ROMA Chi lavora sul delicato dossier previdenziale avverte che siamo solo in una fase preliminare. E d'altronde negli incontri che governo e sindacati hanno avuto nei giorni scorsi non sono stati formulati numeri, anche perché nessuno, al momento, conosce la dotazione finanziaria chiamata a sostenere la riforma. Tuttavia i tecnici sono al lavoro da mesi, con tanto di ipotesi messe nero su bianco, per sostituire Quota 100 una volta terminata la sperimentazione a fine 2021; come ha confermato il premier Conte. È escluso che le nuove norme possano partire già a inizio 2021 abolendo Quota 100 con un anno di anticipo, ma quello che è certo per il governo è che le nuove misure dovranno costare meno di quella fortemente voluta dalla Lega ed essere più eque. Quota 100 (possibilità di andare in pensione ad almeno 62 anni di età e almeno 38 di contributi) infatti, come emerge dai dati Inps, ha favorito gli uomini e i lavoratori pubblici che hanno avuto carriere continue mentre, ad esempio, ha di fatto tenuto fuori le donne.
LO SCALONE Fra un anno lo stop al meccanismo sperimentale di Quota 100 promette di produrre effetti ingiusti (uno scalone di ben 5 anni) nei confronti di chi non potrà andare in pensione sfruttando questa finestra e dovrà invece attendere il compimento dei 67 anni. Cosa fare per risolvere il problema? Il governo pensa a varie soluzioni e la preferita consiste nel consentire, dal 2022, a chi lo desidera l'uscita anticipata a 64 anni di età con un mimino di 38 anni di contributi accettando un taglio del 2,8-3% della parte di pensione calcolata con il calcolo contributivo (modello introdotto nel 1996 per tutti i lavoratori) per ogni anno che serve per raggiungere quota 67 anni. Vale a dire l'orizzonte ordinario della pensione. Questa soluzione potrebbe essere particolarmente favorevole ai lavoratori più maturi e ormai prossimi al riposo. Per loro, quelli nati a cavallo degli anni '60, buona parte della pensione viene infatti calcolata attraverso un modello misto retributivo (per le annualità fino al '96) e contributivo (per le annualità successive). E dunque il sacrificio, in termini di taglio della pensione, sarebbe piuttosto limitato. L'alternativa alla cosiddetta Quota 102 (costo ipotizzato: 8 miliardi di euro) consisterebbe nel puntare su uscite flessibili ancora più anticipate anagraficamente e flessibili calcolando l'assegno interamente con il contributivo. Lo Stato avrebbe costi più elevati, in prima battuta, ma poi risparmierebbe nel tempo perché le pensioni ottenute sono legate ai contributi versati e più basse di quelle calcolate con una parte di retributivo. Palazzo Chigi pensa anche ad un doppio binario in grado di favorire chi esercita professioni gravose. «Dobbiamo metterci attorno a un tavolo e fare una lista dei lavori usuranti perché un professore universitario vorrebbe lavorare a settant'anni, mentre in tanti lavori usuranti non possiamo prospettare una vita lavorativa così lunga: dobbiamo avere il coraggio di differenziare» ha spiegato ancora il premier Conte due giorni fa. Così prende corpo l'idea di consentire l'uscita anticipata a 62 anni e 36 di contributi, con una penalizzazione ridotta o nulla, a chi oggi usufruisce dell'Ape social (anzianità contributiva di almeno 35 anni e, se lavoratori dipendenti, di un'età minima di 61 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento della quota minima complessiva tra età e contributi pari a 97,6 anni, mentre per i lavoratori autonomi l'età minima deve essere di 62 anni e 7 mesi, fermo restando il raggiungimento di quota 98,6). Sono 15 le categorie attualmente ricomprese nella lista delle professioni gravose. E la lista comprende, tra gli altri, operatori ecologici ed altri raccoglitori e separatori di rifiuti; operai dell'industria estrattiva, dell'edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli e di pellicce e conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante.