L’Alta Velocità tra Napoli e Bari, a fronte di 6 miliardi di investimento, vale 17 miliardi del Pil meridionale e porta 18mila posti di lavoro in un arco temporale di 7 anni. Un effetto moltiplicatore che dimostra come le infrastrutture muovano l’economia e contribuiscano a ridurre il gap tra Nord e Sud.
A sostenerlo è Ennio Cascetta, professore di Pianificazione dei Sistemi di Trasporto alla Federico II di Napoli e autore del volume “Perché Tav” edito da Il Sole 24 Ore, che ha presentato ieri al Politecnico di Milano uno studio apposito dell’Ateneo partenopeo sull’incidenza della Tav sul territorio.
LO STUDIO
Secondo la Federico II va fatto un raffronto dopo i primi dieci anni di Tav: le province che si trovano in regioni in cui il Pil del 2008 è maggiore del Pil medio nazionale (a parità di condizioni iniziali, ovvero nel 2008, di propensione al turismo e all’export), il Pil dal 2008 al 2018 è aumentato del 10% per le province dotate di stazione Av e del 3% per le province distanti più di 2 ore dalla stazione Av. Le province delle regioni in cui il Pil del 2008 è minore del Pil medio nazionale (a parità di condizioni iniziali, ovvero nel 2008, di propensione al turismo e all’export) il Pil dal 2008 al 2018 è aumentato dell’8% per le province dotate di stazione Av e dello 0.4% per province distanti più di 2 h dalla stazione Av.
Tradotto: nelle regioni meridionali i treni a 300 kmh hanno fatto crescere il Prodotto interno lordo fino all’8 per cento le città dotate di una stazione Tav. Nel complesso, da una parte ci sono 12 città (20 milioni di abitanti) collegate ogni giorno con ben 303 treni ad Alta Velocità, dall’altra parte le città prive di Tav.
EFFETTO MOLTIPLICATORE
Sono dati plausibili? Dobbiamo riporre speranze? Lo stesso Cascetta spiega: «I dati sono il frutto di modelli econometrici consolidati e quindi affidabili – premette l’ex assessore campano ai Trasporti – Tra l’uso di cemento per le costruzioni, le macchine che vengono adoperate, i sistemi di controllo attivati e i progetti collaterali che ne conseguono, l’Alta Velocità è in grado di moltiplicare gli investimenti. Per cui ci sono 6 miliardi diretti, x indiretti e x indotti».
E queste “x” ammontano a 17 miliardi in un totale di 7 anni. Ci sarebbe una forte riduzione dei tempi di percorrenza: tra Napoli e Bari un viaggio di circa 2 ore no stop, 1 ora e 40 minuti di differenza rispetto a oggi; tra Roma e Bari si passerà alle circa 3 ore no stop, cioè un’ora di differenza rispetto ad oggi.
LA RICADUTA
«Si tenga poi presente – dice Cascetta – che il settore delle costruzioni ha la massima ricaduta in sede locale, gli operai si prendono sul posto: si crea così un reddito di persone fisiche che spendono più di prima». Resta che la linea ferroviaria tra Napoli e Bari – programmata nel 2004, i cui primi bandi di gara sono però stati pubblicati solo nel 2016 e dovrebbe essere conclusa nel 2026 – è in gravissimo ritardo.
«Il progetto è stato approvato soltanto nel 2008 ed è sempre il frutto del piano di fattibilità di Rfi pagato dalle Regioni Campania e Puglia: costò 2 milioni e sono stati i soldi meglio spesi nel periodo in cui ho fatto l’amministratore». Nella speranza che il cronoprogramma della linea veloce tra Napoli e Bari sia rispettato, il Sud attende invano la realizzazione di altre infrastrutture che gioverebbero al territorio, evitando spopolamento, impoverimento, emigrazione intellettuale al Nord.
LE OPERE
«Non è stato riavviato il progetto dell’attraversamento dello Stretto – sottolinea ancora Cascetta – uguale ragionamento per il potenziamento della Battipaglia-Potenza, il potenziamento della statale 106 Jonica (un miliardo di finanziamento), la velocizzazione dell’Adriatica. Della linea Napoli-Reggio Calabria il progetto c’è ma non è stato mai discusso». Una denuncia forte: la conferma dell’allarme sul gap tra le due parti del Paese.
BANCA DATI
Il docente pro-Tav dettaglia i motivi del mancato completamento delle altre opere. «Rfi e Anas e Autostrade non le hanno ancora portati avanti neanche a livello di progetto: non c’è proprio una banca progetti – ricorda Cascetta – La cosa che mi preoccupa di più è che le stazioni appaltanti Rfi-Anas non abbiano ancora messo in cantiere uno dei progetti ritenuti necessari da tre anni a questa parte. Sappiamo bene quali vanno completati ma nessuno è stato avviato».
In generale, e il Mezzogiorno lo sa benissimo, pagandone ogni giorno in qualità della vita, più treni e più strade significano più benessere. «Le città che sono raggiunte dall’alta velocità hanno registrato un Pil pro capite superiore del 30% rispetto a quelle dove non arriva. Insomma, per essere chiari: manca un pezzo, e va completato, come è stato per le autostrade» chiosa Cascetta. Quando in Italia verranno completate tutte le opere – 48 miliardi di euro il costo, di cui 18 ancora da trovare – il 76 per cento della popolazione vivrà al massimo a un’ora di distanza dalla stazione ad Alta Velocità. Attualmente il Paese è fermo al 51 per cento, ma al momento la linea si ferma a Salerno, di conseguenza resta fuori una bella fetta di cittadini. Tra sei anni ci sarà la svolta? Con tanto di nuovi occupati e risorse da reinvestire.