ROMA Una pensione di garanzia per i giovani lavoratori di oggi, che spesso hanno carriere lavorative frammentate e rischiano quindi di ritrovarsi nei prossimi decenni con trattamenti previdenziali non adeguati; senza contare l'effetto del calcolo contributivo che già da solo tende a ridurre il tasso di sostituzione, ovvero il rapporto tra prima rata di pensione e ultimo reddito da lavoro. Il progetto non è nuovo ma dopo il confronto di due anni fa (negli ultimi mesi del governo Gentiloni) viene ora ripreso in mano da esecutivo e sindacati. Al tema era dedicato l'incontro di ieri, il primo della serie che comprenderà anche l'approfondimento sulle prossime modalità di flessibilità in uscita, alla scadenza di Quota 100. La proposta di Cgil, Cisl e Uil comprende una sorta di trattamento minimo, una soglia sotto la quale l'assegno di domani non dovrebbe scegliere. Il valore è stato ipotizzato a 780 euro mensili, importo che coincide con quello del reddito di cittadinanza. Il governo, presente al tavolo con la ministra del Lavoro Catalfo e con rappresentanti del ministero dell'Economia, non ha detto di no ma ha preso tempo per valutare platee e impatti. Il tema della pensione per i giovani è importante dal punto di vista simbolico, ma allo stesso tempo risulta relativamente maneggevole dal punto di vista finanziario, in quanto si tratta di ragionare su somme da impegnare in futuro. La situazione però potrebbe essere diversa se la soluzione per il dopo Quota 100 dovesse essere l'uscita anticipata con il calcolo contributivo: in quel caso la garanzia andrebbe eventualmente applicata anche in tempi molto più brevi.
LA STRATEGIA Il paracadute finanziario - destinato a scattare solo nel caso in cui la pensione si dimostri davvero inadeguata - dovrebbe essere solo un aspetto della strategia da mettere in campo. Si ragiona anche su come rafforzare l'assegno già durante la carriera lavorativa degli interessati. L'idea è prevedere forme di contribuzione figurativa più sostanziali per i periodi di disoccupazione oppure di formazione ed anche un irrobustimento della posizione delle lavoratrici in corrispondenza della maternità.
Il ragionamento riguarda persone che avendo iniziato a lavorare dal 1996 in poi ricadono in pieno nel sistema di calcolo contributivo. Le cui regole per come sono costruite possono porre quasi automaticamente un'alternativa tra accesso alla pensione e sua consistenza: in base alle norme in vigore infatti il diritto alla pensione anticipata scatta solo se la somma maturata raggiunge almeno 2,8 volte l'assegno sociale (circa 1.288 euro ai valori attuali) e quella di vecchiaia con un rapporto di 1,5 (circa 690 euro). Chi non ce la fa dovrebbe sulla carta continuare a lavorare fino all'età di 71 anni. Tra le proposte c'è anche quella di far saltare questi vincolo in cambio di adeguate tutele, tra cui appunto l'applicazione di un trattamento minimo
LA PROPOSTA Al termine dell'incontro di ieri i sindacati erano abbastanza soddisfatti. «Pensiamo ad un meccanismo che possa stabilire una soglia minima da far crescere in proporzione al numero di anni lavorati», ha detto il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra. L'articolazione della proposta «dipende dalle risorse che il Mef è disponibile a mettere sul tavolo», ha precisato il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, aprendo alla possibilità di «prevedere anche accordi su più manovre». «È importante che il governo non sia arrivato con una proposta prendere o lasciare: il confronto è aperto», ha sottolineato il segretario confederale della Cgil, Roberto Ghiselli.
Toni positivi anche da Nunzia Catalfo. «Ho voluto partire dai giovani, e ringrazio le parti sociali per aver condiviso appieno questa mia decisione - ha detto la ministra - perché è arrivato il momento di intervenire per permettere loro di avere un domani una pensione dignitosa».