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Data: 17/08/2023
Testata Giornalistica: CORRIERE DELLA SERA
    CORRIERE DELLA SERA

Nuove aliquote Irpef, l’effetto sugli stipendi: cosa cambia, chi ci guadagna. Obiettivo finale: flat tax per tutti. I vincoli costituzionali

Dopo lo scontato via libera del Parlamento al disegno di legge delega sulla riforma fiscale, quello che nei progetti dovrebbe essere il nuovo fisco targato Meloni si appresta a mettere le mani sulla revisione dell’Irpef (la legge delega 111 è stata pubblicata in «Gazzetta Ufficiale» il 14 agosto, ma ci sarà tempo 24 mesi, ovvero fino al 29 agosto 2025, per i decreti delegati). L’obiettivo finale è, come da promessa elettorale, l’aliquota unica. Ma non sono scomparse le critiche all’idea di una flat tax per tutti, dato che l’articolo 53 della Costituzione è molto chiaro quando parla di progressività dell’imposta che i cittadini, anche stranieri, sono tenuti a versare. Questa infatti deve essere proporzionale all’aumentare della loro possibilità economica. In altre parole, secondo il principio costituzionale, l’imposta deve crescere con il crescere del reddito, mentre la flat tax è l’esatto contrario: la tassa “piatta” e unica prevede infatti che tutti i contribuenti paghino la stessa percentuale del proprio reddito in tasse, indipendentemente da quanto fatturano. Ecco che allora il governo parla di “flat tax universale nel senso della progressività”. La progressività sarebbe assicurata, secondo il governo, attraverso una serie di detrazioni e deduzioni. L’obiettivo “flat tax per tutti” è comunque di fine legislatura. Dunque, c’è tempo per vedere come il governo concretamente riuscirà nel suo obiettivo pur rispettando l’articolo 53. Intanto, la road map è stata tracciata. Vediamo allora quali sono i principali step (si parta con una nuova riduzione degli scaglioni Irpef) e come potrebbero influire sugli stipendi degli italiani.

La riduzione degli scaglioni Irpef

Il primo passo della marcia meloniana al nuovo fisco parte dal tentativo di implementare il modello ad aliquota impositiva unica, seguito dall’individuazione dei principi generali che dovranno illuminare la strada attraverso la transizione dagli attuali scaglioni Irpef fino all’approdo alla tassa unica. Per quanto riguarda la riduzione dell’Irpef, a dare il là era stato il governo Draghi con la legge di Bilancio 2022, che ha fatto scendere da 5 a 4 gli scaglioni, ridefinendo poi anche il valore delle aliquote: al ribasso per il secondo e il terzo scaglione. Dunque, ora il governo Meloni, proseguendo nel solco tracciato dall’ex premier, intende ridurre gli scaglioni da 4 a 3, possibilmente rimodulando le relative aliquote d’imposta. Questo obiettivo potrebbe realizzarsi già con la prossima manovra, se si troveranno le risorse necessarie.

Le tax expenditure

L’articolo 5 del disegno di legge delega sulla riforma del fisco approvato dal parlamento spiega come la transizione verso la tassa unica preveda anche un riordino delle tax expenditures, ovvero delle tante detrazioni, deduzioni e crediti d’imposta che fanno sì che per molti il carico fiscale si alleggerisca. Ma, come sappiamo, in genere riordino fa rima con giro di vite e, dunque, ci si può immaginare una riduzione delle voci alle quali si può ricorrere per ridurre l’imposizione lorda. Per salvare il concetto di “tassa unica progressiva”, però, per molte categorie le deduzioni dovranno aumentare. Il problema, come sempre, è che tra le promesse elettorali e la loro realizzazione in mezzo ci sono i vincoli di finanza pubblica. Insomma, non è detto che ci saranno i fondi per realizzare questo obiettivo. Basti pensare che la riforma Draghi, con l’eliminazione di uno scaglione Irpef, è costata da sola 8 miliardi di euro. Inoltre, mettendo ora mano alle detrazioni e alla deduzioni, come vuole fare il governo, si rischia che quello che viene dato da una riduzione delle aliquote venga compensato in negativo dalla cancellazione di alcune deduzioni: il conto finale dunque potrebbe andare in pari se non addirittura peggiorare la situazione del contribuente. Per questa ragione, il disegno di legge delega approvato ha stabilito un principio generale di salvaguardia di alcune categorie di cittadini e alcuni settori: l’obiettivo, infatti, dovrebbe essere quello di trattare con benevolenza le famiglie con figli e i disabili, la casa, la salute, l’istruzione, la previdenza complementare, l’efficientamento energetico, i ben culturali, etc.

