ROMA Soltanto la settimana scorsa era sul palco in piazza a Roma per dare il suo sostegno ai lavoratori della Whirlpool di Napoli: «Non possiamo correre il rischio che da luglio voi siate licenziati». Guglielmo Epifani aveva promesso il suo impegno anche per questa ennesima battaglia, nelle vesti di parlamentare. Lo aveva fatto come era suo solito, con parole chiare, determinate ma senza urla. Era la sua cifra anche durante la lunga carriera da sindacalista che nel 2002 lo aveva portato ad occupare la poltrona più ambita della Cgil, quella di segretario generale.
Non ha fatto in tempo stavolta Epifani a mantenere la sua promessa ai lavoratori dello stabilimento di via Argine a Napoli che la multinazionale degli elettrodomestici vuole chiudere. Epifani è morto ieri, per un'embolia polmonare che se lo è portato via in pochi giorni. Aveva 71 anni. Lascia la moglie Giusi, discreta compagna di una vita, sempre al suo fianco ma sempre un passo indietro. Innumerevoli i messaggi di cordoglio da parte dell'intero arco parlamentare. Anche di chi è sempre stato dall'altro lato, a destra.
DIRITTI E DOVERI Intellettuale raffinato, riformista, attento ai diritti ma anche ai doveri, uomo colto e disponibile, il gentiluomo Guglielmo Epifani è stato il primo socialista a guidare il più grande sindacato del Paese. Alla Cgil arrivò subito dopo la laurea in filosofia (alla Sapienza a Roma con una tesi su Anna Kuliscioff) e dopo la gavetta assunse prima la guida dei poligrafici, poi nel 1990 entrò nella segreteria confederale e nel 93 divenne vice di Bruno Trentin. Fu eletto leader della Cgil dopo il regno di Sergio Cofferati, di cui era stato vice. Era il 2002, un periodo non certo facile per le relazioni industriali. Il mondo del lavoro stava cambiando velocemente, anche le norme non potevano restare ferme a decenni prima. L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori - quello che vietava i licenziamenti senza giusta causa - divenne un totem, da una parte il sindacato pronto a difenderlo a tutti i costi, dall'altra gli industriali e la politica (al governo c'era Berlusconi) che tentavano di abbatterlo o quantomeno riformarlo in profondità. La tensione sociale era alle stelle. I tre sindacati confederali litigavano tra di loro. Cisl e Uil firmarono il Patto per l'Italia con la Confindustria di Antonio D'Amato. La Cgil no. Ci andò di mezzo il giuslavorista Marco Biagi, ucciso a marzo 2002 sotto casa dalle nuove Brigate Rosse. Epifani prese la guida della Cgil a settembre 2002, soltanto una manciata di mesi dopo la grande manifestazione voluta da Cofferati al Circo Massimo. All'inizio non si discostò molto dal suo predecessore e dopo solo un mese dall'insediamento organizzò uno sciopero generale della sola Cgil. Ma poi iniziò a lavorare per il ritorno dell'unità sindacale, parlandone apertamente durante le sue prime interviste da numero uno. Sud, crisi industriale, welfare e pensioni: questi gli argomenti che Epifani pensava di giocarsi per superare le divisioni. Non fu un percorso facile. Né breve. Nel luglio 2004, durante una riunione con Confindustria, presidente Luca Cordero di Montezemolo, sulla riforma contrattuale, Epifani in disaccordo con Cisl e Uil si alzò di scatto dal tavolo e abbandonò la sala.
VOGLIA DI UNITÀ La svolta arrivò nel luglio 2007, al governo c'era Romano Prodi, quando anche la Cgil firmò il Patto sociale sul welfare e previdenza, primo passo verso una più moderna flexsecurity. Non fu semplice per Epifani superare le ostilità dei metalmeccanici della Fiom, guidati da Gianni Rinaldini, che infatti votarono in maggioranza contro il patto, trascinandosi poi dietro anche una parte del parlamentino Cgil. Epifani tenne duro. Il referendum tra i lavoratori sigillò l'intesa.
Tra i suoi meriti anche quello di aver favorito l'arrivo di un donna per la prima volta sulla poltrona di segretario generale della Cgil. Sarà proprio lui a proporre, sponsorizzare e poi consegnare il testimone da leader dopo 8 anni, non senza un po' di commozione, a Susanna Camusso.
Dopo il sindacato, prima un passaggio come presidente della Fondazione Cgil, poi nel 2013 l'ingresso in politica come deputato (fu candidato capolista in Campania) del Pd guidato da Pierluigi Bersani. E proprio a lui fu successivamente (tra maggio e dicembre 2013) affidato il compito di reggere il partito durante quei mal di pancia interni che portarono al trionfo di Matteo Renzi. Epifani ha poi seguito Bersani nella scissione che ha dato vita a Liberi e Uguali. Ma il suo cuore, c'è da giurarlo, è sempre rimasto legato a quell'ufficio con vista su Villa Borghese nel palazzo color salmone di Corso d'Italia.