardi, quando parla di lockdown sta lanciando un appello al governo? Alla fine Speranza non l'ha mai seguita nella linea della chiusura totale. «Io sono consigliere del ministro della Salute e a lui mi rivolgo. E Speranza ha sempre accolto i miei suggerimenti. Nel precedente governo, però, trovava un muro, trovava la linea di chi voleva convivere con il virus. Questo ha causato decine di migliaia di morti e ha affondato l'economia. Spero che la strategia del nuovo governo sia no Covid che ci riporti a una prospettiva di normalità in tempi ragionevoli. Ci riavvicineremmo al ritorno alla vita normale e alla ripresa economica, come dimostrano gli esempi di Cina, Taiwan, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. Ora anche Usa, Germania e Danimarca vanno in questa direzione».
Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza e docente di Igiene all'Università Cattolica di Roma. Ma è sicuro che l'Italia si possa permettere un altro lockdown?
«Al ministro ho sottoposto la necessità di proporre al governo tre cose, anche alla luce del problema delle varianti: lockdown breve e mirato; tornare a testare e tracciare; vaccinare a tutto spiano. Tenga conto che la variante inglese si trasmette più velocemente ed è lievemente più letale. Quella brasiliana può dare origine a reinfezioni, come è stato visto a Perugia. Per la sudafricana sembra limitata l'efficacia del vaccino AstraZeneca».
Quando parla di lockdown pensa che vada applicato su tutto il territorio nazionale come a marzo 2020?
«Sì, perché dobbiamo limitare la circolazione del virus al di sotto dei 50 casi ogni 100mila abitanti. Deve durare il tempo necessario a tornare a questo dato di incidenza. Possono essere due, tre, quattro settimane, dipende quando si raggiunge l'obiettivo».
Ridurre il numero dei casi consentirà di testare e tracciare con più efficacia. Ma non c'è anche un problema di forze in campo? C'è sufficiente personale per farlo?
«Va rafforzato, come sta facendo ora la Germania che sta reclutando personale a tutto spiano proprio per fare questo. Servono migliaia di persone per testare e tracciare, le possiamo formare anche rapidamente».
L'applicazione Immuni si è rivelata poco utile.
«Non ci ha aiutato per niente perché il tracciamento tecnologico non l'abbiamo proprio fatto. Però se riusciamo a riportare a un livello sostenibile i nuovi casi, dunque a 50 ogni 100mila abitanti, allora anche l'app potrebbe aiutarci. Ma ripeto: bisogna anche reclutare le persone per testare e tracciare».
Ultimo punto: lei chiede di vaccinare il più possibile. Come?
«Per marzo avremo messo in sicurezza personale sanitario e buona parte degli over 80. Questo è importante. Ma ci dobbiamo preparare per vaccinare 250-300mila persone al giorno, pare che il presidente Draghi abbia ipotizzato di arrivare anche a 500mila, ma io mi accontenterei di 300mila. Ma dobbiamo organizzarci ora: da aprile i vaccini li avremo per tutti, ma dovremo essere pronti. Il modello da seguire è quello israeliano, con centri diffusi, sfruttando grandi spazi come palasport, palestre, drive-through».
Il presidente Draghi ha citato il modello inglese.
«Per me l'ottimale è il modello israeliano, anche se comunque è simile al britannico. C'è però una differenza: nel Regno Unito puntano a vaccinare molte persone, privilegiando la prima dose, questo io non lo condivido. In Israele invece hanno puntato sulla somministrazione normale, dunque con prima e seconda dose, e hanno già avuto una riduzione della mortalità più marcata. Penso anche che quando saranno completati gli studi, dovremo vaccinare anche i bambini, magari dall'inizio del prossimo anno scolastico».
Per le vaccinazioni il personale è sufficiente?
«Lo abbiamo, ma bisogna usarlo bene. Ed è necessario coinvolgere i medici di medicina generale. Ma in maniera organizzata: alcuni sono stati informati sui giornali dai presidenti di Regione».
Lei ha anche proposto una cabina di regia centrale per le vaccinazioni.
«Ancora non so se sarà accolta. Quello che auspico è che vi sia una struttura interamente dedicata al piano vaccinale come c'è in Gran Bretagna, in Israele e Stati Uniti».
Le varianti preoccupano, ma da Regno Unito e Sud Africa è comunque possibile raggiungere l'Italia.
«Certo, è un problema. Bloccare i voli però rallenta, ma non elimina la diffusione delle varianti. La vera strategia è la riduzione della circolazione del virus, perché ormai tutte e tre le principali (inglese, brasiliana e sudafricana) sono già sul nostro territorio. E dobbiamo anche potenziare il sequenziamento».
Torneremo alla vita di prima?
«Possiamo anche noi tornare alla normalità, così come è successo in quei Paesi che hanno azzerato la circolazione del virus. Con questa precarietà e questa instabilità totale, l'economia si affossa da sola».