Il principio di equità orizzontale

In economia pubblica esiste il principio secondo il quale i soggetti che hanno la stessa capacità contributiva devono essere tassati in modo eguale. Questo principio, che si chiama “dell’equità orizzontale”, sta alla base della decisione del governo di inserirlo nelle indicazioni relative alla fase di transizione dall’Irpef alla flat tax con l’obiettivo di superare le iniquità tra l’aggravio fiscale sul reddito da lavoro dipendente e quello proveniente da altre attività soggette a Irpef, oltre che la disparità data da chi può accedere a regimi sostitutivi agevolati. Come intende muoversi il governo? La norma indica innanzitutto l’applicazione della stessa area di esenzione fiscale per tutti i redditi Irpef, a partire dall’equiparazione tra i redditi da lavoro dipendente e redditi da pensione. Inoltre, si lavora alla possibilità di estendere ai lavoratori dipendenti la possibilità di dedurre, come fanno gli autonomi, le spese legate alla propria attività lavorativa, quelle cioè che hanno contribuito a produrre il reddito.

Il riordino del calendario fiscale

Altro step, dall’orizzonte più ravvicinato, riguarda la razionalizzazione del calendario fiscale, attualmente composto da circa 1.500 scadenze. Oggettivamente, una giungla per i professionisti. I tecnici sarebbero al lavoro per anticipare i termine per il 730 (oggi è il 30 settembre) e per il modello Redditi (attualmente è il 30 novembre) rispettivamente a maggio e giugno. La delega ha però indicato che, quando tutto sarà a regime, non vi saranno scadenze per il mese di agosto (nel 2023 sono ben 192), mentre si dovranno anticipare le consegne delle certificazioni uniche da parte dei sostituti d’imposta.

Scaglioni Irpef, lo stato attuale...

Chiarite le principali linee guida della riforma fiscale e quali saranno i primi provvedimenti, passiamo ad approfondire la riforma dell’Irpef. Se andrà in porto la riduzione a tre degli scaglioni, quali effetti si avranno in busta paga appena la riforma sarà confermata?
Ora, dopo la riforma Draghi, i contribuenti italiani sono divisi in quattro fasce:
1) fino a 15 mila euro di reddito (con prelievo Irpef del 23%);
2) da 15 mila a 28 mila euro (con prelievo del 25%);
3) da 28 mila a 50 mila (con prelievo del 35%);
4) sopra i 50 mila euro (con prelievo del 43%).
Per ridurre quindi le aliquote a tre scaglioni queste quattro fasce andranno modificate e accorpate in alcuni casi. Vediamo allora le simulazioni che i Consulenti del lavoro avevano predisposto per il Corriere nei mesi scorsi e che ci aiutano a capire chi guadagnerà di più da questa riforma.

... e come potrebbero cambiare: prima ipotesi

Le ipotesi di riforma degli scaglioni sono varie, tra le ipotesi più accreditate c’è quella messa a punto dalla Ragioneria di Stato, che prevede l’accorpamento del secondo e del terzo scaglione in un’unica fascia (vedi tabella) che comprenda i redditi tra i 15 mila e i 50 mila euro, da sottoporre a un prelievo del 27% (ma si era parlato anche del 28%). In questa ipotesi, la prima e ultima fascia risulterebbero intoccate. È evidente che a beneficiarne sarebbe la fascia attualmente compresa tra i 28 mila e i 50 mila euro perché passerebbe dal prelievo di oggi al 35% a uno del 27% o del 28%, con un risparmio di ben 7-8 punti percentuali. Come si vede in questa tabella, con un’aliquota Irpef al 27% per la nuova fascia da 15 mila a 50 mila euro a essere penalizzati sarebbero i redditi fino a 28 mila euro.

