«Eventi rari ma possibili». A dispetto della formula apparentemente prudente che conclude il dossier di oltre 30 pagine, il verdetto è chiaro: le forti scosse di terremoto del 18 gennaio 2017 vanno considerate concausa della valanga abbattutasi sull'hotel Rigopiano, con il bilancio tragico di 29 vittime sul quale quattro anni dopo si cerca ancora, faticosamente di fare giustizia. E sul processo soltanto da poco incardinato nella fase dell'udienza preliminare piomba adesso anche lo studio di geologi e geografi dell'Università d'Annunzio, appena pubblicato sulla rivista scientifica Frontiers in earth science a firma dei professori Tommaso Piacentini, Monia Calista, Uberto Crescenti, Enrico Miccadei e Nicola Sciarra. A colpire sono i numeri messi in fila dai ricercatori: rispetto a un ritmo storico di 0-70 valanghe nel sessantennio precedente, il giorno della tragedia sul massiccio del Gran Sasso il bilancio è stato di 76, con un totale di 105 nei due giorni seguenti e di 115 alla fine dell'anno. Una furia della natura tutta concentrata nell'arco temporale 18-20 gennaio, apertosi con la sequenza sismica iniziata alle 10,25 con la scossa di 5.1 gradi Richter e proseguita alle 14.33 con un'altra botta da 5.0.
Il secondo evento di grado 5 e l'ultima scossa della serie, 4.3 gradi alle 16.16, precedono la valanga rispettivamente di 135 e 34 minuti. Tempi ampiamente compatibili con la dinamica di innesco della valanga, scrivono gli studiosi della d'Annunzio sulla base di analogie con la regione dell'Himalaya.
Di più hanno detto l'analisi fotogeologica e la ricerca geomorfologia condotte sul posto. Lungo il canalone sul fianco orientale del monte Siella sono state rilevate «fratture e scarpate di origine cosismica, che avrebbero potuto contribuire a innescare la valanga, probabilmente distaccatasi dalla parte mediana del pendio». Traducendo il tecnicismo, le fratture sono cicatrici lasciate dal terremoto, mentre le scarpate sono frane di origine sismica. Una di queste, in particolar modo, non era sicuramente presente sul posto, secondo una testimonianza oculare, nel novembre del 2016.
LE CONFERME È l'incrocio dei dati nivologici, un manto instabile di oltre tre metri stratificatosi a partire dal 6 gennaio con forti escursioni termiche (da -10 a -20 gradi) con complessi modelli matematici a suggerire agli autori dello studio un'ipotesi scientificamente solida sulla causa della valanga: «Nonostante le scarse condizioni di stabilità della neve sul pendio, la valanga non fu innescata nel momento esatto di uno dei principali eventi sismici. I ritardi misurati in questo evento sono ampiamente coerenti con i ritardi documentati in precedenza nell'Himalaya occidentale».
La storia della sciagura di Rigopiano andrebbe dunque riscritta in questi termini: «Il terremoto causa una iniziale frattura di taglio all'interno di un preesistente strato debole. A causa di questa frattura, le forze agenti nel lastrone che comincia a scivolare si distribuiscono con una nuova configurazione. Lo stesso scorrimento in fase di decadimento genererà una dislocazione sufficiente nello strato debole integro da attivarne il comportamento viscoplastico». Il termine tecnico indica i materiali che si comportano come fluidi, come appunto una massa di neve in movimento.
LE CONSEGUENZE Anche dati storici confortano le conclusioni dello studio pubblicato su Frontiers in earth science. Come la valanga che lambì la frazione aquilana di Assergi il 9 aprile del 2009, al culmine della tragica sequenza sismica del 6 aprile. O gli eventi minori del 18-20 gennaio 2017 sul versante nord-orientale del Gran Sasso, valanghe con un morto a Ortolano e un ferito a Pietracamela rimaste sempre all'ombra della strage del resort. Ma soprattutto l'anomalia della valanga del 18 gennaio rispetto a tutte le precedenti registrate nell'area di Rigopiano, altro segno della concausa sismica.
Un lavoro scientifico destinato a rimescolare anche le carte del processo, fin dalla ripresa del dibattimento il 15 marzo prossimo. Sì, perché le conclusioni dei professori Piacentini, Calista, Crescenti, Miccadei e Sciarra, collimano nella sostanza con una consulenza cofirmata da Sciarra sulla base della quale alcune difese chiederanno al Gup di disporre una consulenza d'ufficio. Un contributo terzo destinato a controbilanciare le conclusioni dei consulenti della procura. In gioco c'è il discrimine tra la prevedibilità degli eventi: ammessa dalla scienza nel caso delle valanghe, esclusa anche dalla giurisprudenza più recente nel caso dei terremoti. Più di un imputato per Rigopiano conta su questa via di uscita.