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Data: 21/09/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA
    CORRIERE DELLA SERA

Pensioni più basse per chi vive di più: la proposta Inps in base a impiego e luogo di lavoro

Riforma delle pensioni, lo studio dell’Inps

C’è uno studio dell’Inps che punta a perequare gli assegni pensionistici alla speranza di vita dei lavoratori. In sintesi, a prevedere assegni più bassi per chi vive di più. A quei lavoratori che, per impiego svolto e regione di residenza hanno un’aspettativa di vita più alta rispetto ad altri meno fortunati. Lo studio è stato sintetizzato dal Messaggero e potrebbe approdare anche sul tavolo del governo nell’ambito della riforma previdenziale a cui si sta da tempo lavorando. Per dirla con l’Inps, si tratta di un’«ingiustizia» del sistema. In sostanza, pagare le pensioni senza tenere conto che i meno abbienti hanno una speranza di vita più breve è meno equo e avvantaggia solo i più ricchi.

Il coefficiente di trasformazione uguale per tutti

Basta controllare la speranza di vita degli italiani divisa per regioni o per categorie professionali per capirlo: ci sono connazionali che raggiunta l’età pensionabile dei 67 anni hanno davanti a loro ancora decenni di vita, altri che invece di quella pensione godranno poche decine di mensilità. Ma questi assegni non tengono minimamente conto dell’aspettativa di vita: il coefficiente di trasformazione (il valore che concorre al calcolo della pensione con metodo contributivo) è infatti uguale per tutti. Ma la professione svolta (e il suo logorio), l’efficienza sanitaria della Regione in cui si vive oltre che le predisposizioni genetiche non sono per nulla uguali per tutti. Davanti Destino o al Caso poco si può fare, ma là dove il calcolo delle probabilità appoggia su dati ben noti si potrebbe intervenire.

Cosa è cambiato dopo il Covid

La riduzione della speranza di vita dopo l’aumento della mortalità dovuta al Covid ha fatto sì che la rendita di chi uscirà nel 2023 dal mondo del lavoro possa aumentare. L’Inps con un decreto interministeriale (Lavoro e Mef) del dicembre scorso ha ricordato che è stata effettuata la rideterminazione biennale dei coefficienti del montante contributivo da utilizzare per il calcolo della quota contributiva per il biennio 2023-2024. A 67 anni il coefficiente è 5,723 a fronte del 5,575 del biennio 2021-2022, più alto anche del triennio 2016-18 (5,700). Come detto, i coefficienti di trasformazione sono valori che concorrono al calcolo della pensione e variano in base all’età anagrafica del lavoratore nel momento in cui consegue la prestazione previdenziale, a partire dall’età di 57 anni fino ai 71 anni. Maggiore è l’età del lavoratore, più elevati risulteranno anche i coefficienti di trasformazione. Nel 2023 il coefficiente è pari a 4,270 per chi esce a 57 anni (era 4,186 nel 2021-2022) e a 6,655 per chi esce a 71 anni (era a 6,466 nel biennio 2021-2022).

Le differenze tra le professioni

Analizzando la banca dati dell’Inps scopriamo che un pensionato iscritto al fondo dei lavoratori dipendenti, quello che raccoglie anche operai e impiegati, ha un’aspettativa di media di ricevere l’assegno pensionistico per 17,6 anni, un pensionato ex dirigente iscritto alla gestione Inpdai riceverà in media la pensione per 19,7 anni.

Le differenze tra classi di reddito

Ma non è solo la professione svolta a incidere sulla speranza di vita, lo fa anche il reddito. E in questo caso le differenze sono ancora più marcate. Un pensionato che si trova nella parte più bassa delle fasce di reddito, ovvero nel “primo quintile”, riceverà in media la pensione per 16 anni, mentre ex pilota che si trova nel “quinto quintile”, la fascia di reddito più alta, la riceverà in media per 20,9 anni. In soldoni, il primo ha un’aspettativa di vita media inferiore di quasi 5 anni.

Le differenze tra regioni

Altro elemento che incide sulla speranza di vita (e dunque sulle mensilità pensionistiche che uno riceverà più o meno) è la regione di residenza. Gli uomini che vivono nelle Marche e in Umbria hanno una speranza di vita di altri 18,3 anni dopo la pensione raggiunta a 67 anni, mentre le donne più longeve sono in Trentino-Alto Adige , con una speranza di vita media dopo il pensionamento di 21,6 anni. Per gli uomini e le donne, invece, che vivono in Campania e Sicilia, la speranza di vita dopo la pensione scende rispettivamente a 17 e 17,1 anni. Ovviamente, questi dati si modificano regione per regione in base al reddito del pensionato. Gli uomini appartenenti alla fascia alta di reddito che vivono nelle Marche e in Umbria hanno una speranza di vita dopo la pensione di 19,4 anni. Stessa cosa dicasi per le donne del Trentino-Alto Adige, quelle con reddito alto si vedono allungare la speranza di vita dopo la pensione fino a 22,5 anni. Per contro, una donna siciliana con un reddito basso, riceve in media la pensione per 18,8 anni.

Pensioni, le proposte dei sindacati

Per quanto detto finora, tra le richieste che da tempo i sindacati portano al tavolo della riforma delle pensioni, c’è anche quella di bloccare l’adeguamento dei coefficienti — che vengono aggiornati ogni due anni — alla speranza di vita. Dunque, con l’aumentare della speranza di vita, peggiora l’impatto sugli assegni. Ovviamente, tentare di differenziare gli assegni in base alla residenza o al sesso (le donne vivono in media più degli uomini) non è facile. Ma è una sfida che merita di essere affrontata per tentare di superare, appunto, l’iniquità dell’attuale sistema.


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