Alcuni esempi

Ma vediamo qualche esempio:
- Reddito di 20 mila euro: oggi versa 4.700 euro di Irpef, ne andrebbe a versare 4.800 e avrebbe un aggravio fiscale di circa 100 euro (+2,13%);
- Reddito di 35 mila euro: oggi versa 9.150 euro, ne andrebbe a pagare 8.850 euro e avrebbe uno sgravio di 300 euro (-3,28%);
- Reddito di 50 mila euro: oggi versa 14.400 euro, ne andrebbe a versare 12.900 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 1.500 euro (-10,42%);
- Per un reddito di 60 mila euro: oggi versa 18.700 euro, ne andrebbe a versare 17.200 euro di Irpef e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 1.500 euro (-8.02%).

Seconda ipotesi

Un’altra simulazione fatta dai Consulenti del lavoro prevede sempre tre soglie reddituali e tre aliquote ma ridisegna sia il primo che il secondo scaglione (vedi tabella).
Il primo scaglione di reddito salirebbe a 28 mila euro, ferma restando l’aliquota del 23%, mentre il secondo si applicherebbe sempre fino a 50 mila euro come nella prima ipotesi ma l’aliquota sarebbe del 33%. Nessuna variazione, infine, per il terzo scaglione che rimarrebbe al 43% per i redditi oltre 50 mila euro. Gli effetti dei prelievi in busta paga sarebbero questi:
- Reddito di 20 mila euro: oggi versa 4.700 euro di Irpef, ne andrebbe a versare 4.600 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 100 euro (-2,13%);
- Reddito di 35 mila euro: oggi versa 9.150 euro, ne andrebbe a versare 8.750 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 400 euro (-4,05%);
- Reddito di 50 mila euro: oggi versa 14.400 euro, ne andrebbe a versare 13.700 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 700 euro (-4,86%);
- Reddito di 60 mila euro: oggi versa 18.700 euro, ne andrebbe a versare 18.000 e avrebbe uno sgravio fiscale di circa 700 euro (-3,74%)

Nel caso si intervenga sulla No tax Area

Secondo questa analisi, dunque, non si tratta - se questi saranno i numeri - di una riforma che privilegia i redditi più bassi. Molto però potrebbe cambiare con una modifica della No Tax Area di dipendenti e pensionati a 8.500 euro. L’attuale struttura Irpef a quattro aliquote in vigore per l’anno di imposta 2023 prevede infatti una No Tax Area (NTA) differente per le tre principali tipologie di reddito. In particolare, per il reddito da lavoro dipendente, la NTA è pari a 8.174 euro, per il reddito da pensione è pari a 8.500 euro, mentre per il reddito da lavoro autonomo è pari a 5.500 euro. Il reddito da lavoro dipendente beneficia anche del trattamento integrativo di 1.200 euro annui fino a 15.000 euro di reddito imponibile (si tratta dell’ex Bonus Renzi da 80 euro, diventato poi strutturale a 100 euro mensili). Man mano che il reddito imponibile sale e si avvicina a 50 mila euro, le differenze tra le detrazioni tendono a ridursi per azzerarsi, infine, per tutte e tre le tipologie di reddito in corrispondenza di un imponibile pari a 50 mila euro. Ciò vuol dire che l’Irpef netta è uguale per tutte e tre le tipologie di reddito in corrispondenza di questa soglia di imponibile. Le differenze tra le detrazioni sono invece molto significative nella parte bassa della curva reddituale.

 


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